Il tenore italo-argentino è oramai un habitué del teatro Verdi di Salerno, che ritroviamo per questo particolare Trovatore al fianco di Violeta Urmana e Irina Moreva
Di Luca Gaeta
Abbiamo incontrato il tenore italo-argentino alla vigilia della prima de’ Il Trovatore che va a chiudere la trilogia verdiana
L.G. Come si è avvicinato alla musica ed al canto?
G.P. La mia storia è abbastanza particolare: come lei saprà sono italoargentino. Sono nato a Corriobo, vicino Cordoba, ma vivo in Italia da ventun anni. All’opera lirica mi sono avvicinato tramite la scuola che ho frequentato nel mio paese da tecnico meccanico tornitore e infatti fino a ventidue anni ho lavorato in questo settore, oltre che in campagna con i miei genitori e proprio in quella scuola in occasione della festa delle collettività italiane mi fecero ascoltare alcune registrazioni di Luciano Pavarotti e da lì fu proprio amore a primo ascolto, un totale innamoramento verso questo genere musicale. Poi iniziai a studiare canto presso la scuola del Teatro Colón di Buenos Aires e a ventitré anni lì ho debuttato con L’Elisir d’amore di Donizetti.
L.G. Il suo sodalizio artistico con il Maestro Daniel Oren, quando è iniziato e quali sono state le produzioni a cui si sente particolarmente legato?
G.P. La prima esperienza con il Maestro Oren è stato a Trieste nel 2007 in una produzione di Manon Lescaut di Puccini. Poi ci siamo ritrovati nel 2014 in una Carmen di Bizet in Cina, in tournée con il Teatro Verdi di Salerno e da lì lui incominciò a volermi nelle sue produzioni all’Opera di Israele, in Cina, al San Carlo di Napoli con Adriana Lecouvreur di Cilea, poi qui a Salerno. Con lui ho imparato tanto e lo considero un “numero uno” nella lirica. È stato ed è per me un grande riferimento!
L.G. La sua vocalità è mutata notevolmente rispetto al suo debutto. Oggi quali titoli rappresentano in suo repertorio?
G.P. Si! Attualmente sto cantando il repertorio da tenore lirico spinto: Trovatore, Manon Lescaut, Tosca, Ballo in maschera, Norma, ho debuttato l’Otello di Verdi. In Argentina nei primi anni ho cantato anche il repertorio di bel canto: Rigoletto, Flauto magico, Lucia di Lammermoor. Adesso, a cinquantun anni, con ventisei anni di canto, la mia voce è maturata verso questo tipo di repertorio da lirico spinto, anche se nel pensiero cerco sempre di cantare da lirico, che a mio parere rappresenta l’unico modo di cantare correttamente, conservando la voce in salute, come diceva Beniamino Gigli.
L.G. Nel suo percorso di formazione si è lasciato ispirare da interpreti del passato? Ed oggi ci sono tenori che destano il suo interesse?
G.P. Mi sono sempre lasciato ispirare dai grandi cantanti del passato. A mio avviso uno dei più grandi tenori, completo sotto diversi punti di vista, è stato Aureliano Pertile. Per la musicalità, la vocalità, la tecnica vocale. Oggi ci sono tenori bravi, ad esempio Piotr Beczała, che ammiro tantissimo per la sua grandissima musicalità e tecnica.
L.G. Quali sono i tratti caratteristici del “suo” Manrico?
G.P. Totalmente aderente alla penna dell’autore: giovane, spavaldo, caparbio nel voler affermare i suoi ideali. Cerco di conferire questi caratteri all’interno della scrittura verdiana, molto complessa per questo personaggio, dalla vocalità ardua, che necessita di tutte le sfumature di colore, scritta sempre sul passaggio.
L.G. Maestro quali saranno i suoi prossimi impegni?
G.P. Prossimamente canterò tre concerti nel mantovano, poi Mefistofele di Boito ad Hannover e Baden-Baden. Poi a Marsiglia per Aida, poi Otello di Verdi con la Filarmonica d’Israele.