Secondo appuntamento, stasera alle ore 20,30, nella Chiesa di San Giorgio, per la V edizione di Concerti in Luci d’Artista, rassegna promossa dal Cta
Di OLGA CHIEFFI
Tutto pronto per il secondo appuntamento della rassegna “Concerti in Luci d’Artista” , col quale ritornano i Concerti in Luci d’Artista, a cura del Conservatorio “Giuseppe Martucci” e il Cta di Salerno. Sarà di scena nel gioiello barocco di Salerno, la chiesa di San Giorgio, domenica 22 dicembre, alle ore 20,30. L’Ensemble di Musica Barocca del Conservatorio di Salerno, nato dall’incontro di alcuni docenti del “G. Martucci”, accomunati dalla passione per la musica antica e dall’avere approfondito la prassi esecutiva con attività di studio e di ricerca grazie alle quali hanno vissuto esperienze professionali di rilievo nel campo della musica barocca, composto per questa occasione, da Giusi Ledda al flauto, Gennaro Cardaropoli al violino, Dario Orabona al violoncello, Ugo Di Giovanni all’arciliuto e Valeria Tarsetti al clavicembalo. Luci accese su Georg Philipp Telemann per cercare di tratteggiare un quadro della sconfinata produzione del grande compositore di Magdeburgo che, continua a essere ancora in gran parte terreno vergine tutto da scoprire. Anche se può sembrare incredibile in un panorama musicale che continua a prestare la giusta attenzione al repertorio barocco, l’unica opera che viene eseguita con continuità è la Suite in la minore per flauto: bellissima, certo, ma c’è molto altro che merita di essere riproposto. L’aspetto più ironico di questa situazione ai limiti del surreale è costituito dal fatto che Telemann fu uno degli autori più eclettici e fantasiosi della sua epoca, in grado di creare impasti strumentali molto innovativi e di padroneggiare gli stili di tutte le nazioni europee, spaziando dai ritmi popolari della Boemia e della Polonia alle raffinate atmosfere parigine e dalle sublimi architetture corelliane – in quegli anni icona del gusto italiano – a evocazioni esotiche dei paesi del favoloso Oriente. Questa straordinaria ricchezza musicale trova espressione nella Tafelmusik, una raccolta di raffinatissimi brani concepiti per allietare le serate conviviali dei membri dell’aristocrazia tedesca di quegli anni. Da questa edizione è tratto la Triosonata in mi minore TWV 42 e2, brano concepito secondo il collaudato schema della sonata da chiesa, che consente a Telemann di proporre sonorità di imprevedibile bellezza grazie all’accostamento dei timbri degli archi col traversiere. Sarà Gennaro Cardaropoli a cimentarsi, quindi, con la sonata che chiude l’opera cinque di Arcangelo Corelli, la Follia. La Follia è un tema musicale nato nella penisola iberica tra i più antichi della musica europea e trova origine nei secoli XVI e XVII. Il primo autore noto che fa riferimento a questo tema risale alla metà del XVII secolo, ma il tema è certamente molto più antico. Alcuni testi teatrali del rinascimento portoghese, tra cui alcuni di Gil Vicente, menzionano la follia come danza ballata da pastori e contadini. L’origine portoghese sembrerebbe confermata dal trattato del 1577 De musica libri septem di Francisco de Salinas. La dodicesima sonata dell’ op 5 di Arcangelo Corelli è la “Follia” per antonomasia, servita come base per simili composizioni di Marais, Vivaldi, Reali, Geminiani ed altri. Era consuetudine terminare una raccolta con una serie di variazioni su di uno stesso basso (troveremo esempi posteriori anche in Vivaldi, Tessarini, Tartini etc.) e Corelli dispiega in effetti un’ampia gamma di idee, metri ed andamenti per illustrare al meglio l’antico e fiero tema iberico. Così ne racconta l’allievo Francesco Geminiani: “Non pretendo di esserne l’inventore: altri compositori, della più alta classe, si sono avventurati nello stesso tipo di viaggio; e nessuno con maggior successo che il celebrato Corelli, come si può vedere nella sua opera quinta, sull’Aria della Follia di Spagnia [sic]. Io ho avuto il piacere di discorrere con lui su tale soggetto, e l’ho udito riconoscere quanta soddisfazione ebbe nel comporla, ed il valore che gli attribuiva” (F. Geminiani: “A Treatise of Good Taste in the Art of Musick”, London 1749). Haendel non fu mai fondamentalmente un gran produttore di musica strumentale: era un uomo legato al mondo del teatro e in seguito, per derivazione, dell’oratorio. Le sonate a tre riflettono il suo esser immerso in questo ambiente teatrale quasi quanto fanno venire in mente la sua carriera pre-inglese. Spesso alcuni temi venivano poi da lui riutilizzati in composizioni vocali e questo fa comprendere come mai la loro versione strumentale pare essere trampolino di lancio verso più significative trasformazioni e denuncia poco interesse per una timbrica specificamente strumentale. Haendel di frequente cercava di far in modo che la sua musica da camera fosse all’altezza delle tecniche e prospettive delle creazioni teatrali attraverso una distribuzione delle parti presa a prestito dal duetto vocale piuttosto che dall’aria solista con obbligato. Spesso una melodia lirica solistica viene spartita tra i due protagonisti senza perdita di continuità e con vistoso guadagno di spazialità drammatica. In Francia, il modello per le attività musicali era dato dalla corte Versailles, dove lungamente non ebbe accesso l’invasione dello stile italiano e dove il gusto era stato plasmato dalla dittatura di Lully. Ma tale arroccamento non poteva durare oltre l’inizio del XVIII secolo. Quando i trii di Corelli fecero la prima apparizione, questo nuovo tipo di musica stimolò tutti i compositori a lavorare in uno stile più brillante. La serata verrà chiusa dalla Triosonata in si minore op.2 n.1, HWV 386b, composta da Georg Friedrich Händel a cavallo del 1720. Si tratta di una composizione dove la ricerca della cantabilità, la brillantezza e l’inesorabilità ritmica, la conduzione mai invasiva dell’imitazione, vanno di pari passo con un’ispirazione sempre vigile.