Muoversi verso i propri simili, infatti, significa affrontare un cammino solo all’apparenza chiaro e lineare, ma di fatto costellato di ostacoli o difese. La poesia giunge ad aprire ogni porta
Di Gemma Criscuoli
“Vorrei sapere/se questa tua fono-assenza è un segnale: /divieto di sosta/strada senza uscita/rallentare/o solo/passaggio pedonale.” L’idea di percorso, intesa come relazione con l’altro, si riflette in questa composizione di Tomaso Binga, esponente di spicco della poesia visiva, da sempre attenta al corpo della parola, che sa divenire, in infiniti modi, strumento d’indagine della cosiddetta realtà. Nell’interrogare il silenzio dell’interlocutore, ricorrere ai segnali stradali per indicare l’impossibilità di dialogo, lo stallo emotivo, la prudenza o il malumore momentaneo è scelta che riflette su un concetto antico e sempre nuovo. Muoversi verso i propri simili, infatti, significa affrontare un cammino solo all’apparenza chiaro e lineare, ma di fatto costellato di ostacoli o difese che, non a caso, nel testo, occupano ciascuno un intero verso, come porte chiuse che costringono a nuove strade o a interrompere il viaggio. Se dunque è percepibile un’ironia nella fatica di interpretare la “fono-assenza”, che è pur sempre presenza del non detto e dunque sprone a formulare congetture, altrettanto viva è la speranza, in “o solo”, che la distanza e l’ostilità siano transitorie. Percorrere il linguaggio, attraversarne le ambiguità è impresa da poeti. Solo la poesia, in effetti, può giungere dove nessun sentiero logico porterebbe. Le parole fingono di tracciare mappe per poi scompaginare tutti i punti di riferimento. Spetta all’artista trasformarle in sentieri a cui spesso può sfuggire la meta, ma che restano un antidoto al rifiuto di ogni empatia.