Il museo della polvere di Gian Maria Tosatti - Le Cronache
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Il museo della polvere di Gian Maria Tosatti

Il museo della polvere di Gian Maria Tosatti

Trasformare la transitorietà in persistenza, inchiodando ciò che è caduco alla sua natura di porta del tempo. Una dissoluzione che si oppone polemicamente a una distruzione della memoria condotta in modo subdolo. “Per un museo della polvere”, visitabile fino al 10 ottobre presso il Museo Archeologico Provinciale di Salerno, è l’esposizione di Gian Maria Tosatti che rientra nel percorso Tempo Imperfetto a cura di Stefania Zuliani e Antonello Tolve. Il progetto, che vede alleati la Fondazione Filiberto Menna, il Comune e la Provincia di Salerno, intende creare un dialogo tra passato e presente attraverso opere realizzate in situ. Se Tolve ricorda come Tosatti parta “da un’analisi di natura teatrale in cui lo spazio diventa esso stesso opera d’arte” e Zuliani evidenzia che la polvere “si declina contemporaneamente come elemento germinale e direzione residuale”, l’artista, con “La mia parte nella seconda guerra mondiale”, la teca che contiene polvere proveniente dalla chiesa napoletana dei Santi Cosma e Damiano, intende concepire questo elemento come “un romanzo polifonico da districare”, un mezzo che non si limita a esprimere la sostanziale fragilità del contesto umano, ma denuncia l’atomizzazione della conoscenza che è sempre gioco perverso del potere. Ciò che resta diviene cosi ponte tra epoche diverse e spinge a difendere quel che si preferirebbe eliminare definitivamente. Non è dunque un museo-sepolcro quello a cui si pensa, ma una sorte di custode attivo di quel che si crede perduto. “Pochi hanno resistito alla tentazione di consegnare il secondo conflitto mondiale all’esorcismo dei libri di storia- afferma l’artista- Ricordiamo che in “Napoli milionaria” il protagonista fa fatica a rievocare ciò che ha vissuto e in un monologo di “La paura numero uno” i canti dedicati alle guerre cessano nel momento in cui si giunge all’ultima. Questa però non deve essere definita una catastrofe, ma un atto fondante su cui si è eretto tutto quello che è venuto dopo, come le acropoli edificate sulle necropoli. I miti fondanti del nostro tempo sono quelli di cui si fa fatica a dire il nome ed Eduardo diceva il vero nell’affermare che la guerra non era finita. Spetta a un artista denunciare che un evento è ancora in atto. E poiché l’archeologia permette di conoscere il presente, mi carico la mia parte di archeologia attraverso questa teca, contro la tendenza alla polverizzazione della nostra società”.

Gemma Criscuoli

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