I depistaggi istituzionali e i depistaggi morali nell'inchiesta sull'omicidio Vassallo - Le Cronache
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I depistaggi istituzionali e i depistaggi morali nell’inchiesta sull’omicidio Vassallo

I depistaggi istituzionali e i depistaggi morali nell’inchiesta sull’omicidio Vassallo

di Antonio Manzo
Omicidio Vassallo, sono ormai passati tredici anni dall’omicidio di Angelo Vassallo, sindaco di Pollica. Tredici anni senza verità e mille depistaggi istituzionali e depistaggi morali che rappresentano, mettendoli insieme, le nuove notizie sull’inchiesta, a partire da quello “storico” dell’accusa ad un pregiudicato cilentano di essere stato l’esecutore materiale dell’omicidio. Ma non è il solo depistaggio, riannodando le fila di alcuni depistaggi morali che hanno depistato le indagini, particolarmente quelli beni più gravi tesi a delegittimare e “mascariare” la figura del sindaco-eroe. Si tratta di elementi conosciuti in 13 anni di indagini e che ora vale la pena ricordare. Le indagini della magistratura salernitana, sono complesse, proseguono dopo che un anno fa sono stati indagati nove soggetti accusati di concorso in omicidio e associazione a delinquere. Le due inchieste che erano state aperte a partire dal 5 settembre 2020, avocate dalla procura distrettuale antimafia di Salerno dopo una fugace e tormentata riunione dei magistrati competenti per territorio, i procuratori Grippo e il sostituto Greco, il procuratore antimafia Roberti e i sostituti Cassaniello e Volpe, sono state praticamente archiviati: Umberto Damiani, detto u brasiliano, non c’entra nell’omicidio. E’ stato scagionato. Ora sono le due archiviazioni per un presunto autore” inventato” per coprire i reali protagonisti dell’omicidio e nove nuovi indagati, naturalmente innocenti fino a condanna definitiva per l’omicidio vassallo. La procura promette una svolta nella chiusura della nuova inchiesta sia pure a tredici anni dell’omicidio. Ne sono testimonianze, tutt’altro che collegate alla liturgia del ricordo, le parole del procuratore Borrelli coadiuvato dal titolare dell’inchiesta Colamonici, noto per il silenzioso e gran lavoro di questi ultimi anni.
La certezza è che qualcuno ha voluto deliberatamente nascondere la verità o non disvelarla totalmente sull’omicidio di un sindaco. Esiste un diritto delle vittime e dei loro prossimi congiunti di conoscere la verità che in questo processo è stata finora negata. Il diritto a questa verità non ci sono solo le persone direttamente coinvolte, ma anche noi semplici cittadini.
C’è stata nella prima fase di indagine che accusava Damiani una con l’oggettiva ritrosia (inchiesta Roberti Volpe) di molti soggetti escussi a rendere testimonianze integralmente genuine che potessero consentire una ricostruzione processuale dei fatti che fosse il più possibile vicina alla realtà di quegli accadimenti. molti soggetti appartenenti alle istituzioni, soprattutto elementi dei carabinieri, e dichiarazioni testimoniali palesemente smentite da risultanze oggettive e da inspiegabili incongruenze logiche. Scrivono di reticenze di molti testi emerse nel riscontro incrociato, sia pure nell’originario movente delll’omicidio del monso della droga che aveva voluto ipotecare il porto di Acciaroli. Molti sapevano e non hanno detto tutto. Omertà di Stato. nel depistaggio sull’omicidio Vassallo, di omertà in omertà, nell’arco dei tredici anni, mentre si attende la ennesima commemorazione del 5 settembre. Ormai il “caso Vassallo” non è più solo depistaggio tecnico-processuale ma anche depistaggio morale del sindaco ammazzato.-esecutore.
Dove sono tutti questi capitani coraggiosi con il petto gonfio e le loro conferenze stampa “antimafia”? Qualcuno ha pagato per il Grande Imbroglio?
La grande incompiuta è iniziata nel vecchio tribunale di corso Garibaldi che è transitato nel nuovo tribunale della Cittadella Giudiziaria è diventata un monito per tutti quelli che passano. Qui, lo Stato si è fermato. Da tredici anni non riesce a completare un edificio che doveva essere il simbolo della verità e della giustizia chiamati ad individuare i presunti responsabili dell’omicidio di Angelo Vassallo.
Resta la domanda: perché gli investigatori si resero protagonisti di uno dei più colossali depistaggi della storia giudiziaria d’Italia e di Salerno? Un falso responsabile Umberto Damiani era una verità di comodo che poteva trasformarsi presto in un boomerang per chi invece coltivava sogni di gloria antimafia? Dunque, cosa c’è davvero dietro il depistaggio su Damiani?
Sono stati tredici anni di misteri e di silenzi di Stato. La procura di Salerno, oggi diretta da Giuseppe Borrelli, non ha mai smesso di indagare. I magistrati sono tornati a riesaminare decine di vecchi fascicoli in archivio, alla ricerca di piste e tracce.
Ha ragione da vendere Eduardo Cicelyn giornalista ed ottimo indagatore dell’antropologia cilentana pur sfidando lo sciovinismo della bellezza ambientale. Oggi la meravigliosa Costa cilentana non è più quella che aveva immaginato Angelo Vassallo tra problemi che alcuni vedono tra nel calo di presenze di quelle di massa e la riduzione di quelle di élite che chiederebbe diverse prestazioni. La società civile continua a fingere per una svolta vera nelle indagini per l’assassinio di Angelo Vassallo senza coltivare con la ricchezza anche gli anticorpi nei confronti dell’infiltrazione della criminalità in un territorio benedetto da Dio e, purtroppo, a volte maledetto dagli uomini.
Accanto ai depistaggi istituzionali non meno importanza sono depistaggi morali per “mascariare” la figura di Angelo Vassallo. Come quando a dicembre 2010 la procura della Repubblica di Vallo (procuratore Grrippo) mise sotto sequestro il ristorante fronte porto del sindaco Angelo Vassallo Il locale gestito dai figli del primo cittadino era l’unica fonte di sostentamento della famiglia di Angelo che furono costretti a chiudere il locale e pensare a difendersi nel processo negli stessi anni in cui la Giustizia non aveva ancora dato risposte all’omicidio del sindaco eroe. Il sequestro per queste circostanze divenne un fatto clamoroso al punto tale che un ufficiale dei carabinieri si preoccupò di raggiungere a tarda ora per le redazioni dei giornali per la la consegna del comunicato sulla cosiddetta brillante operazione. Il ristorante era tutt’altro che un mostro di cemento. composto da una palazzina, un piano e una cantinola sul porto di Acciaroli al cui interno si trovava il locale che secondo la Procura della Repubblica di Vallo della Lucania non avrebbe potuto usufruire del condono edilizio chiesto nel 1998 e ottenuto nel 2007. Per questo motivo non sarebbe stato possibile concedere l’autorizzazione amministrativa per la apertura e la gestione del locale in esercizio da oltre un anno.
L’indagine, per abuso di ufficio e abuso edilizio coinvolse anche l’anziana mamma del sindaco, titolare dell’immobile e la figlia del primo cittadino ucciso, cui faceva capo l’autorizzazione commerciale. Fu fatto un processo per abuso edilizio e il pm d’udienza, una giovane magistrata, ebbe l’impudenza di chiedere l’assoluzione. Apriti cielo. Gli ordini erano quelli di condannare i Vassallo e “mascariarli”.
Oppure, ed è il secondo depistaggio morale con il sindaco Vassallo ancora in vita che, nel paese con il tentativo di fermarlo, un anonimo si preoccupò di ricordare il rapporto di famiglia con Franco Muto di Cetraro, noto capo della ‘narina calabrese ed in soggiorno obbligato negli anni 80 proprio ad Acciaroli. Vassallo fu indagato e scagionato dalla velenosa accusa dalla stessa procura di Vallo della Lucania che a quel tempo non era intenzionata, per anonimi ma non troppo conto terzi, a “mascariare” Vassallo.
Ora la svolta nelle indagini nuove sull’omicidio a tredici anni dopo. Coinvolgerebbero in affari di droga: il tenente colonnello dei carabinieri Fabio Cagnazzo, il carabiniere Luigi Molaro, l’ex brigadiere Lazzaro Cioffi (i tre uomini dell’Arma facevano parte nel 2010 della squadra investigativa di Castello di Cisterna, nel napoletano, nota per aver arrestato molti camorristi, soprattutto grazie alla collaborazione di alcuni pentiti) e quattro imprenditori locali, i fratelli Palladino e Giuseppe Cipriano.
Nel 2018 Cioffi – genero del defunto Domenico D’Albenzio, che sarebbe stato membro del clan Belforte – era già stato coinvolto in un’inchiesta della Dda di Napoli e accusato di collusione con un clan legato allo spaccio nel Parco Verde di Caivano. Condannato a 15 anni, Cioffi sta scontando i domiciliari in Calabria. Nello stesso anno, Cioffi era stato indagato
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sul caso Vassallo per concorso in omicidio, ricevendo un avviso di garanzia con l’invito a comparire, ma in quell’occasione si era avvalso della facoltà di non rispondere.
Federico, Giovanni e Domenico Palladino (quest’ultimo nel 2010 ricopriva la carica di consigliere comunale nell’amministrazione Vassallo), gestiscono a Pollica il residence Tre Palme, dove Cagnazzo ha fatto fa soggiornare spesso i collaboratori di giustizia. Per gli inquirenti i tre fratelli avrebbero dovuto fornire ai trafficanti un luogo dove stoccare le sostanze psicotrope. Inoltre – come riportato dall’Ansa – Cagnazzo avrebbe consigliato loro di coinvolgere Cioffi nella gestione di alcune pompe di benzina.
Nel 2010 Cipriano, cugino del presunto mandante, iscritto nel 2018 sul registro degli indagati per concorso in omicidio (insieme a Cioffi e Maurelli) per il caso Vassallo era il proprietario di un cinema ad Acciaroli Secondo la Dda di Salerno rappresenterebbe il trait d’union tra i fratelli Palladino e due membri del clan Loreto-Ridosso di Scafati, Romolo Ridosso e suo figlio Salvatore, oggi collaboratori di giustizia. Nel corso degli anni, padre e figlio hanno fornito dichiarazioni grazie alle quali è stato possibile comporre il puzzle oggi esposto nel decreto di perquisizione che accuserebbe di omicidio Cagnazzo, Molaro, Cioffi, Cipriano e i Ridosso.
La procura ipotizza un tentativo di depistaggio messo in atto da Cagnazzo e Molaro durante le prime fasi dell’indagine sull’omicidio, che sarebbero state indirizzate verso persone che nulla hanno a che fare con il delitto. Nei giorni successivi il ritrovamento del corpo di Vassallo, il tenente Cagnazzo avrebbe ascoltato un carabiniere in vacanza in una casa vicina alla scena del delitto (il militare ha dichiarato di non aver sentito i colpi di arma da fuoco esplosi contro Vassallo), acquisendo e analizzando poi i video di sorveglianza di un negozio di Acciaroli senza però avere ricevuto una delega dal pm di Vallo della Lucania o dalla procura. Nel decreto di perquisizione fu riportata anche una telefonata senza risposta di Molaro a Cagnazzo, avvenuta due minuti dopo la morte di Vassallo. Entrambi in vacanza ad Acciaroli, quella sera avrebbero partecipato a una cena.
Trattandosi di indagini preliminari, è nota solo la parte del mosaico che non è coperta dal segreto investigativo e quindi, come sempre in questi casi, vale la presunzione di non colpevolezza prima del terzo grado di giudizio. Ciò non toglie che la verità giudiziaria sull’assassinio del sindaco sarebbe la punta dell’iceberg da cui partire per capire costa sta succedendo nel Cilento. A cominciare dagli interessi della criminalità organizzata nei mercati locali illegali e formalmente legali; il rapporto tra politica, regolazione e società; le dinamiche che connotano l’economia locale e i settori più vulnerabili alle collusioni.
I carabinieri dei Ros di Roma e Salerno eseguirono il decreto di perquisizione – emesso dalla procura di Salerno e firmato dal procuratore capo Giuseppe Borrelli e dal pm Marco Colamonici – nei confronti di nove persone, tra appartenenti all’Arma e imprenditori, accusate a vario titolo di omicidio e associazione per delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti. Nel provvedimento si accenna al ruolo di un presunto mandante vicino ai clan napoletani, Raffaele Maurelli, imprenditore edile di Scafati che avrebbe organizzato un traffico di stupefacenti attraverso una spola di gommoni tra Castellamare di Stabia e il porto di Acciaroli, una frazione di Pollica.
Maurelli morì di cancro poco dopo aver ricevuto l’avviso di garanzia per concorso in omicidio con l’aggravante mafiosa. Aveva deciso di parlare, ma la Dda di Salerno non fece in tempo. Dall’incrocio con le altre relazioni investigative, risulterebbe che l’imprenditore avrebbe cercato prima di corrompere e poi ricattare Vassallo per ottenere un lido utile alla logistica del traffico di droga cilentana.
Il 6 settembre 2010 Vassallo avrebbe dovuto denunciare ai carabinieri di Agropoli e all’allora procuratore capo di Vallo della Lucania, Alfredo Greco, ciò che aveva saputo sul traffico della droga. Vassallo voleva difendere la sua terra dai traffici illeciti. Ma non fece in tempo, Vassallo. Fu assassinato la domenica sera 5 settembre. Il giorno dopo avrebbe dovuto incontrare il capitano dei carabinieri di Agropoli. Vassallo aveva confidato ad alcune persone di fiducia di avere scoperto qualcosa che non avrebbe mai voluto scoprire, temendo per la propria incolumità. Dalle interviste rese dai familiari subito dopo l’assassinio emersero anche come il contrasto allo spaccio fosse tema di scontro tra i carabinieri locali e il primo cittadino, costretto ad affrontare direttamente i pusher.
Dopo 13 anni la procura di Salerno dovrebbe mettere la prima parola fine all’inchiesta Vassallo senza cedere ai canoni pubblicitari degli antimafiosi di professioni.ul caso Vassallo per concorso in omicidio, ricevendo un avviso di garanzia con l’invito a comparire, ma in quell’occasione si era avvalso della facoltà di non rispondere.
Federico, Giovanni e Domenico Palladino (quest’ultimo nel 2010 ricopriva la carica di consigliere comunale nell’amministrazione Vassallo), gestiscono a Pollica il residence Tre Palme, dove Cagnazzo ha fatto fa soggiornare spesso i collaboratori di giustizia. Per gli inquirenti i tre fratelli avrebbero dovuto fornire ai trafficanti un luogo dove stoccare le sostanze psicotrope. Inoltre – come riportato dall’Ansa – Cagnazzo avrebbe consigliato loro di coinvolgere Cioffi nella gestione di alcune pompe di benzina.
Nel 2010 Cipriano, cugino del presunto mandante, iscritto nel 2018 sul registro degli indagati per concorso in omicidio (insieme a Cioffi e Maurelli) per il caso Vassallo era il proprietario di un cinema ad Acciaroli Secondo la Dda di Salerno rappresenterebbe il trait d’union tra i fratelli Palladino e due membri del clan Loreto-Ridosso di Scafati, Romolo Ridosso e suo figlio Salvatore, oggi collaboratori di giustizia. Nel corso degli anni, padre e figlio hanno fornito dichiarazioni grazie alle quali è stato possibile comporre il puzzle oggi esposto nel decreto di perquisizione che accuserebbe di omicidio Cagnazzo, Molaro, Cioffi, Cipriano e i Ridosso.
La procura ipotizza un tentativo di depistaggio messo in atto da Cagnazzo e Molaro durante le prime fasi dell’indagine sull’omicidio, che sarebbero state indirizzate verso persone che nulla hanno a che fare con il delitto. Nei giorni successivi il ritrovamento del corpo di Vassallo, il tenente Cagnazzo avrebbe ascoltato un carabiniere in vacanza in una casa vicina alla scena del delitto (il militare ha dichiarato di non aver sentito i colpi di arma da fuoco esplosi contro Vassallo), acquisendo e analizzando poi i video di sorveglianza di un negozio di Acciaroli senza però avere ricevuto una delega dal pm di Vallo della Lucania o dalla procura. Nel decreto di perquisizione fu riportata anche una telefonata senza risposta di Molaro a Cagnazzo, avvenuta due minuti dopo la morte di Vassallo. Entrambi in vacanza ad Acciaroli, quella sera avrebbero partecipato a una cena.
Trattandosi di indagini preliminari, è nota solo la parte del mosaico che non è coperta dal segreto investigativo e quindi, come sempre in questi casi, vale la presunzione di non colpevolezza prima del terzo grado di giudizio. Ciò non toglie che la verità giudiziaria sull’assassinio del sindaco sarebbe la punta dell’iceberg da cui partire per capire costa sta succedendo nel Cilento. A cominciare dagli interessi della criminalità organizzata nei mercati locali illegali e formalmente legali; il rapporto tra politica, regolazione e società; le dinamiche che connotano l’economia locale e i settori più vulnerabili alle collusioni.
I carabinieri dei Ros di Roma e Salerno eseguirono il decreto di perquisizione – emesso dalla procura di Salerno e firmato dal procuratore capo Giuseppe Borrelli e dal pm Marco Colamonici – nei confronti di nove persone, tra appartenenti all’Arma e imprenditori, accusate a vario titolo di omicidio e associazione per delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti. Nel provvedimento si accenna al ruolo di un presunto mandante vicino ai clan napoletani, Raffaele Maurelli, imprenditore edile di Scafati che avrebbe organizzato un traffico di stupefacenti attraverso una spola di gommoni tra Castellamare di Stabia e il porto di Acciaroli, una frazione di Pollica.
Maurelli morì di cancro poco dopo aver ricevuto l’avviso di garanzia per concorso in omicidio con l’aggravante mafiosa. Aveva deciso di parlare, ma la Dda di Salerno non fece in tempo. Dall’incrocio con le altre relazioni investigative, risulterebbe che l’imprenditore avrebbe cercato prima di corrompere e poi ricattare Vassallo per ottenere un lido utile alla logistica del traffico di droga cilentana.
Il 6 settembre 2010 Vassallo avrebbe dovuto denunciare ai carabinieri di Agropoli e all’allora procuratore capo di Vallo della Lucania, Alfredo Greco, ciò che aveva saputo sul traffico della droga. Vassallo voleva difendere la sua terra dai traffici illeciti. Ma non fece in tempo, Vassallo. Fu assassinato la domenica sera 5 settembre. Il giorno dopo avrebbe dovuto incontrare il capitano dei carabinieri di Agropoli. Vassallo aveva confidato ad alcune persone di fiducia di avere scoperto qualcosa che non avrebbe mai voluto scoprire, temendo per la propria incolumità. Dalle interviste rese dai familiari subito dopo l’assassinio emersero anche come il contrasto allo spaccio fosse tema di scontro tra i carabinieri locali e il primo cittadino, costretto ad affrontare direttamente i pusher.
Dopo 13 anni la procura di Salerno dovrebbe mettere la prima parola fine all’inchiesta Vassallo senza cedere ai canoni pubblicitari degli antimafiosi di professione.