Successo per la messa in scena della compagnia del teatro Stabile di Napoli firmata da Luca De Fusco. Applausi a scena aperta per la Madama Pace di Angela Pagano.
Di OLGA CHIEFFI
La straordinaria modernità del più grande drammaturgo a cui il nostro paese abbia regalato i natali nello scorso secolo è rivissuta al teatro Verdi, nei due atti della commedia che rappresenta il suo inestimabile capolavoro ed al contempo anche la summa della sua instancabile riflessione poetica e letteraria. A quasi cento anni dalla loro prima apparizione i Sei personaggi in cerca d’autore di Luigi Pirandello non hanno smarrito neppure un briciolo del loro fascino, archetipi dotati di pulsante vita propria e simboli dei più viscerali vizi e virtù umane. Sostanzialmente fedele al testo pirandelliano, lo spettacolo attualmente portato in scena dalla Compagnia del TeatroStabile di Napoli, unitamente alla Stabile di Genova, fonda la propria potenza espressiva proprio sul vigore dell’analisi psicologica delle emblematiche figure che ne sono protagoniste e sulla capacità di coinvolgere con vividezza lo spettatore nel processo creativo che rappresenta il fondamento stesso dell’arte teatrale. L’essenza dello spettacolo è universalmente nota: abolita la quarta parete, trasparente ed invalicabile barriera convenzionalmente esistente tra attori e pubblico, ci troviamo immediatamente trasportati con grande realismo nelle prove per la messa in scena de “Il giuoco delle parti” di Pirandello ed abbiamo inizialmente l’opportunità di assistere ai battibecchi tra capocomico e attori, nonché alle dinamiche caratteristiche della genesi di qualunque spettacolo di prosa. Ecco però sopraggiungere l’imprevisto, visto che sul palcoscenico irrompono sei figure misteriose, ombre inquietanti ed imponenti che si proiettano sul placido perbenismo borghese della compagnia di attori, scompaginando definitivamente i suoi piani. Questi oscuri individui, non lontani dalla famiglia di Armida che compare in “Questi Fantasmi” di Eduardo, dichiarano di essere nient’altro che dei personaggi frutto della fantasia di un autore che, dopo averli creati, non ha però completato la commedia a loro dedicata, lasciandoli in una sorta di angosciante limbo; il loro obiettivo primario, perseguito con grande passione e tenacia, è pertanto quello di trovare un regista che si offra di completare e mettere in scena questo spettacolo, in modo tale da rendere finalmente giustizia alla storia drammatica che ha segnato indelebilmente le loro esistenze. Il sipario si chiuderà con ben poche risposte, lasciando irrisolte le domande più rilevanti e gettando l’ombra del dubbio sulla valenza stessa del teatro e sulla sua capacità di tradurre la realtà e rispecchiarla in modo concreto e veritiero. La versione dell’immortale capolavoro pirandelliano proposta da Luca De Fusco ha scenografia essenziale, come, peraltro, richiesto dal testo stesso della commedia, arricchita da luci taglienti e fredde che comunicano, alla perfezione, la sensazione di tesa inquietudine che pervade l’intero spettacolo, mentre i sei personaggi entrano in scena sulle tracce del Woody Allen degli anni ’80 dei suoi due film che ci piace definire pirandelliani, “Broadway Danny Rose” del 1984 e “The Purple Rose of Cairo”, dell’anno successivo. Se nel primo, Allen stabilisce relazioni e incastri tra i suoi personaggi in una geometria rigorosa, ma avvolta dal respiro di un’umanità dolente, sino al momento in cui il “doppio” Allen toglie gli occhiali dinanzi ad uno specchio, attimo di nudità simbolica, I sei personaggi di Luca de Fusco, fanno l’eco all’uscita dallo schermo di Tom, innamorato della spettatrice Cecilia. Uscita che non solo provoca scompiglio tra i personaggi che si ritrovano pirandellianamente senza una trama, ma anche tra gli spettatori. Allen, infatti, accenna ad un discorso di religione, il creatore per Baxter è lo sceneggiatore che lo ha tratteggiato e non l’attore che gli ha dato il corpo e la voce, per lui è difficile comprendere il dio degli uomini ma Cecilia gli spiega che alla fine è la stessa cosa. Il teatro di De Fusco sposa il linguaggio del cinema di quegli anni con la rappresentazione del mondo d’appartenenza dei personaggi – attraverso brani filmati con tecnica espressionista. La regia utilizza anche nella stessa gestualità citazioni di film d’autore. Così all’obiezione del Capocomico un ottimo Paolo Serra, sulla necessità di dover svolgere l’azione in parte in camera, dov’è il Figlio, in parte in giardino, dove si trovano la Bambina e il Giovinetto: “non possiamo mica appendere i cartellini o cambiar di scena a vista, tre o quattro volte per Atto!”, la tecnica ha pronta una risposta: il montaggio cinematografico un omaggio a Sergej Ejzenstejn e alla sua teoria del montaggio, proprio nel suo anno celebrativo. Un cast di attori di primissimo livello rappresenta poi la carta vincente capace di catturare e tenere avvinto lo spettatore per gli interi due atti della pièce teatrale: assolutamente dirompente, aggressiva, disperata e contraddistinta da un fascino estremamente aggressivo e seducente è l’interpretazione della Figliastra proposta dall’eccellente Gaia Aprea, così come merita un indiscutibile elogio il Padre, dilaniato dall’avverso destino e al contempo imperiosamente desideroso di raggiungere il tanto agognato obiettivo di vedere la propria vicenda esistenziale consacrata in un’opera teatrale, a cui da corpo Eros Pagni. Deludente la voce e la recitazione di Maria Basile Scarpetta che veste i panni dell’inconsolabile madre. Preziosa la partecipazione della grande Angela Pagano nel ruolo fortemente caricaturale dell’ambigua e senza scrupoli Madama Pace, resa in modo “straniante”, che ha ricevuto applausi a scena aperta. La vera essenza e magia dell’arte teatrale consiste nel conferire vita a storie e personaggi che saranno indiscutibilmente più reali degli esseri umani in carne ed ossa, drammaticamente destinati a indossare maschere diverse a seconda dei contesti in cui si trovano a vivere e delle persone con cui hanno l’occasione di interagire. Estremamente suggestiva è, nei “Sei personaggi in cerca d’autore”, l’emozione di esplorare le misteriose dinamiche del processo creativo ed il tentativo di analizzare la difficilissima coesistenza e fusione tra realtà, arte e visioni inconciliabilmente parallele dell’esistenza e del mondo appartenenti ai singoli individui. Lo spettacolo dosa alla perfezione tutti questi ingredienti, rispettando il testo originale senza stravolgerlo o rivestirlo di orpelli e manierismi, ma donandogli modernità e nuova linfa così da renderlo interessante ed avvincente per un pubblico di ogni età, dai più fini appassionati del teatro pirandelliano sino agli spettatori più giovani.