Questa sera, alle ore 20 al teatro Augusteo, secondo appuntamento dell’orchestra del “G.Martucci”, in cui la massima istituzione musicale della città presenta i suoi allievi Cum sertum
Di Olga Chieffi
Cinque solisti per tre impegnativi titoli della grande letteratura musicale saranno protagonisti del secondo appuntamento con i solisti “Cum sertum del conservatorio “G.Martucci” di Salerno. Stasera, al teatro Augusteo, alle ore 20, i riflettori si accenderanno sull’orchestra del Conservatorio “G.Martucci” di Salerno, diretta da Massimiliano Carlini che accompagnerà il percussionista Nicola Montefusco, pupillo del M° Mariagrazia Pescetelli, la pianista Lidia Fittipaldi, formatasi al magistero di Lucia Morabito, la violinista Federica Tranzillo, il cellista Giovanni Meriani e la pianista Ilaria Capaldo. Ad inaugurare la serata il concerto n°2 per marimba e orchestra di Ney Roasuro, composto nel 2001 e affidato al virtuosismo di Nicola Montefusco. Tre i movimenti: Water Running in High Mountain, con due temi contrastanti che rappresentano la discesa di un corso d’acqua tra le rocce; Reflections and dreams, che prende il via da una citazione bachiana, per schizzare un’atmosfera romantica e mistica e sfociare in un nuovo tema vivace e avviare un movimento fugato, ultimo movimento Walking on Clouds, un 5/4 vivace, ma allo stesso tempo dolce, nella cui cadenza si evocano le percussioni africane. Seguirà il Concerto per pianoforte e orchestra in re minore K. 466, composto da Wolfgang Amadeus Mozart a Vienna, datato 10 febbraio 1785. Sarà Lidia Fittipaldi ad eseguire questa “sinfonia dialogante” caratterizzata dallo stretto rapporto contrappuntistico tra l’orchestra e la voce solista, non confinata soltanto nel ruolo virtuosistico e brillante. Tale considerazione emerge sin dall’Allegro del primo tempo aperto da un ritmo sincopato in tono grave dell’orchestra sfociante in un forte su cui, dopo una piacevole trama strumentale, si innesta il secondo tema esposto dagli oboi e dai fagotti e ai quali risponde il flauto, prima di passare ai violini in un clima di energica tensione espressiva. Interviene il pianoforte con, una frase in risposta all’ultima idea proposta dai primi violini e si appropria di un inciso del ritornello iniziale; ritorna il secondo tema e di nuovo il pianoforte sviluppa un elegante discorso melodico tra suoni arpeggiati e delicate modulazioni strumentali. Non manca la rituale cadenza solistica, che apparterrebbe a Beethoven e non a Mozart, il quale durante le esecuzioni dei suoi concerti improvvisava e a volte, come in questo caso, non lasciava alcuna traccia scritta. Di straordinaria purezza e morbidezza lirica è la Romanza, in cui il pianoforte espone una melodia dolce e riposante, accompagnata con discrezione dall’orchestra. Il pianoforte attacca quindi con impeto e vigore il tema del Rondò, leggero e spigliato nel dialogo con l’orchestra e nel gioco delle imitazioni con il passaggio dalla tonalità minore a quella maggiore: una vera e propria festa di suoni gioiosi e allegri. Scelta impegnativa per Federica Tranzillo, Ilaria Capaldo e Giovanni Meriani, quella del concerto in Do Maggiore per pianoforte, violino e orchestra op.56 di Ludwig Van Beethoven. Composto nel 1803-1804, all’epoca del Fidelio e dell’Eroica di cui si trovano gli abbozzi nel medesimo quaderno, il Triplo Concerto occupa una posizione appartata nella produzione beethoveniana: la sua fortuna, rispetto alle altre pagine sinfoniche, è sempre stata minore. Si tratta di un lavoro d’occasione, scritto su richiesta dell’Arciduca Rodolfo d’Asburgo cui Beethoven dava lezioni di pianoforte in quegli anni. In questa pagina il trio dei solisti è giocato in chiave ludica, con un gusto divertito per l’intarsio strumentale, vagamente fine a se stesso, mentre l’orchestra è già tutta tesa ad una perentorietà di accenti tipica del secondo stile beethoveniano, quello del cosiddetto periodo eroico. In questo contrasto interno sta forse la causa principale della posizione appartata del Triplo concerto rispetto alla contemporanea produzione del suo autore. Ma ciò non toglie nulla alla godibilità del lavoro: gli spunti decorativi sono trattati con una fantasia brillante e divertita, affascina l’entusiasmo concertante del terzetto solista, la tensione dinamica e la varietà dei ritmi. Il Largo è una pagina molto poetica in cui l’orchestra si ritira discretamente sullo sfondo, e il discorso si apre con una frase molto cantabile del violoncello che suona nel registro acuto con un effetto di luminosa trasfigurazione. Brillante e luminoso appare il Rondò alla polacca in cui l’orchestra riacquista i suoi diritti ma li esercita in modo più discreto di quanto non avesse fatto nel primo movimento. E’ una pagina di colore, come usava fare sovente Haydn, destinata a concludere il concerto in un tono allegramente zingaresco con un’intensità energetica che investe il ritmo e i profili tematici, staccandosi nettamente dal modello settecentesco. Il trio solista è trattato in modo salottiero e brillante, mentre l’orchestra lo incalza festosamente, echeggiandone gli spunti più caratteristici.