di Michelangelo Russo
Il dibattito parlamentare sempre più acceso sul caso Cospito non può non portare a una riflessione più attenta e lungimirante sulla reale portata politica degli interessi in gioco, e un richiamo alla mai sopita vicenda della presunta trattativa Stato Mafia seguita alle stragi mafiose del 1993. La difficile realtà da accettare, alla luce degli eventi in corso, è la possibilità che la Mafia debba considerarsi come soggetto collettivo, e quindi detentore di potere contrattuale con la massima espressione dello Stato fornita dal Parlamento. Questo dialogo è inammissibile e inconcepibile, ufficialmente! Ma il problema del 41 bis esiste comunque, e continuerà ad esistere finché le forze migliori di tutta la politica non riusciranno a trovare una strada comune per esorcizzare quello che, in ogni caso, è un dramma umano insopportabile per la dignità della persona sotto il profilo della nostra cultura civile e religiosa. Il 41 bis, che è un articolo dell’Ordinamento Penitenziario Italiano, è un regime carcerario applicato con decreto del Ministro della Giustizia, sentite le magistrature interessate dal caso e i vertici dell’Antimafia, sul pericolo concreto di permanenza di contatti dei mafiosi con le proprie organizzazioni criminali, nonostante il regime di detenzione. E che il 41 bis sia per i mafiosi una sorta di morte civile è fuori dubbio. Colloqui una sola volta al mese con i familiari stretti; pratica inesistenza di telefonate; contatti limitati con i difensori; stato di isolamento pressoché totale. Insomma, è un inferno per qualsiasi essere umano, per quanto coriaceo e delinquente possa essere. La giustificazione che si dà per tanta durezza carceraria è che essa non ha un fine di aggravamento della pena per i peggiori delinquenti, ma un fine di prevenzione mirata a interrompere i legami del mafioso con l’organizzazione malavitosa. Non c’è dubbio che la misura del 41 bis abbia la sua efficacia. Ma l’aspetto afflittivo sulla persona umana del mafioso è il corollario irrisolto di quello che è un indubbio vantaggio dello Stato nella lotta alla Mafia. Ci si domanda, con la nostra coscienza di eredi degli insegnamenti di Cesare Beccaria: è compatibile sacrificare la vita di un ingiusto per un fine giusto? Certo, abbiamo già detto che non è accettabile. La Corte Costituzionale ha già indicato delle strade per uscire dalla tenaglia del 41 bis. Ha detto la Corte che se vi è la dissociazione del mafioso dalla organizzazione criminale, comprovata dalla sua collaborazione con la Giustizia, non vi è più motivo per applicare a lui il 41 bis. Il mafioso pentito è considerato un infame dalla Mafia, e quindi ne è escluso. E’ difficile però, per la tipologia della Mafia più che delle organizzazioni terroristiche, pensare a una contagiosità tra i mafiosi di una fenomenologia di pentitismo. Quindi, il problema rimane irrisolto a tutt’oggi. Tant’è, che i segnali di un collegamento tra Cospito, qualificato come terrorista, e la Mafia sottoposta al 41 bis, paiono essere la pietra dello scandalo in Parlamento e l’origine dell’imbarazzo di Nordio sulla fuga di notizie riservate. Ma a parte le polemiche parlamentari, quella che appare evidente è l’alba di un tentativo di trattativa Stato Mafia sul 41 bis, in cui c’è da chiarirsi la coincidenza oggettiva dell’arresto di Matteo Messina Denaro. C’è stata un regia in tutto questo? Un’abile stratagemma della Mafia per dare un contentino allo Stato con un latitante storico in cambio di una attenzione agli altri mafiosi? Si è servita la Mafia di Cospito per aprire un fronte parlamentare favorevole in qualche modo al dialogo? Parrebbe di sì, secondo il famoso detto di Andreotti che a sospettare si fa male, anche se spesso ci si azzecca! Ma se veramente c’è un dialogo, o perlomeno un tentativo, per quanto inconfessabile, la questione è questa: che cosa ha da offrire la Mafia, posto che è ridicolo che possa pensare veramente di cavarsela con il regalo della testa dell’infermo Messina Denaro? Se, posto sempre che vi sia stata una prima trattativa nel 1993, la posta offerta allora dalla Mafia fu la fine delle stragi bombarole, quale può essere oggi il vero prezzo che la Mafia stessa può ritenere di poter pagare? E, soprattutto, quale è il prezzo che, ipoteticamente, lo Stato potrebbe accettare? Non si può negare che lo Stato, occultamente, ha spesso trattato con i nemici della legalità; lo ha fatto negli anni di piombo del terrorismo. Lo ha fatto con la Camorra; si diceva che la promessa fatta dello Stato al più grosso pentito della Camorra, negli anni ’90, fosse stata l’assicurazione del mantenimento del suo patrimonio in cambio della sua collaborazione di rivelazioni. Strategia, col senno di poi, assolutamente sbagliata. Il messaggio di conservazione del profitto dei delitti è deleterio come deterrente per una scelta di vita da criminale. Il vero deterrente è la consegna del profitto degli immensi patrimoni accumulati con una vita da mafioso. E’ questo, forse, il possibile terreno di scambio su cui operare una dissociazione non dalla Mafia (difficile, come si è detto, da verificarsi) ma dalla logica di accumulo di ricchezze infinite con il delitto. Forse anche questa è la via praticabile, legislativamente, per l’attenuazione del 41 bis a chi voglia consegnare tutto il malloppo allo Stato, senza dissociarsi ufficialmente (e pericolosamente per i suoi familiari) da quel soggetto collettivo (che si sta dimostrando anche soggetto politico, purtroppo) che è la Mafia. In fondo, chi si arrende rinunziando alla montagna delle ricchezze accumulate sol sangue, che è il fine principale di tutte le Mafie, sotto certi aspetti, è anche lui una sorta di pentito. E quindi è inaffidabile!