“Ogni rivoluzione ha la sua poesia, e la poesia che mira a dare l’assalto al cielo non può che venire dal futuro” o da un contro-canone. Da oggetto-mercificazione a Soggetto. Chiudete i manuali, non per bendarvi gli occhi ma per aprirli. Venerdì 20 maggio al teatro delle Arti, alle ore 10, Federico Sanguineti presenterà la sua ultima opera “Temi svolti di Storia letteraria. a uso di docenti e di discenti”, uscito quest’anno per le edizioni Tempesta
Di Alfonso Mauro
Tema. Leggiamo Sanguineti. Svolgo. — Così, si parva licet, in buon endecasillabo trocaico-giambico a minore, avrebbe il professore scritto sui social ove suole sferzarci, dilettarci, informarci generalmente in forma di Sciolti del verso Grande dell’Italiano; d’altro canto, sono tutti endecasillabi (o doppi endecasillabi) il titolo in copertina e i titoli dei temi (capitoli) del suo saggio-antologia “Temi svolti di Storia letteraria. a uso di docenti e di discenti”, uscito quest’anno per la collana Filologia Minima Essenziale di Tempesta editore. Questa l’essenza dell’ultima opera di Federico Sanguineti che venerdì 20 maggio, alle ore 10, presso il Teatro delle Arti, l’autore, in dialogo con Olga Chieffi e Monica De Santis, presenterà ad una platea composta da studenti delle scuole superiori, dai loro docenti e dirigenti scolastici e di quanti vorranno esserci per prender parte a questa rivoluzione che è alla base di una nuova storia letteraria.
Un temario non dal quale copiare, imbrogliando come alle superiori, né una mini-Wikipedia onde plagiare un’intera tesi di laurea (come dall’autore denunciato accada), ma enumerante cinquanta concentratissime risposte letterarie all’annoso “Che fare?” e al più pungente ancora “Chi manca? Chi è stato censurato?” Le autrici. Le donne. Un vero e proprio femminicidio ermeneutico storiografico-letterario. In cinquanta prosulae originariamente raccolte in altrettanti articoli di giornale sempre in medias res, Sanguineti ci esorta a un doveroso sovvertimento della Storia letteraria borghese, onde conseguire una liberazione collettiva che abbia in quella femminile conditio sine qua non insieme al rigetto e delle cosiddette leggi di mercato applicate agli ambiti culturali e della conseguente mercificazione (commodification) capitalistico-patriarcale del Sapere. Altro sprone inferto è quello della decolonizzazione, rovesciante la falsificazione razziale e sessista, e alla prospettiva dossografico-nozionistica dei nostri manuali sui quali formiamo studentesse e studenti. Strumento co-fondamentale di questa rifondazione, di questa rivoluzione, è (se adoperato con cognizione) la www, la sublime-subliminale Rete anarco-comunista per mezzo della quale, in barba ai Giganti del Web che magari posseggono il vasel, il professore ci manda a pescare “per lo vero” avendo “l’arte” di una narrazione non più “single story” — un “comunismo virtuale” chiosa egli appunto. E, “per navicar leggieri”, primo peso da buttare a mare è quello del “femminicida” (depennatore di autrici) De Sanctis e della sua “prima donna della nostra Letteratura” — quella Francesca da Rimini oggettificazione borghese (post-feudale) di un Femminile anzi necessitante ritrovar ruolo di Soggetto. Donde le vertiginose, per chi le ignora, liste di Dominae Litterarum di cui ben altre storie della Letteratura italiana dànno notizia (Tiraboschi anzitutto) — massime se all’amo dell’internauta che non intenda servirsi di internet solo onde pescare la tesi bell’e fatta o il materiale per il compito in classe; quinci la genetica e cosciente ironia dell’opera del professore nel chiamar “temi” questa sua raccolta. Essa è però ancor riconoscibilmente articolistica, e riproposta sic et simpliciter, senza un filtro editoriale, un labor limae onde meglio annodare le cordicelle della rete: numerosissime le ripetizioni di passaggi e idee anche a breve distanza, e insistenti alcune suggestioni — forse ad uso (beneficio del dubbio?) di una readership notoriamente poco permeabile alle necessarie conseguenze pratiche che una presa di coscienza di classe e di genere profila sollecite, irrefragabili, ineluttabili. Costruire una nuova civiltà letteraria anzitutto. Questa “Cité des dames” edificanda “au champ des escriptures” (per dirla con Cristina da Pizzano) darebbe pieno enfranchisement ai diritti culturali e di genere, e all’insita non-strumentale dignità degli studi, nella lotta al modo di produzione capital-consumistico identificato con la Lupa dantesca — e il Veltro è la Commedia! Così, a De Sanctis subentra l’onnipresente Tiraboschi (Storia della Letteratura italiana (1772-1782)) onde seme di contro-canone contrapporre, alla Letteratura nazionale borghese, una “letteratura universale post-capitalistica”, l’unica nel novero delle cui Penne le lettrici potranno rinvenire una autoriale parità. In volata-volatilità vorticosa, la lettura si libra su d’un panorama vastissimo ma pur paradossalmente omogeneo nella sua frammentarietà (“these fragments I have shored against my ruins”) e insistente precisi Leitmotiv per la sacrosanta scientia dei quali sintomo principale della malattia socio-letteraria (co-sintomo per Savinio è appunto il dannunzianesimo) è il protrarsi d’una Patria di Patres Litterarum cui fanno da affettate ancelle atwoodiane mere “figure femminili” e non donne vere. Ergo l’illuminante ribaltamento di Beatrice, recuperata da una stanca lettura scolasticoide che la vorrebbe sbiadita aeriforme, e restituita a un sorprendente femminismo dantesco ante litteram. Questo tesoretto di riferimenti, come detto, vola alto ma è appollaiato su d’un lavoro editoriale che troppo smaschera (anzi: non maschera) la genesi contingente, slegata, di brani collezionati a posteriori. Alla luce, infatti, dei noti cavalli di battaglia sanguinetiani qui sbrigliatissimi lasciati andare in circolo, il malizioso si domanderà quale sia l’intreccio, a quasi parità di fabula, di “Per una nuova Storia letteraria” (Argo, 2022), e se non si tratti, per così dire, di un parto omozigote. Quanto al nostro in questione, il caveat è magari di non leggere in unica seduta, per tema di sospirare su vere e proprie anafore contenutistiche; ma anzi leggere un tema a settimana, intervallando approfondimenti degli input proposti. Per carità: repetita iuvant, massime se a reiterarsi è il guanto di sfida lanciato alla Letteratura, e se la mano a calzarlo è della da Pizzano — grandissima consapevolmente espunta insieme a numerose parimenti citate, tutte “googleabili” e da riscoprire tutte per una Letteratura equa, veramente completa, e finalmente monda dallo “stilnobbismo”. Nella piantumazione di questo più florido “albero della libertà”, particolarmente fioriti sono i passi filologici, gramsciani, operistici (libretto dell’Orfeo monteverdiano), i quali se da un lato fanno “dattilico” inciampo alla monodia “giambica”, dall’altro offrono spunti parimenti insueti (ahinoi) alla readership media; ma migliori di tutte le pagine circa il sostanziale comunismo e femminismo del paradiso dantesco opposto all’amatissimo (ah!) inferno borghese. Una civitas virorum mulierumque cristologico-marxista cui indirizzare anche i discenti più giovani attraverso un Dante riproposto montessorianamente. Superba la chiusa, fittissimo ludo ipercitazionistico cui miracolosamente riesce seguire un netto filo logico-accademico. Se quest’ultimo tema come gli altri sarà da alcuni detto (da qualche lettore più uso a manualistica e saggistica nozionistiche che il professore ci invita ad abbattere) essere inerte sequela di false partenze, piaccia piuttosto a noi, riconducendo a sintesi l’antitesi della critica di alcune debolezze, considerare l’insieme di questi temi quale rivoluzionaria, multiforme-uniforme serie d’inesauribili spunti — acuminatissimi pungoli lapidari invitanti a prendere il largo per essi e completare, svolgere noi la traccia; a prendere storico-letteraria coscienza di classe e genere e disarcionare il fantino-patriarcato-Capitale. Seguirebbe una res publica litterarum della quale Beatrice (non idealizzata) invita ciascuno a esser “sanza fine cive”.