Quinto appuntamento del cartellone estivo di Salerno Classica questa sera, alle ore 21, nell’atrio del Duomo, per un concerto tra parole e musica
Quinto appuntamento nell’atrio del Duomo di Salerno oggi, alle ore 21, per l’Estate di questa seconda edizione di Salerno Classica, progetto ideato dalla Associazione Gestione Musica, che ha visto l’associazione concorrere e ottenere il finanziamento dal Fondo unico per lo Spettacolo. La direzione dell’Associazione, Francesco D’Arcangelo, Fabio Marone e Gigi Lamberti ha inteso inserire in cartellone un omaggio a Pier Paolo Pasolini, nell’anno celebrativo del centenario della sua nascita, affidando il tributo a Francesco Galizia, fisarmonica e sax soprano, Pietro Verna, voce e chitarra al Quartetto d’archi Cecile, con Antonio Palazzo al pianoforte, il quale ha curato anche gli arrangiamenti e Gabriele Zanini, in veste di narratore. “Per questo io mi sento ancora fortemente commuovere dalla sua immagine che suona Bach; lei ha costruito un edificio solidissimo nella mia vita.” Così scriveva Pier Paolo Pasolini, nel 1946, a Pina Kalc, colei che lo avvicinò, ancora ragazzo, alla musica ed al violino. Pasolini, che considerava la musica come l’unica azione espressiva alta e indefinibile, amava la musica colta, ma al contempo non poteva non allontanarsi dalla passione per la canzone popolare e per quelle che lui stesso definì “canzonette”, la musica leggera. Tornare al Friuli degli anni Quaranta -permette di scoprire alcune interessanti applicazioni o enunciazioni di un pensiero musicale che riconosce a musica e suoni, annidati nella parola o di per sé, o accostati ad altri codici, la capacità di oltrepassare i confini visibili del reale, evocarne il mistero e condurre l’espressione a un livello tanto complesso e profondo da fargli dire vent’anni dopo nell’autobiografia in versi del 1966-67, intitolata Poeta delle Ceneri:
[…] vorrei essere scrittore di musica,vivere con degli strumenti dentro la torre di Viterbo che non riesco a comprare, nel paesaggio più bello del mondo, dove l’Ariosto sarebbe impazzito di gioia nel vedersi ricreato con tanta innocenza di querce, colli, acque e botri, e lì comporre musica l’unica azione espressiva forse, alta, e indefinibile come le azioni della realtà.
“Prima il silenzio, poi il suono o la parola” scrive Pasolini nel saggio Studi sullo Stile di Bach (Pasolini, 1944-45: 79). Come il suono della musica, anche il suono della parola poetica scaturisce dal silenzio, scava nel caos primordiale e approda alla matrice profonda del reale. Da lì quei suoni devono essere recuperati, dalle viscere della natura, anche della natura umana, se si vuol far risuonare quell’«infinità che [è] in noi e in tutte le cose terrene» (Pasolini, 1945-46, I nomi o il grido della rana greca: 197) (Claudia Calabrese “Pasolini e la musica, la musica e Pasolini. Correspondances (Diastema 2019). La sua inesauribile curiosità e straordinaria conoscenza lo porterà a comporre, in questo ramo, piccoli capolavori, Determinante è l’amicizia con Laura Betti, per la quale Pasolini scrive quattro canzoni in romanesco, Valzer della toppa, Macrì Teresa detta Pazzia, Cocco di mamma e Cristo al Mandrione, le prime tre musicate da Piero Umiliani e la quarta da Piero Piccioni, figlie dello studio sul dialetto durante la stesura di Ragazzi di vita e di Una vita violenta. Da ricordare è anche l’influsso potente che la scrittura pasoliniana in romanesco avrà sulla successiva generazione di cantautori, da Franco Califano alla Lella di Edoardo De Angelis, a Francesco De Gregori e Antonello Venditti, oltre, ovviamente, all’indimenticabile Gabriella Ferri. L’interesse di Pasolini per il cinema lo spinge a sperimentare nella regia e nella sceneggiatura fin da Accattone, del 1961, per la colonna sonora del quale compie scelte di grande impatto, come nella scena della rissa, accompagnata e sacralizzata dalla Passione Secondo Matteo di Bach, seguito da Mamma Roma, che alterna brani di Vivaldi a canzoni come Violino Tzigano o un originale Cha Cha Cha di Carlo Rustichelli, accostandovi gli stornelli romani, cantati dalla voce autenticamente popolare di Anna Magnani. Uno dei punti più alti della ricerca musicale in un film di Pasolini viene raggiunto però nel 1966, da Uccellacci e uccellini, in cui vengono musicati da Ennio Morricone i titoli di testa e di coda del film, trasformati dal regista in una sorta di filastrocca, cantata da Domenico Modugno, che firma nel 1968 anche la musica di “Tutto il mio folle amore”, in “Cosa sono le nuvole”, per il cui testo Pasolini si ispira a celebri frasi shakespeariane, interpretato magistralmente da Modugno, che ha anche una parte nell’episodio. La collaborazione con Morricone continua nel 1968, quando il Maestro compone la colonna sonora di Teorema, accostandola al Requiem di Mozart, e nel 1970, con i versi di Meditazione orale, commissionati per un disco dedicato al centenario di Roma Capitale, che Pasolini recita, con voce dolente, sulla musica di Morricone, perfetta colonna sonora di avanguardia per il lamento senza tempo del poeta. Di Morricone è la musica anche de’ I racconti di Canterbury, Il fiore delle mille e una notte e dell’ultimo film di Pasolini, uscito postumo, Salò e le 120 giornate di Sodoma, a testimoniare un’amicizia densa di rispetto e stima reciproca. In Medea troviamo invece atmosfere orientali, con Hussein Malek che compone The Segah Mode. Ci si incontrerà con Pier Paolo Pasolini, tra le note della Suite n°1 in Sol Maggiore BWV 1007 di Johann Sebastian Bach, con il Preludio iniziale che ci porta subito nell’atmosfera dei Preludi in forma di «studio» del Clavicembalo ben temperato. Il fluire ininterrotto del discorso musicale sembra soprattutto ricercare il fascino, delle concatenazioni armoniche, assai ricche e sovente venate di una certa asprezza, la ricca opulenza melodica della Allemande: la scorrevolezza ritmica della prima parte si rompe a tratti nella seconda, con il calare verso il grave di stilizzati ricordi dell’originario movimento di danza, la Courante, che propone un’accentazione più marcata e una più ravvicinata alternanza di metri, la pensosa intonazione della Sarabanda, la vivacità melodica e ritmica del primo Minuetto, temperata dall’inserzione del più composto Minuetto secondo in minore e la Giga conclusiva si dipana in gioiose movenze popolaresche, secondo il carattere brioso proprio di questa danza. Musica che corrisponde i diversi climax pasoliniani, evocando poi la collaborazione con Fellini per le Notti di Cabiria e l’incontro con Maria Callas per Medea, lei Casta Diva, per sempre, così come è questa pagina, senza veli, sacrale, lunare, fuori del tempo umano. E ancora si ascolteranno le note del Prelude, fugue et variation in si minore, dall’op. 18, di Cèsar Franck, un bicentenario da ricordare questo del compositore belga, una pagina di elegante fattura: un tono pastorale un altro tema, in cui si inserisce con leggerezza e brillantezza di tocco una fuga di luminosa purezza bachiana, secondo una scelta compositiva mai tradita, nel segno bachiano. La figura e l’immaginario pasoliniano hanno ispirato tantissimi musicisti che gli hanno dedicato, negli anni, canzoni e omaggi, come “A Pà” di Francesco De Gregori e “Una storia sbagliata” di Fabrizio De André. Lo spettacolo, che prende il titolo proprio dallo struggente brano del cantautore romano, ripercorre, in musica e parole, l’amore pasoliniano per l’arte e la bellezza, andando ad intrecciare, in un crescendo costante, musica colta e brani del panorama cantautorale italiano ad aneddoti e poesie.