Un tappeto sonoro e visivo, intessuto finemente da Lelio Schiavone e Antonio Adiletta, segnerà il preludio estivo della galleria Il Catalogo. E’, infatti, noto che le diverse arti, siano esse musicali, letterarie o figurative, intersechino i loro linguaggi: un’opera d’arte può essere letta come una partitura, con le sue mescolanze di armonie, o in un’esecuzione il musicista è alla continua ricerca di diversi effetti coloristici, andando a creare quell’ unica lingua in grado di trasmettere l’incanto, la meraviglia, l’angoscia del silenzio e la gioia del “canto” delle cose. La galleria salernitana apre all’immagine fotografica e lo fa in musica con un tributo ai capiscuola del jazz dell’ultimo cinquantennio, fissati dall’obiettivo di Francesco Truono. Una ventina le immagini che andranno a comporre un’esposizione, il cui vernissage è previsto per venerdì 6 giugno alle ore 20, che ci accompagnerà sino alla festa della Musica del 21 giugno. Un vero e proprio evento l’inaugurazione che saluterà le performances dei giovani strumentisti Daniele Truono ai sassofoni e Gabriele Pagliano al contrabbasso. Francesco Truono, ha inteso dedicarsi al sentire in musica di giganti del jazz quali Keith Jarrett, Malachi Favors dell’Art Ensemble of Chicago, Ornette Coleman, Archie Sheep, Maria Joao, B.B.King, Carla Bley, Herbie Hancock, Joe Zawinul, Freddie Hubbard in cui incontriamo la tensione tra l’idea anarchica di libertà e quella di democrazia, ripudiata, a favore di un quadro in cui il mito denuncia il suo contenuto di pensiero (secondo la formula hegeliana) con più pertinacia di quello della sua determinazione all’ambientazione narrativa, ovvero uno “spazio” che non serve minimamente a se stesso ma impone la sua costanza narrativa alla fusione di un apparato tematico inorganico, disperso.
Francesco Truono ha fissato l’istante del gioco scenico del jazz che viene costruito attorno ai fantasmi di musiche e gesti musicali esistiti: il gesto mimetico, il fraseggio, il modo di porgere, il suono complessivo, funzionanti di volta in volta allo scopo, al “rinvio” richiamato. “L’artista cerca – scrive Olga Chieffi nel suo Light and Day a commento della mostra – di sviluppare attraverso il suo attentissimo obiettivo, un’interazione con i musicisti, per fissare il loro personale interplay, che diventa un compatto teatro, in una identità che nasce e si sviluppa in relazione a obiettivi che a volte sono indicati dai titoli, a volte da aspetti percepibili solo dal vivo e che non possono comparire nelle registrazioni, come abiti, trucco, gesti.
Ecco allora le immagini di Francesco Truono, in tutto lo splendore del colore, rivelanti un jazz in tutti i suoi contrasti, in cui sembra voler considerare in ogni occasione la fremente realtà vitale di un’arte che dello svanire nell’istante stesso ha fatto una regola. La musica è la guida prima del nostro fotografo, che gli permette di realizzare scatti di scena e fuori scena, e gli ha concesso anche l’opportunità di fargli comprendere che il suo desiderio di cacciatore d’immagini, va ben oltre la semplice registrazione della realtà speculare. La cosa è tutt’altro che ovvia: una certa etica fotografica sostiene che il musicista esiste realmente solo “sulla scena” e che il resto non ci riguarda. Opinione non condivisa da noi, poiché lo scatto di Truono sa scavare per comprendere meglio il musicista, osservandolo nelle sue particolari posture, vedendolo piegarsi, raddrizzarsi, raggomitolarsi, alla ricerca di quell’elemento cinetico simbolo di un tentativo di intercettare il gesto prima che si concluda, contenente quella particolare ambiguità che è l’essenza stessa del jazz. Il reale è l’impossibile nelle immagini di Francesco Truono, il quale seguendo la voce, il tempo-interiore, il tempo-spazio, di questi musicisti, riesce a farci “vedere” ciò che non avevamo visto, che la base di un microfono si trova esattamente nel prolungamento di una luce di scena, che le corde del contrabbasso giocano alla perfezione con le righe di un abito abbandonato su di una sedia, secondo una formula che potrebbe racchiudersi in un dare testimonianza della presenza delle cose, rendendo sensibile uno spazio che le separa e che le tiene unite attraverso il fluxus della musica. La fotografia è una finzione, ma una finzione istantanea. Più che raccontare una storia, questa rivela il momento in cui la storia avrebbe potuto accadere” Il possibile è esattamente – e necessariamente – ciò che è accaduto, contiene solamente la relativa banalità delle cose che sono successe come previsto. Il reale, al contrario, affascina grazie all’imprevisto, all’inverosimile, all’impossibile, al quale è legato, esattamente come Francesco Truono che spia l’istante stesso in cui nasce, grazie a quel suo ostinato coraggio nel seguire e perseguire instancabilmente, unicamente la musica, con, come unico obiettivo, aleatorio, rischioso, iniziatico, l’approdo ad un reale che restituisca a noi un qualcosa di una scena segreta nella quale le emozioni si saldano al racconto.
Giulia Iannone