Il dialogo delle Sonate e il labirinto melodico - Le Cronache
Spettacolo e Cultura Musica

Il dialogo delle Sonate e il labirinto melodico

Il dialogo delle Sonate e il labirinto melodico

Secondo appuntamento, sabato 30 ottobre alle ore 20,30 in San Giorgio, della I edizione di Salerno Classica, firmata dalle associazioni Gestione Musica e PianoSolo Festival

 

di Olga Chieffi

Secondo appuntamento sabato 30 ottobre per Salerno Classica, ideata dalle Associazioni Gestione Musica e PianoSolo, un progetto articolato che ha visto le associazioni concorrere e ottenere il finanziamento dal Fondo unico per lo Spettacolo nella sezione Nuove Istanze 2021, con il progetto “Celebrazione, Tradizione, Innovazione”, 15 concerti che coinvolgono oltre il comune di Salerno, che ha sostenuto la kermesse, anche le città di Benevento, Amalfi e Brienza. Il secondo appuntamento di Salerno Classica, è stato fissato nella chiesa di San Giorgio, alle ore 20,30(Ingresso tra i 7 e gli 8 euro, a seconda delle riduzioni), e sarà interamente dedicato alle Sonate da Camera. Il concertopropone l’ascolto di due maniere nuove e rivoluzionarie di concepire la forma della “sonata”: da una parte l’arte e l’ingegno di Rossini con le sonate a quattro con un ensemble del tutto originale con due violini (Giuseppe Carotenuto e Alessia Avagliano), violoncello (Francesco D’Arcangelo) e contrabbasso (Luigi Lamberti) e Ravel con la famosa e affascinante sonata per violino e violoncello, ricca di colori e linguaggi innovativi. Nell’estate del 1804 la famiglia Triossi ospita Gioachino Rossini nella villa ravennate di Conventello; Agostino Triossi, amico mecenate e contrabbassista oltre che uomo d’affari, chiede al dodicenne provetto compositore di comporre un po’ di musica da camera che preveda la (ingombrante…) presenza del suo strumento. Rossini concepirà così Sei Sonate a Quattro per l’anomalo quartetto formati da due violini, violoncello e appunto il contrabbasso. Tre giorni per scrivere con una rapidità che sempre ritroveremo nella biografia rossiniana; chiare influenze di Haydn e Mozart nella ricerca di equilibrio formale, influenze che valsero poi al Nostro il soprannome di “Tedeschino”; un lavoro che nella struttura rivela le ancor acerbe intenzioni del musicista. Ogni Sonata è tripartita e alterna due movimenti veloci a uno centrale più calmo; proprio come avverrà nelle Sinfonie operistiche, all’interno di queste Sonate non c’è spazio per quel momento dialettico che è lo sviluppo basato sul contrasto tematico. Rossini affianca una all’altra le proprie idee che si susseguono senza mai arrivare a “combattere” tra loro opponendo le rispettive caratteristiche melodiche o tonali, combattimento ideale e sonoro che invece è base fondante e necessaria della visione romantica. Nel Rossini più maturo così come nel brillante giovanissimo autore di queste Sonate a quattro non c’è vero interesse per il momento del travaglio, per ricerche e movimenti complessi e a volte contraddittori: tutto deve risultare appianato in una assertività che anche qualora si adombrasse di malinconia resta comunque sempre essenzialmente positiva. La sonata n°1 in Solsi articola in tre movimenti rispecchiando il medesimo schema tradizionale tripartito in forma di concerto, con due movimenti veloci ed uno centrale lento. Moderato/Andantino/Allegro. La forma-sonata concepita da Rossini per questo lavoro presenta, però, delle peculiarità. Questa pagina non è organizzata convenzionalmente secondo l’alternanza di due temi e di due aree tonali, ma procede per semplice susseguirsi di temi, nel Moderato, ed è avara nell’uso di transizioni fra un tema e l’altro. Il perno su cui verte questa sonata può essere considerato complessivamente un susseguirsi cantabile di idee melodiche in forma ternaria. Si proseguirà con la Sonata op.73 di Maurice Ravel per violino e violoncello. Dedicata «a la mémoire de Claude Debussy», la Sonata per violino e violoncello fu pubblicata da Durand nel 1922 ed ebbe la sua prima esecuzione integrale il 6 aprile di quello stesso anno alla Salle Pleyel di Parigi, in un concerto della S.M.I. con Hélène Jourdan-Morhange, amica e poi biografa di Ravel, al violino e Maurice Maréchal al violoncello: sembra che il pubblico sia rimasto alquanto sconcertato dalla Sonata e molti critici ne stigmatizzarono le molte dissonanze e le armonie aspre, interpretandole come frutto di uno snobismo intellettualistico. Ravel era perfettamente consapevole di aver utilizzato in questa Sonata un linguaggio nuovo, diversissimo da quello cui aveva fino ad allora abituato il pubblico, spingendolo a un estremismo che non ha quasi uguali nella sua produzione, e in uno schizzo autobiografico del 1928 aveva ammesso: “Credo che questa sonata segni un punto di svolta nell’evoluzione della mia carriera. La scarnificazione è spinta qui all’estremo. Rinuncia alla fascinazione armonica; reazione per contro sempre più marcata nel segno della melodia”. Tutto ciò si fa evidentissimo già nell’Allegro di apertura, che nonostante la cantabilità del tema iniziale assume presto toni inquieti e ansiogeni, grazie, anche agli urti spesso violenti con l’ossessiva cellula di accompagnamento, innervandosi sempre più di una densa scrittura contrappuntistica. Il successivo Très vif è una sorta di spigoloso scherzo che, dai fibrillanti pizzicati dell’avvio, si colora sempre più di bagliori lividi dalla violenza sonora quasi espressionista, con la comparsa di un motivetto di canzoncina infantile deformato e distorto. Un po’ come il tempo lento del Trio, anche il terzo movimento (Lent) è aperto da una calma melodia di otto battute esposta al grave dal violoncello – finalmente libero di suonare nei registri a lui più familiari, dopo che nei primi due movimenti si era prevalentemente dovuto arrampicare all’acuto – e poi ripresa dal violino. Il finale (Vif, avec entrain) è animato fin dall’inizio da una grande vitalità ritmica, cui si sovrappone presto la densa scrittura contrappuntistica che aveva già caratterizzato il primo tempo. A chiudere la serata, la Sonata n. 6 in re maggiore di Gioacchino Rossini, che consente di fare un rapido raffronto con la maturità dell’operista, seppur giovane, che il genio di Pesaro diverrà qualche anno dopo: il terzo movimento della Sonata sesta ha per sottotitolo La Tempesta ed è interessante confrontarne l’ascolto con il Temporale dal Finale della Cenerentola (vedi “Una fiaba nella fiaba” ). Gli ingredienti ci sono tutti: tremoli, sospensioni, crescendi e scale, qui soprattutto scale ascendenti e discendenti rapide come fulmini; la fantasia è già lì, intera e pronta a liberarsi, il ragazzo cederà presto il passo a quel Maestro che il mondo ci invidia.