II "Sciuscià" di don Salvatore - Le Cronache Ultimora
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II “Sciuscià” di don Salvatore

II “Sciuscià” di don Salvatore

di Antonio Manzo

“Sciuscianismo”. Non è una categoria del pensiero, né una attitudine filosofica, né una scuola di pensiero vacua ed inconsistente. Fu il fenomeno sociale che segnò la vita di milioni di ragazzi italiani abbandonati che nel dopoguerra popolarono le strade di un’Italia distrutta dalla guerra lacerata negli animi. Il termine lo inventò Maria Gasca Diez, direttore del servizio di orientamento professionale del comune di Roma, una donna vicina alle comuniste dell’ UDI (Unione Donne Comuniste Italiane). Era stato già il linguista Alberto Menarini a descrivere quel mondo di fanciulli abbandonati pronunciando nel 1951 una delle creazioni lessicali più famose dell’ultima guerra mondiale, parola perfino più nota e declinata al tempo, soprattutto dai militari americani,di signorina. Una delle pagine più luminose dei “suscià” italiani è in casa nostra e inserita nel recente libro di Bruno Maida, docente di storia contemporanea, ed autore del recente libro i “I sciuscià”. Fu l’opera creativa di un sacerdote di Maddaloni minato, come lo definì il vescovo di Caserta monsignore Raffaele Nogaro “dall’invidia che colpisce persone che fanno del bene”. Il creatore del Villaggio dei Ragazzi di Maddaloni non fu un sacerdote comune ed apprezzato per la sua opera ma uno di quei preti dell “Chiesa di Pio XII” che impersonarono l’evangelizzazione con la Fede e la passione politica con la Democrazia Cristiana , e soprattutto, con Giulio Andreotti. Pagò in vita , don Salvatore, il prezzo delle ingiurie, spesso con la menzogna e la denigrazione fino a farlo diventare, con l’ausilio della “fervida” mente dei Pm napoletani di Mani Pulite, destinatario di un generoso contributo che gli aveva offerto un imprenditore napoletano per sostenere le spese di una delicata operazione al cuore, con quattro by pass, che avrebbe dovuto subire in quel di Houston. Una pagina dolorosa delle sua esistenza negli anni perfino in cui un atto di carità veniva stravolto, nell’epoca artatamente giustizialista del tempo. La sua personalità straripante oscillava tra la religione, l’opera di carità e la politica come avvenne, sia pure con modalità diverse da altri sacerdoti “sociali” del Novecento, don Zeno Saltini, creatore della comunità di Nomadelfia, don Lorenzo Milani con la scuola di Barbiana e don Lorenzo Bedeschi. Erano i sacerdoti che varcarono le frontiere del loro presente dell’epoca post bellica per vivere con gli “ultimi”. E’ l’Italia del 1947 e don Salvatore D’Angelo dopo un campeggio estivo realizzato dalla Pontificia Opera Assistenza del tempo, si rese tono che quel gruppo dei bambini ospitati non sarebbe tornato nelle loro case ma nelle strade delle città povere e in macerie. Don Salvatore organizzò la loro successiva accoglienza con le brandine da campo dismesse dai soldati. Da quel momento i “suscià” di don Salvatore avrebbero trovato casa nell’ex caserma Bixio di Maddaloni aprendo la Casa del Fanciullo che sarebbe diventata poi il Villaggio dei Ragazzi. Da qui sono passati migliaia di ragazzi, attraversando il Novecento e il Nuovo Millennio, che hanno studiato e si sono costruiti un avvenire. I ragazzi di don Salvatore beneficiarono dell’attivismo del giovane sacerdote che aveva studiato al Pontificio seminario francese, alla Gregoriana fino alla celebrazione della sua prima mesa sacerdotale (1 aprile 1945) alla quale volle presenziare, con la sua famiglia, Alcide De Gasperi che aveva conosciuto in Vaticano durante la frequenza di corsi di biblioteconomia con altri studenti tra cui Giulio Andreotti. E proprio da quei giorni, don Salvatore, scriverà nel suo testamento, sarebbe nata l’amicizia con Giulio Andreotti che si sarebbe consolidata nel tempo, <Ad Andreotti – scrisse don Salvatore – debbo tanta gratitudine per ogni genere di aiuto che ha avuto e saputo darmi sia nell’attività sociale che ho svolto a servizio degli altri e sia per l’affettuosità con la quale ha sognato la mia vita personale e sacerdotale>. Innumerevoli gli incontri negli anni con Giulio Andreotti che alla proiezione del film “Solo Dio mi fermerà”, il cortometraggio che raccontava la vita e le opere di don Salvatore saranno presenti la famiglia del leader politico con la moglie Livia e la madre di Giulio Andreotti Rosa Falasca. Alla sala Rivoli di Roma, scriverà don Salvatore, <mi sono trovato seduto tra mia madre e la madre di Giulio>. Ma l’abilità umana di don Salvatore non si litmò a questa conoscenza- principe ma conobbe i maggiori vescovi italiani e francesi oltra che il sostituto della segreteria di Stato Giovanni Benelli, l’uomo di fiducia nella Curia romana ai tempi di Paolp VI. <Sulla mia vita maddalonese – scriverà don Salvatore – lascio ai miei concittadini, estimatori e denigratori, il giudizio>. Il prete che tornerà a Maddaloni nel biennio 45-47 sarà anche attivo nella politica cittadina da consigliere comunale ed assessore dc oltre che alla guida del locale partito. Ma questa è un’ altra storia. E con le fanfare liberiste che scalfiscono la resistenza di settori protetti della storia civile e religiosa, come quella di don Salvatore e Maddaloni, resistono l’attualità di forme politiche e religiose, al tempo stesso, da accettare senza rimorsi. Perché l’obbligo della rimozione porta alla rilettura della storia. Ed è davvero opera ingiusta.