Si sveglia molto presto la mattina, poi va in cucina, apre il computer e scrive. Poi porta il caffè alla moglie. La sera va a dormire alle dieci. Sembra la vita di un uomo semplice, simile a quella di tanti. In realtà, dietro questo pizzico di routine c’è l’impegno, il coraggio e la costanza di un grande uomo, per tanti di un supereroe, proprio come il tema scelto quest’anno per il Premio Fabula 2023. «Il primo sonno lo faccio sul divano, come Fantozzi, d’inverno con televisione e camino accesi. Non ho mai fatto una passeggiata con i miei figli, non ho mai assistito a una loro recita, non sono mai andato dai loro professori per sapere come vanno a scuola perché quando sono nati avevo già la scorta. È un momento che non ci sarà più». Si racconta così Nicola Gratteri, Procuratore della Repubblica di Catanzaro, in prima linea contro la ‘Ndrangheta, a Gaetano Pecoraro, giornalista di Italia 1, straordinario conduttore delle serate in Piazza del Popolo a Bellizzi. Solo il suo piglio da giornalista d’inchiesta, riesce a far sciogliere il Procuratore, che, a una piazza gremita di giovani e adulti, che lo accoglie con una standing ovation e un applauso infinito, si mette a nudo raccontando anche qualche aneddoto. «Faccio una seduta settimanale con lo psichiatra: la mia terra. Lì faccio terapia, mi fa stare bene guidare il trattore per 10 ore, scarico tutto lo stress accumulato». Gratteri ha incontrato anche i ragazzi Festival.
Cosa bisogna fare per migliorare il Paese in cui viviamo?
«Bisogna Investire nell’istruzione in modo sistematico. Questo vuol dire formare una società che pensa come essere cittadini del futuro. I genitori di oggi sono mediamente più egoisti di quelli di ieri. Il cinquantenne deve fare il 25enne. Le mamme sono più egoiste e pensano più a se stesse e i figli? Sono figli di internet e non loro. Quando poi si accorgono della deviazione iniziano a comprali con scarpe alla moda e telefono di ultima generazione. Ma è già tardi, il rapporto si è già spezzato. Il ragazzo è già figlio di internet o del branco».
E sull’episodio del giovane musicista ucciso a Napoli aggiunge:
«È la continuazione di quello che ho già detto. Questo degrado è la sintesi dell’ignoranza, l’incultura, l’abbandono. Mettere due volanti in più non avrebbe salvato la vita di questo ragazzo. Se investiamo nell’istruzione forse fra cinque anni ne vedremo i frutti. Questo tipo di violenza non è un problema delle forza dell’ordine o la magistratura ma un problema sociale».
E poi ripercorre le stragi di Falcone e Borsellino:
«Borsellino era un uomo asciutto, tutto d’un pezzo, un integralista. Lui ha iniziato a parlare in maniera dura dopo la morte di Falcone. Ha denunciato qualcosa che andava oltre Cosa Nostra e che riguardava i centri di potere. Lui aveva intuito che si trattava di centri di potere molto forti La risposta la troviamo nel dato che è sparita l’agenda rossa che si trovava sul sedile posteriore destro dell’auto durante il suo attentato. Un uomo in un momento di così grande esplosione ha avuto la freddezza di recuperarla. Ce n’erano due: una con gli appuntamenti e l’altra era un diario, un’agenda in cui segnava tutti gli incontri. Nell’agenda c’è la casuale dell sua morte ma anche della strage di capaci».
Chi è il mafioso?
«Il mafioso ha un’etica diversa dalla nostra. Per lui il territorio è casa sua e quindi noi siamo degli ospiti e dobbiamo chiedere il permesso qualsiasi cosa vogliamo fare. C’è un sistema di legge non scritto ma che dobbiamo rispettare».
Ha mai paura il mafioso?
«Può avere paura nel momento in cui è in conflitto con altre associazioni mafiose o incastrato sul piano probatorio e sa che rischia ergastolo o 41 bis».
Cosa vuol dire per lei vivere sotto scorta?
«È una situazione alla quale non ti abitui mai. La tensione col tempo aumenta. Però sono cose che si devono accettare. Resta una limitazione alla tua libertà. Bisogna resistere e sopportare».
Si è mai sentito un supereroe?
«No. Quando ognuno di noi fa il proprio lavoro, quello per cui è pagato (nel mio caso con le tasse dei vostri genitori) e lo fa bene porta a buoni risultati. È questo basta. Questo porta la gente a sentirsi più libera e sicura, soprattutto chi soffre, piange, chi è sotto usura, costretta al pizzo. La loro gratitudine ti incoraggia e riconosce il lavoro che fai. Questo ti rende noto ma questo non vuol dire essere un eroe. Dare tutto se stesso, andare oltre, rischiare, non tentennare non vuol dire essere eroe ma uomo dello Stato che sta dando tutto se stesso. L’atto finale è vivere in un territorio in modo più democratico. Non abusiamo di questo termine. Gli eroi sono quelli che sono morti in nome di un’idea, che hanno fatto bene il loro lavoro senza se e senza e noi non li dobbiamo dimenticare perché hanno costruito un pezzo di storia e la libertà degli italiani».
Supereroi nella sua vita?
«Non ce ne sono stati, perché anche quando ero ragazzo non ci pensavo. Ho sempre vissuto da adulto. Ero un piccolo uomo che viveva da piccolo uomo. Voi siete liberi: avete internet e vi annoiate, non avete regole. Noi invece non ci annoiavamo, non avevamo tempo, dovevamo andare a lavorare. Alle 4.30 uscivo da casa per andare nel campo a raccogliere il fieno. Non esisteva un bambino della vostra età che non sapeva cosa fare. Mi davano una palla di cera, si passava il filo nella cruna dell’ago e si aiutava il calzolaio a cucire le scarpe. Alla vostra età si andava dal mastro o maestra per imparare un mestiere. Niente giornali a fumetti. La televisione iniziava alle 18.30, alle 21 a letto a dormire. Quello di oggi è un mondo da adulti ma senza fare niente, senza impegno, progetto, idea. Ci vogliono delle regole anche da ragazzini, altrimenti si finisce come le cose che state vedendo leggendo in questi giorni».
Qual è il suo sogno?
«Vorrei un’Italia diversa, migliore, più sicura, con meno furbi e più ordinata, con gente più decisa a fare le cose che servono per uscire da questa cappa, da questa situazione di depressione da tutti i punti di vista e ricostruire una società diversa rispetto al decantassimo che stiamo vivendo».