Da Orlando in Florida e dal Massachusetts, la famiglia dell’ indimenticato Matteo Conte ci racconta la loro quarantena
Di Olga Chieffi
Carmen Conte
Maria Rosaria Servino
E’ una storia quella della amicizia con la famiglia Conte, nata sul mare, con l’indimenticato Matteo e la sua barca, con i fratelli Carmen, Luca e Fortunato, insieme in kayak, portacolori della Lega Navale, poi il grande passo di Carmen, quello di traversare l’ Atlantico e studiare negli Stati Uniti. Lì il grande amore di Mark Sivers ha riunito l’intera famiglia, Luca, Fortunato, formatisi nel laboratorio di Mario Pantaleone, unitamente alla Sig.ra Maria Rosaria Servino. Oggi ritroviamo Carmen insegnante e Luca e Fortunato alla testa del Fortunato’s Restaurant del quale vi racconteremo, non appena terminata la quarantena e potremo riabbracciarci incondizionatamente. “Da circa due settimane anche per noi, al momento residenti in Florida – racconta Carmen – il film Ricomincio da capo – Il giorno della marmotta è diventato una realtà (si tratta di un vecchio film che parla delle avventure di un reporter che si ritrova a rivivere, per un po’, sempre lo stesso giorno.) Rispetto all’Italia, qui l’ordine di isolamento forzato è arrivato con ritardo, sia a causa del governo centrale, che nella persona del Presidente Trump, il quale ha minimizzato sin dall’inizio gli effetti del virus, sia perché il nostro governatore, burattino nelle mani dello stesso Trump, non è stato capace di prendere tempestive misure appropriate, nonostante i precedenti di Cina e Italia. Gli americani si sa, si sentono sempre forti. Secondo me soffrono un po’ di quella che io definisco “la sindrome del supereroe.” Si sentono inattaccabili, superiori e in grado di salvare letteralmente il mondo. Per certi versi forse hanno ragione, ma in questo momento direi che, anche il sistema politico e sanitario americano sono stati messi a durissima prova. In tutto questo, non bisogna dimenticare che è in gioco la rielezione dell’attuale presidente…ne vedremo certamente delle belle! Ma come si vive a Orlando, Florida, ai tempi del corona virus? Orlando è una città complessa, in uno stato repubblicano. Per noi che ci siamo da poco trasferiti da Boston, da sempre baluardo democratico, è abbastanza sconcertante notare il divario economico che risulta essere qui più evidente che mai, tra i super-ricchi e i super-poveri. La pandemia ha messo in ginocchio un po’ tutti, ma per motivi e in modi diversi. I super-benestanti si sono trovati a dover rinunciare alle loro quotidiane partite di golf e tennis, alle gite in barca, alle cene e ai pranzi ai country club, ai fiumi d’alcol e quant’altro, caratteristiche delle sfrenate serate in discoteca o delle feste, sedute dall’estetista e dal parrucchiere, si è dovuto rinunciare alla scuola – babysitter per i figli, alle tanto amate partite di basket e football in tv. Tuttavia, anche durante il mandatory lockdown o isolamento obbligato, si ritrovano a vivere in delle villone da sballo con tutte le comodità, dalla piscina, alla sauna, alla palestra e alla sala cinema in casa, e con la possibilità di andare ancora a fare una passeggiata o un giro in golf cart (perché qui si gira tanto in golf cart) nel proprio quartiere. Magari, dovendo rinunciare alle domestiche, dovranno applicarsi un po’ di più a cucinare e a pulire casa, ma, a parte questo, stanno, tutto sommato, tanto bene e continuano a vivere una vita comoda, avendo in molti la possibilità di lavorare da casa, e non necessariamente da adesso. I poveracci, invece, hanno quasi tutti perso il lavoro retribuito al minimo dai giganti dell’industria dell’intrattenimento, quali Disney e Universal Studios. Tutti i parchi di divertimento sono chiusi, con gli annessi alberghi e resorts, e le migliaia di impiegati, che spesso dovevano comunque svolgere più di un lavoro per mandare avanti la baracca, sono adesso più disperati che mai. Conosco famiglie in cui marito e moglie hanno entrambi perso il lavoro. Per ora hanno cancellato la connessione internet e hanno tagliato il più possibile le spese extra. Ma dopo? La Florida è, in condizioni normali, uno stato caratterizzato da un alto tasso di delinquenza, non oso immaginare cosa succederà tra qualche settimana, anche perché in tantissimi hanno il porto d’armi. Io e la mia famiglia siamo tra i fortunati – almeno finora: abitiamo in una villetta singola, con tutte le comodità, riusciamo a lavorare da casa (io facendo lezioni di italiano e traduzioni online e mio marito gestendo per telefono e per email i suoi studi dentistici, che al momento sono aperti soltanto per le emergenze). Nostra figlia frequenta la scuola virtuale dalla sua cameretta e quando non studia, disegna, dipinge, fa puzzles, videochiamate con gli amici, giri in bici, gioca ai videogiochi, guarda la tv o fa esperimenti in cucina. Io e mio marito, quando non lavoriamo, oltre ad occuparci delle faccende di casa e del giardino, ci preoccupiamo per i nostri due figli più grandi (uno in Italia e l’altro in college in un altro stato), siamo responsabili di un gruppo di adolescenti della nostra parrocchia e della congregazione in generale. Quindi, ci siamo subito attivati per poter svolgere le nostre consuete attività settimanali di gruppo online, con lo scopo di continuare a tenere i ragazzi uniti, a nutrirli spiritualmente, e per non lasciarli da soli in questo momento così drammatico per tutti. Ogni mattina inviamo loro un pensiero spirituale via sms, nella speranza di tenere alto il morale. Se vogliono parlare, sfogarsi, piangere, sanno che ci siamo. Finché sarà consentito, continueremo anche noi a fare passeggiate nel quartiere e giri in bici, ad ammirare gli splendidi tramonti sul lago e ad andare al mercato il sabato mattina presto, per fare la spesa sia per noi che per la madre anziana di mio marito e per chiunque altro dovesse averne bisogno. Il “tempo libero” lo dedichiamo alla lettura, a video chiamate con parenti ed amici in Italia e in USA, a riorganizzare angoli della casa da tempo “dimenticati,” a ritrovare gioia nelle piccole azioni e a prendere coscienza dei piccoli miracoli di ogni giorno. Nelle parole di Ralph Waldo Emerson, rinomato filosofo e poeta bostoniano del XIX secolo, “Noi esprimiamo noi stessi soltanto a metà e quasi ci imbarazza quell’ idea divina che ciascuno di noi rappresenta.” Ecco, io credo che circostanze come quelle che stiamo vivendo, si presentino per spronarci a scrollarci di dosso quell’imbarazzo di cui parla Emerson e ad abbracciare il nostro potenziale divino, dopo un accurato esame di coscienza. Io e la mia famiglia siamo grati per ciò che questa esperienza ci sta insegnando: prima di tutto l’umiltà nell’accettare la fragilità della nostra esistenza terrena; la gratitudine per la salute, la famiglia ed i rapporti umani in generale; l’importanza di vivere una vita misurata e senza eccessi, sia in tempi prosperi che in tempi di “guerra;” il dovere che abbiamo ogni giorno di avere un impatto positivo su chi ci sta accanto e sul mondo in generale; il dovere che abbiamo di mettere Dio, a cui siamo eternamente debitori, al centro delle nostre vite in quanto autore di ognuna di esse.
“Se la domanda è “Come si svolge la nostra vita in questo tempo di corona virus,” – continua Maria Rosaria Servino – ebbene la risposta che darebbe chi ci guarda “dal di fuori” potrebbe essere che non noti niente di diverso da ciò che mi vedeva fare, insieme ai miei figli Fortunato e Luca, prima del 17 marzo scorso. Lavoravamo prima, lavoriamo adesso. A partire da quel giorno, infatti, per disposizione del Governatore del Massachusetts, tutti i ristoranti sono chiusi al pubblico, al dining-in. Si può fornire esclusivamente servizio da asporto, il take-out. Lo sgomento che ci ha assalito, lo abbiamo elaborato immediatamente e ci siamo imposti di vendere cara la pelle reinventandoci. Abbiamo subitaneamente intuito che il concetto del ristorante che con tanto amore avevamo creato, era sfumato in poche ore, al cospetto della drammaticità del momento. Il Fortunato’s Restaurant, al 428 Main Street Woburn, così amato dai nostri fedeli ed affezionati clienti, con il suo accogliente calore e le sue immacolate tovaglie sugli impeccabilmente apparecchiati tavoli, era un concetto che ormai, all’improvviso, non trovava più adesione con la realtà circostante ed il feeling umano di cui l’atmosfera è tristemente permeata. Parola d’ordine: cambiare! E così abbiamo fatto, abbiamo elaborato un nuovo, più popolare e pratico menù, riducendo i prezzi di quasi la metà, per andare incontro alle esigenze della gente, calcolando, aggiustando, rimpiazzando e smussando ogni dettaglio, dalle vetrine ad un aggiornamento sul programma del computer in cui immettiamo gli ordini delle pietanze. In due giorni eravamo pronti e operativi. Abbiamo avuto esperienza di commoventi azioni di affetto e supporto da parte di clienti e ciò ci ha dato la necessaria forza per superare l’iniziale scoramento e per affrontare le difficoltà, non poche, tuffandoci in questa sconosciuta finora, attività di preparazione da asporto. Siamo solo in tre, madre e figli, ma posso con orgoglio affermare che siamo forti, davvero forti! I nostri talenti individuali si fondono e si tramutano in uno spettacolare risultato, conseguito con fatica fisica e mentale, ma per questo anche esaltante. La nostra giornata di lavoro va dalle 9.30/10.00 del mattino fino alle 8 di sera. Si chiude, si fanno le pulizie e, poi, via a casa per il meritato riposo. Ci chiediamo se ce la faremo a sostenerci e a sostenere le ingenti spese, quando le nostre porte riapriranno e potremo servire di nuovo ai tavoli il nostro amato buon cibo italiano, con amore e passione preparato. Presto, speriamo, ma non riusciamo a non pensare che mai più sarà come prima. Confidiamo nell’aiuto del Signore perché ci mantenga sani e forti, ci benedica ed allevii le pene di chi soffre .