Raccontare la memoria della Shoah in Italia significa anche confrontarsi con un fenomeno che si è evoluto lungo la nostra penisola in tempi e modi diversi e non omogenei durante la Seconda Guerra Mondiale. La storia dell’internamento degli ebrei nel meridione d’Italia è stata per lunghi decenni quasi completamente dimenticata per vari fattori: numericamente irrilevanti sulla percentuale totale dei deportati, mentre non sono minimamente comparabili alle condizioni di privazioni che gli ebrei subirono nell’internamento nei campi di concentramento nazisti. Inoltre gli ebrei avevano una maggiore presenza demografica nel centro-nord del paese, rispetto all’esiguità numericamente presente al sud.
Tanto che i campi d’internamento meridionali furono principalmente quelli di Ferramonti in Calabria e Campagna nel salernitano. A Campagna dopo le restrizioni delle leggi razziali del 1938 i primi internati furono 340 uomini catturati in diversi parti d’Italia costretti a restare in domicilio coatto dentro due ex conventi in piena città. Per la maggioranza si trattava di profughi ebrei provenienti dalla Germania, dall’Austria, dalla Polonia, dalla Cecoslovacchia e dalla Dalmazia (Fiume, provincia italiana fu porta di salvezza clandestina per sfuggire ai nazisti da est) tra i detenuti, oltre agli ebrei vi erano anche alcuni cittadini di paesi in guerra contro l’Italia: inglesi, francesi, russi, turchi, rumeni e lettoni.Considerato il regime coatto, le condizioni di vita instaurate nel campo salernitano erano relativamente buone. Gli internati ebrei potevano ricevere visite e avere assistenza, in cibo, vestiti e denaro, offerta loro dalla DELASEM (Delegazione per l’Assistenza degli Emigranti Ebrei). Tanto che nel corso dei tre anni, solo due ebrei morirono, forse di tifo, e furono sepolti nel cimitero cittadino con rito funebre celebrato da due rabbini. L’assistenza medica agli internati ufficialmente era assegnata a un medico locale. Questo, nonostante fosse proibito dal fascismo, non mancava di farsi aiutare anche dai medici ebrei internati a Campagna, coordinati dal Dottor Maks Tanzer, supportato dal giovane medico Enrico Chaim Pajes. Le gravi condizioni igieniche e sanitarie in cui versava, sia il campo sia l’intero paese, impedirono alle autorità locali l’applicazione del divieto di “esercitare” ai medici ebrei. Di questo servizio sanitario aggiuntivo ne beneficiarono gli internati e l’intero paese, dove era particolarmente elevato il rischio di malattie infettive. Le aree in cui gli internati potevano muoversi liberamente furono delimitate da strisce di pittura colorata sul selciato, ma le forze dell’ordine addette alla sorveglianza non erano fiscali per violazione di confini così labili , lasciando che gli internati liberi di circolare per le vie e le case arroccate dell’abitato lungo il Tenza. A Campagna si affermò l’atavica umanità montanara – campagnola di quelle terre isolate. Ci fu il rispetto, tolleranza e finanche l’integrazione reciproca tanto il razzismo non allignò. Non attecchirono neppure il nazionalismo diverso e neppure divisioni di carattere religioso. Gli internati furono accolti dai campagnesi come ospiti, tant’è che si crearono legami di amicizia tali che molti detenuti pranzavano a casa di amici del luogo. La stessa vigilanza chiudeva un occhio limitando i controlli in uscita dal paese. Tale cosa coinvolse anche il podestà e le autorità fasciste del luogo che omisero di segnalare le attività culturali e sanitarie svolte dagli internati alle autorità superiori. Un importante ruolo umanitario fu assunto anche dal vescovo di Campagna, Giuseppe Maria Palatucci e suo nipote Giovanni Palatucci, questore di Fiume, che inviando il maggior numero possibile di ebrei istriani nel campo di Campagna, ne salvò diversi dai campi di sterminio. Molte furono le iniziative poste in opera per alleviare la detenzione degli internati, fu allestita una biblioteca, fu formata una squadra di calcio che giocava periodicamente con squadre esterne ed era stampato un bollettino degli internati. Nella caserma di San Bartolomeo fu allestita anche una piccola sinagoga in cui gli ebrei potessero celebrare i loro riti e, per un periodo, su invito del vescovo Palatucci, un pianista internato suonò l’organo in Chiesa durante le celebrazioni cattoliche. Insomma la cittadinanza socializzo con i confinati e il razzismo non alligno neppure con i delatori. Con la rapida evoluzione dell’armistizio a Campagna avvenne forse l’unico caso d’immediato abbandono del campo da parte degli internati.Con l’8 settembre 1943, all’arrivo delle forze alleate a Salerno, le truppe tedesche poste nelle prossimità di Campagna, con intenzione di fare rappresaglie contro gli ebrei si diressero verso i due ex conventi. Arrivati nel paese, non trovarono nessuno, perché gli ebrei preventivamente avvisati dagli abitanti, pur restando in zona si erano allontanati fra le montagne.Campagna il 17 settembre 1943 subì due pesanti bombardamenti da parte degli Anglo-Americani nei quali morirono centinaia di civili (incluso un ebreo ex-internato). Quel giorno due grossi aerei americani sganciarono i propri ordigni in alcune zone del paese, tra cui la strada davanti al Comune, colpendo la folla riunita per ricevere la razione di pane. A Campagna per la paura dei tedeschi presenti in zona e per il timore di altri bombardamenti non giunse alcun aiuto esterno. Fondamentale, in quelle ore, si rivelò l’intervento proprio dei medici ebrei che nascosti sulle montagne, visto il bombardamento fecero ritorno in paese per portare soccorso ai tanti feriti. In un momento tanto drammatico essi ricambiarono, da protagonisti l’umanità ricevuta dei mesi precedenti, mostrandosi portatori del senso del dovere universale sancito nel giuramento di Ippocrate. Il caso di Campagna forse costituisce un esempio unico di solidarietà, condivisione e umanità. A Campagna il rispetto umano reciproco non fu scalfito dalle leggi razziali, né da divisioni religiose e neppure dal diverso tenore sociale. Dopo la liberazione di Campagna, avvenuta il 19 settembre 1943, presso l’edificio della caserma San Bartolomeo fu allestito un campo profughi demandato alla gestione dagli Alleati. Oggi negli stessi luoghi che furono d’internamento, nello stesso edificio è allestito il Museo della Memoria e della Pace e il Centro Studi “Giovanni” Palatucci” spazi che raccontano, non solo nei giorni della “memoria della Shoà” come a Campagna l’umanità sconfisse il razzismo.
Giuseppe Mdl Nappo