Quindici mesi per rimarginare del tutto quella ferita apertasi il 2 febbraio 2021. Ad Amalfi i ponteggi hanno lasciato spazio all’armonia, alla bellezza del grappolo di case variopinte sulla roccia del rione Vagliendola. I sei archi bianchi aggrappati alla roccia, in perfetta armonia col paesaggio, regalano speranza e fiducia. Soprattutto negli uomini e nelle istituzioni che in sinergia hanno lavorato alla celere ricostruzione. Un intervento finanziato dalla Regione Campania e realizzato a regola d’arte – e senza non poche difficoltà – dall’impresa Cardine srl di Salerno. Un’idea progettuale, autorizzata dalla Soprintendenza di Salerno, che porta la firma del professor Michele Brigante al quale il Comune di Amalfi affidò l’incarico di ripensare la costruzione delle strutture crollate. A coadiuvarlo gli ingegneri Pierluigi Califano e Pietro Moretti, col supporto dell’ufficio tecnico comunale diretto dall’ingegner Pietro Fico, con gli architetti Chiara Imperati e Bernando Nunziata. Angelo Grimaldi, titolare dell’impresa Cardine srl di Salerno, che da anni in Costiera Amalfitana realizza lavori di bonifica e messa in sicurezza dei costoni potendo contare su un efficiente team di rocciatori e tecnici, spiega la complessità dell’intervento di Amalfi e le metodologie di risanamento utilizzate. E soprattutto la necessità di una nuova cultura della prevenzione da rischio idrogeologico. «Questo versante in roccia presentava un elevato carico di tensioni – ci spiega Grimaldi – e per consentirne la bonifica e soprattutto il consolidamento, sono state progettate soluzioni d’avanguardia.In considerazione della particolare ubicazione del sito, in seguito agli interventi di risanamento dopo il disgaggio controllato, è stata eseguita la messa in opera di rete metallica di contenimento con tiranti passivi, creando un reticolo di consolidamento con l’ausilio di tiranti attivi che lavorano a 15 metri di profondità. In quota, poi, sono stati costruiti gli archi a consolidamento del costone e alla base della strada dell’Annunziatella, progettati tenendo conto di un bassissimo impatto ambientale». Lavori realizzati in tempi record e in condizioni non sempre favorevoli. «Abbiamo lavorato con turni diurni e notturni per abbattere i tempi e arrecare meno disagi possibili alla popolazione residente e ai turisti – ricorda – La statale è rimasta sempre aperta al traffico grazie alla galleria artificiale realizzata in tubi e giunti in acciaio che ci ha permesso di operare al di sopra del piano viabile, in quota». La Costiera Amalfitana è costretta a convivere con il dissesto idrogeologico ed è paradossale che gli interventi di mitigazione del rischio siano sempre più rari. Anzi: è consuetudine l’intervento postumo all’evento franoso. «Il dissesto idrogeologico in Costiera Amalfitana, patrimonio Unesco, è molto diffuso e questo rende la zona bella ma spesso anche impossibile. Negli anni si è verificato un’enorme impermeabilizzazione del territorio che ne ha ridotto di molto la ricettività idraulica. Questo ha causato il notevole trasporto a valle di enormi quantità di detriti, molto spesso non in grado di essere accolti da torrenti e canali. Di solito questi eventi possiamo ascriverli anche alla mancata programmazione di necessaria dotazione finanziaria, ma ovviamente anche perchè si verificano dopo centinaia di anni facendo perdere ciclicamente la memoria» ci dice Grimaldi che aggiunge: «Fortunatamente, negli ultimi anni, gli operatori del settore hanno acquisito una grande sensibilità e insieme con geologi e ingegneri geotecnici che riescono a classificare scientificamente gli eventi e attraverso appropriati software, a eseguire una corretta progettazione, si sono fatti passi da gigante, passando dalla visione empirica degli interventi, a calcoli scientifici ed affidabili. Molto spesso alle Amministrazioni proponiamo monitoraggi che permettano di contenere i fenomeni mitigando i rischi e ad avere una storia degli eventi anche quando non sono calamitosi e non causano danni. Con i monitoraggi quindi, siamo in grado di intervenire sul nascere di eventi franosi anche dove non ci sono pluviometri». Le amministrazioni potrebbero sfruttare l’occasione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) per una seria attività di monitoraggio volta alla mitigazione del rischio? «Credo che dopo il disastro di Amalfi si sia raggiunta una certa consapevolezza e maturità – commenta il titolare della Cardine -. Fino ad ora non c’era stata, ma adesso con questi fondi si potrebbe mettere in campo una seria programmazione. Bisogna però saper spendere questi fondi: il 2026 è dietro l’angolo. Non c’è da dimenticare la natura delle lunghe procedure per gli appalti, nonostante le modalità di semplificazioni consentite dalle ultime norme. Anche se molti progetti sono già redatti, occorre pur sempre eseguire le opere. Mi auguro che una buona parte di queste siano appaltate nei tempi e, nel caso non ci si riuscisse, speriamo nella concessione di una proroga da parte dei Governi Europei in quanto l’Italia è sicuramente il Paese a più alto rischio rispetto agli altri ed occorre essere sereni sia nella progettazione che nella esecuzione ad evitare di vanificare il tutto».
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