Il “cavalier” Placido Domingo: il baritono eroe - Le Cronache
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Il “cavalier” Placido Domingo: il baritono eroe

Il “cavalier” Placido Domingo: il baritono eroe

Trionfo indiscusso del cantante madrileno alla reggia di Caserta, che ha spaziato tra l’opera italiana, la Zarzuela e le immancabili canzoni napoletane, in duo con il brillante soprano Saioa Hernandez

Di OLGA CHIEFFI

“Il timbro del baritono è quello più difficile da trovare ed educare – soleva ripetere mia nonna Olga, nel corso delle riunioni serali in salotto, durante le quali si suonava, si poetava, si organizzavano stagioni musicali, mostre, cercando di arricchire la vita culturale di quella piccola città fatta a misura d’uomo, la Salerno dei primi anni del secolo scorso -, la voce di baritono ha un fascino tutto particolare poiché si pone tra il registro del tenore, all’ eterna ricerca dell’acuto e quello scuro e profondo del basso”. La nonna aveva avuto la fortuna di ascoltare i grandissimi Gino Bechi, Ettore Bastianini, Tito Gobbi, Titta Ruffo, Giuseppe Taddei, non aveva che l’imbarazzo della scelta, come non rimanere affascinati dal carisma  di Taddei, così versatile da essere un punto di riferimento sia nei ruoli comici che in quelli più marcatamente drammatici, o l’istrionismo di Paolo Montarsolo e di Enzo Dara, o l’arte finissima di Sesto Bruscantini e di Renato Capecchi fino al maestro Renato Bruson o il basso-baritono Ruggero Raimondi. Cosa avrebbe detto del Placido Domingo che sabato sera ha incendiato la Reggia di Caserta? Che Placido Domingo nonostante azzardi la corda da baritono, resta tenore nell’animo, l’eroe, il “cavaliere”. Domingo affiancato dalla voce splendida di Saioa Hernandez, tecnicamente impeccabile, ha esordito nei panni di Macbeth, uno dei ruoli verdiani più ardui interpretativamente, lambendo soltanto la fragilità dubbiosa e feroce, le cupe screziature in fa minore («Fatal mia donna, un murmure»), e quella disperazione senza pentimento: nell’accorato re bemolle maggiore dell’aria “Pietà, rispetto, amore”. Quindi, dopo il “Vissi d’arte” della Hernandez, il Gérard, di “Nemico della Patria”. Gèrard è mosso dalla gelosia, non dall’ideale politico, deve restare un servo, e anche qui è mancata l’idea della sentina, del tramare nell’ombra, quel fabbricare, pur provando ribrezzo di se stesso, le accuse ad un innocente per trasformarlo in traditore, straniero, “poeta”, nemico della patria. Quindi “La mamma morta” applaudita prova vocale, grazie alla voce duttile, omogenea in tutti i registri e ben timbrata anche nelle parti più gravi. Chiusura della prima parte del concerto, con il duetto del Trovatore “ Udiste? Mira d’acerbe lagrime”, tra il Conte di Luna, che deve macerarsi tra le incertezze che lo condannano ad una solitudine predestinata e la sincera Leonora, che non attende spiegazioni per sacrificarsi nella sublimazione di un affetto reso dalla vocalità della Hernandez, in ogni fibra.  Confessiamolo: siamo tutti andati a Caserta per omaggiare Placido Domingo, ma abbiamo incontrato uno splendido soprano e un pari direttore, Jordi Bernacer, alla testa della Filarmonica Salernitana Giuseppe Verdi, il quale è riuscito a coniugare partiture michelangiolesche come Macbeth e Trovatore, non abbandonando mai i cantanti, alla ricerca di un suono cangiante, che ha spaziato dall’ouverture de’ “La Forza del Destino”, con il clarinettista casertano Luigi Pettrone, che, finalmente, ha “giocato” in casa all’ombra della Reggia, con suono rotondo e omogeneo di straordinaria trasparenza e colore, al Notturno di Martucci, in cui si è respirato fascinazione da cima a fondo, alla luce di un nitore di segno fonte della modernità del tempo, sino all’Intermedio de’ La Boda di Luis Alonso, che ha introdotto una piccola antologia di Zarzuelas. L’ ‘excursus’ di Domingo e della Hernandez, attraverso quella che è la musica della loro tradizione popolare, è scorso fluido. La voce di Domingo ferma, il timbro morbido e teatrale che ne ha contraddistinto la carriera, la parola nella sua lingua, scolpita ed una ‘verve’ inossidabile che, quando occorre, cedeva il passo ad una straziante malinconia, ha confermato ciò che già ben sapevamo, ovvero, che, a prescindere dalle sue discutibili scelte di repertorio a cominciare da quel Rigoletto in Rai, che Placido Domingo resta una stella incontrastata del panorama musicale, poiché è vero musicista. Domingo resta un eroe, anche nell’indossare il frac senza “variazioni”, all’età di circa ottant’ anni, con cambi d’abito, il braccio che non è mai mancato a Saioa Hernandez, il tutto in una notte caldissima, conclusasi con ciò che attendeva certo pubblico, le canzoni napoletane, in ricordo dei tre tenori, sicuramente l’episodio più commerciale di una indimenticabile carriera. “Dicitencello vuje” e “Core ‘ngrato”, che ha salutato l’intenso solo della “spalla” Daniela Cammarano, chiudendo in duetto con la Hernandez “ ‘O sole mio”. Applausi per tutti e per il direttore artistico Antonio Marzullo che ha seguito emozionato, il concerto al fianco della direttrice della reggia, Tiziana Maffei.

Nell’ immagine di Nicola Cerzosimo, Placido Domingo