Il Romanticismo di Robert Schumann e Fryderyk Chopin - Le Cronache Spettacolo e Cultura
Spettacolo e Cultura Musica

Il Romanticismo di Robert Schumann e Fryderyk Chopin

Il Romanticismo di Robert  Schumann e Fryderyk Chopin

Di Olga Chieffi

Torna il magistero pianistico del Conservatorio Statale di Musica “G.Martucci” di Salerno, nella Chiesa di San Giorgio, ospite dell’Associazione “Alessandro Scarlatti” presieduta da Oreste de Divitiis e diretta dal flautista Tommaso Rossi. Quattro appuntamenti della seconda parte di “Grande Musica a San Giorgio” una terza edizione dedicata interamente a Robert Schumann e Fryderyk Chopin che presenterà al grande pubblico i pupilli dei docenti Dario Candela, Costantino Catena, Salvatore Giannella, Tiziana Silvestri e Demetrio Massimo Trotta. Schumann e Chopin nacquero entrambi nel 1810 (rispettivamente l’8 giugno e il 1 marzo). La data, naturalmente, va tenuta ben presente: stiamo parlando di quella grande stagione romantica che un anno prima aveva visto nascere Mendelssohn e che l’anno dopo avrebbe battezzato Liszt. In entrambi i casi ci troviamo di fronte a vicende di sistematica lontananza da un oggetto del desiderio. Tutto era sempre distante da Schumann: la carriera pianistica, la donna amata, il successo, la sanità mentale, la vittoria contro gli odiati Filistei, i rappresentanti di quella sensibilità borghese che preferiva fare soldi piuttosto che arte. Chopin, invece, era distante da un solo, ma fondamentale, oggetto: la patria intesa come unica cornice in cui far entrare il proprio autoritratto. La malattia per entrambi (fisica per Chopin, mentale per Schumann) era lo specchio di un disagio esistenziale; e alla loro musica spettava il compito di raccontare il fascinoso dolore di una intera generazione. La serata inaugurale, fissata per le ore 19,30, sarà aperta da Davide Cesarano, che eseguirà Sonata op.22 n°2 in Sol Minore. La lunga gestazione della Sonata in sol minore comincia nel 1833; il brano sembra acquisito nel 1835, ma seguono varie revisioni, fino alla decisione più eclatante sostituire il movimento finale con un nuovo epilogo, dalle caratteristiche formali molto particolari; la data della definitiva sistemazione della Sonata si sposta così al 1838.È facile notare quanto i molti ripensamenti che accompagnano la stesura delle e che soprattutto nel caso dell’op. 22 implicano un tempo di scrittura particolarmente dilatato, siano in contrasto con la velocità e la sicurezza con cui vengono composti certi polittici, come i Papillons o i Pezzi fantastici op. 12. Quanto entusiastica è in quel momento la propensione di Schumann per i cicli di brani brevi di libera ispirazione, per lo più letteraria, tanto cauto si profila l’approccio alle forme percepite come potenzialmente a rischio di accademismo – e d’altra parte, a pochi anni dalla morte di Beethoven, trovare il modo di dire qualcosa di veramente significativo nel genere della Sonata poteva legittimamente apparire impresa proibitiva. Tuttavia scrivere Sonate resta per così dire un dovere professionale per un compositore che ambisca a un pubblico riconoscimento; spinto da questo stimolo, oltre che ovviamente da un sincero interesse per l’evoluzione del genere, Schumann accetta la sfida e produce uno sforzo creativo che, non senza una certa fatica, gli consente di lasciare l’inconfondibile impronta della sua genialità anche in questo ambito. Questa sonata è forse quella dotata della struttura più definita ed identificabile. Nonostante questi chiari confini, tuttavia, non mancano occasioni di ambiguità per l’interprete: molto si è scritto, ad esempio, sulle umoristiche indicazioni di tempo del primo movimento, in cui al pianista viene chiesto, nell’ordine, di suonare “so rasch wie möglich” (il più veloce possibile), poi, nella Coda, poi “Schneller” (più veloce), e nelle battute finali “Noch Schneller” (ancora più veloce). Ma queste bizzarre notazioni sono al servizio di un materiale musicale cristallino. L’Andantino successivo può essere annoverato tra le più riuscite composizioni del genere mai scritte da Schumann, seguito da uno Scherzo molto compatto e dall’accettuata ritmicità, che però nel Trio recupera le sincopi già ascoltate nel secondo tema del primo movimento. Il finale della Sonata ebbe una genesi travagliata. Sia Schumann che Clara Wieck (non ancora sua moglie) trovarono il primo brano composto allo scopo insoddisfacente ed eccessivamente complesso. Nel 1838 fu dunque creato un nuovo finale, più proporzionato e migliorato dal punto di vista della coerenza con il resto dell’opera. Si tratta di un brano scritto in forma di “rondò-sonata”, che, oltre a richiamare in più occasioni il primo movimento, presenta un tema secondario indicato “etwas langsamer” e caratterizzato da diversi ritardando interni. Il solista ha scelto, quindi, di eseguire lo Scherzo n° 2 op.31 in Si bemolle minore, di Fryderyk Chopin, sicuramente il più popolare, assai articolato e complesso nell’architettura e nell’armonia, con una ampia gamma di intonazioni, e caratteri espressivi che vi si susseguono senza soluzione di continuità. Passaggio di panchetta con Francesco Navelli che continuerà con lo Chopin del Notturno in sol minore op.37 che evoca l’op. 15 n. 3 per la presenza di un corale nella parte centrale. Una melodia calma e serena di carattere cantabile è divisa in due tranches: il primo dall’arcata nel complesso discendente, il secondo, aperto da un trillo, di stampo elaborativo e ascendente. Dopo alcune riprese del materiale interviene un composto corale, in una sonorità piena, quasi d’organo, attraverso una sequenza di accordi localizzati nel registro medio grave concluso da enigmatici respiri su corona. A seguire, la Ballata op. 38 datata 1838, che accentua la contrapposizione fra i due gruppi tematici; questi, infatti sono affidati a tempi diversi: Andantino per l’iniziale motivo pastorale, Allegro con fuoco per la drammaticità della seconda idea; l’alternanza di questi due movimenti avviene secondo uno schema efficacissimo nella sua semplicità, che, con una audace peregrinazione, porta il brano a concludersi in la minore diversa da quella d’impianto in fa maggiore. Il concerto terminerà con sei études dall’op.10, 1-3-7-9-10-12, che secondo lui costituiscono un’unica affermazione musicale che tecnicamente è un tour de force; emotivo, quasi un’inesorabile corsa sulle montagne russe in una turbolenza che la contemplazione temporanea della passione, il famoso terzo Studio in mi maggiore, o dell’ottimismo sembra incapace di prevenire. Gli studi ci regalano uno Chopin poetico e introverso, senza visioni stereotipate di sogno o sentimentalismi.

Commenta

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *