Pizza bruciata? Attenzione agli idrocarburi policiclici aromatici
Di ANGELO PERSICO
Come nutrizionista spesso e volentieri mi capita di concedere ai miei pazienti una pizza settimanale, come “premio” della loro buona condotta a tavola. C’è chi opta per una cena libera o un panino, ma la stragrande maggioranza preferisce la pizza: e come dargli torto? Il problema, però, è che non di rado ci ritroviamo una pizza con il fondo o col bordo bruciacchiato. Ci siamo così abituati a queste bruciacchiature, che neppure ci facciamo caso e, per voracità, ma soprattutto ignoranza, continuiamo a mangiarla, ignari dei gravi rischi che corriamo per la nostra salute. Sorge quindi spontaneo chiedersi: ma la pizza bruciata fa davvero male alla salute? E se sì, per quale motivo? Rispondiamo subito alla prima domanda: sì, la pizza bruciata fa male e risulta cancerogena, così come fanno male tutti i cibi bruciati, in particolar modo la carne. Infatti è attraverso le parti bruciate delle carni che si sprigionano le amine, sostanze che, a lungo andare, possono aumentare il rischio di ammalarsi.Nel caso particolare della pizza si verifica che, quando la fiamma è troppo forte, l’impasto brucia e nel processo di combustione si formano gli idrocarburi policiclici aromatici, conosciuti con la sigla IPA. Gli IPA sono un gruppo di composti considerati contaminanti critici, in primo luogo dall’EFSA, ovvero l’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare. Queste sostanze, attraverso sempre più studi, sono state collegate all’aumento del rischio di tumori, compresi quelli associati a squilibri ormonali, quali il tumore della mammella e della prostata.Inoltre è doveroso sapere che dagli alimenti ricchi di carboidrati si forma acrilamide, un composto chimico presente in un gran numero di cibi fritti o arrostiti (dal pane al caffè, ai cereali per la prima colazione). Questa sostanza tossica si forma con la contemporanea presenza di temperature elevate (superiori ai 120°), carboidrati, grassi e zuccheri e non vi è nessuna differenza fra l’utilizzo di un forno elettrico o a legna. Non a caso nel 2007 il progetto Europeo Heatox Project ha dichiarato che “l’acrilamide espone al rischio di cancro gli esseri umani”.Va precisato, tuttavia, che non è il singolo cornicione bruciato e mangiato una tantum a procurarci il cancro, ma la quantità e la frequenza con cui ingeriamo cibi bruciati. Non solo: anche lo stile di vita della persona può contribuire in tal senso. Se per esempio il soggetto è un fumatore, vive in un luogo in cui è presente un alto tasso di inquinamento ambientale o si ciba frequentemente di carne arrostita. Se sull’inquinamento possiamo agire solo in piccola misura, tanto possiamo fare sulle nostre abitudini di vita: abolendo il fumo, scegliendo cibi sani e cotti alle giuste temperature, privilegiando la cottura al vapore, ed evitando di mangiare cibi bruciati come la pizza, il pane o le carni. A questo punto è lecito domandarsi perché la pizza arriva bruciata alle nostre tavole. La risposta è una soltanto: a causa della scarsa professionalità o del menefreghismo del pizzaiolo. Un pizzaiolo che ha fretta aumenta la temperatura del forno e questo crea le classiche bruciature sul bordo e sul fondo della pizza. Per questo motivo il Disciplinare della Pizza Napoletana, presentato a Bruxelles con il fine di ottenere il marchio collettivo, dice quanto segue: “Il pizzaiolo deve controllare la cottura della pizza sollevandone un lembo, con l’aiuto di una pala metallica e ruotando la pizza verso il fuoco, utilizzando sempre la stessa zona di platea iniziale per evitare che la pizza possa bruciarsi a causa di due differenti temperature. È importante che la pizza venga cotta in maniera uniforme su tutta la sua circonferenza”. Concludiamo rispondendo ad un’ultima domanda. Cosa fare se ci arriva nel piatto una pizza bruciata? Anche in questo caso, la risposta è semplice: rimandarla indietro! È infatti un diritto del consumatore chiederne un’altra senza bruciature.