Questa sera, alle ore 20, terzo appuntamento della I edizione del Festival di Musica da Camera Sant’Apollonia. Un evento, questo, nato dalla sinergia del conservatorio di Musica “G.Martucci” di Salerno, con un progetto del Dipartimento di Musica d’Insieme, presieduto da Francesca Taviani, da un’idea di Anna Bellagamba e la Bottega San Lazzaro del professore Giuseppe Natella che ospita la rassegna nella cornice della Chiesa di Santa Apollonia. Salerno vanta la nascita della scuola italiana di sassofono, la prima cattedra, dedicata a questo strumento è stata istituita dal M° Francesco Florio, nel suo conservatorio. La serata del 3 giugno vede, quindi, protagonista questo strumento che, sin dalla sua nascita, ha indovinato la fisionomia espressiva ed eclettica del secolo breve, qui impegnato in formazione, “Quattro più due”, composta da Deborah Batà al sax soprano, Gerardo Mautone al sax contralto, Vincenzo Varriale al sax tenore e Michele D’Auria al sax baritono, unitamente a Michele Granato e Ciro Coticelli alle percussioni. Il programma vede in scaletta una trascrizione dei “Quadri da un’esposizione” di Modest Musorgskij, in cui ricordiamo che nella famosa versione orchestrale di Maurice Ravel al sax alto è già affidato “Il vecchio castello”, firmata da J.van der Linden. La composizione pianistica di Musorgskij possiede già essa stessa una grande quantità di colori, suggerisce una notevole varietà di timbri, tende già nel suo tessuto intimo a lievitare in forme orchestrali. Vi appartiene anche l’aspetto stesso della trascrizione poiché il brano della Promenade (passeggiata), che collega i vari pezzi, compare nell’originale pianistico in cinque versioni differenti. Ma la grande ricchezza dei Quadri la si può in qualche modo riassumere, affermando che nei brani della raccolta è possibile riscontrare quattro tendenze espressive principali. La prima è quella ricollegabile alla corrente del nazionalismo ottocentesco russo, per la Grande porta di Kiev, che chiude l’opera. Musorgskij non intende questo aspetto in senso grettamente patriottico: il nazionalismo culturale del nostro è più un ribelle afflato alla libertà e alla civiltà. Così l’oppressione russa perpetrata contro i polacchi è contestata da Musorgskij: la parola Bydlo, nome di un pesante carro contadino polacco trainato usualmente da buoi, diviene metafora della sofferenza dei polacchi, schiacciati da un giogo militare, non importa se russo. La musica di Musorgskij evoca in tutta la sua concretezza il lento avanzare del pesante carro, dapprima da una distanza che ci impedisce di contemplarlo in tutta la sua gravita, poi facendolo avvicinare a noi nella sua piena massa sonora, per sfumare poi nella Promenade. Anche l’incontro tra Samuel Coldenberg, ricco ebreo polacco, grasso e tronfio, e il povero Schmuyle, anch’egli ebreo polacco, ma piccolo e magro, incarna nella musica il senso della disuguaglianza tramite la contrapposizione del tema ebraico riferito a Schmuyle con quello incisivo e schiacciante che richiama Goldenberg. Il Vecchio castello ci porta invece nella seconda tendenza espressiva dei Quadri, quella dai tratti più ombrosi e cupi. L’antico rudere riposa solitario nella malinconica rimembranza del passato, e la musica, in una danza dai tratti lontanamente orientali e un poco funebri, ne culla il riposo accompagnandola con una sinuosa melodia. Una riflessione, qui solo accennata, sulla morte, riflessione che si svolge più approfonditamente in Catacombae dove la profondità degli antichi sepolcri diventa spunto per una nebulosa sonora, annunciata da solenni accordi, che sembra sprofondare lentamente nelle viscere del silenzio. Vi ricompare poi il tema della Promenade, qui divenuta simbolo del nostro essere di “passaggio”, non senza un chiarore finale di speranza. Musorgskij pone di suo pugno nell’autografo questo commento al brano: “lo spirito creatore del defunto Hartmann mi conduce verso i teschi e li invoca: questi si illuminano dolcemente all’interno”. Fa da contraltare a queste atmosfere un vitalismo istintivo e cieco: il Balletto dei pulcini nei loro gusci con la buffa agitazione degli strumenti, i giochi di bambini nel parco parigino delle Tuileries, con il suo cullare sornione inframmezzato da acute volatine melodiche, la vivacità del Mercato di Limoges (quasi uno Scherzo fantastico), proiettano in una dimensione fresca e primigenia la musica di Musorgskij. La quarta tendenza è quella che inscena la mostruosità terribile. Ne abbiamo un esempio in Gnomus: il minaccioso motto iniziale e il sospettoso marciare intende rappresentare, in atmosfere quasi cinematografiche, un nano malvagio che si aggira nella foresta. Anche la strega Baba Jaga appartiene alla categoria dei “mostri”: definita nei racconti russi “nonna del diavolo”, abita in una capanna che si erge su zampe di gallina ai limiti della foresta. Con la sua evocazione entriamo nell’ambito del folklore magico slavo. Così, dall’apparizione del terribile si passa alla rimembranza della morte, della sofferenza, e da essa ancora alla dimensione magica di Baba-Jaga, cioè all’energia primigenia, inconscia, madre di quella vitalità intellettuale che fa della “grande porta” il simbolo di un possibile accesso al futuro. La seconda parte della serata sarà dedicata all’esecuzione della Suite Hellénique dello spagnolo Pedro Iturralde, sassofonista puro e collaboratore di Paco de Lucia. L’opera è caratterizzata da un ritmo incalzante appositamente scritta per il sassofono. La pagina rappresenta uno dei risultati più alti dell’ispirazione del compositore iberico: in essa la distinzione tra classico, jazz e popolare, perde ogni significato e antiche danze e canti popolari rivivono in una incalzante antitesi di ritmi e armonie. Qui i quattro sassofonisti dovranno distillare timbri popolari e classici, dando corpo al sincretismo dell’autore con infinita energia, schizzando un brano in cui è già superata ogni barriera di separazione supportati, in questa occasione, anche dalle percussioni.
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