di Olga Chieffi
Non esiste una società senza fanzine: le fanzine siamo noi che ci riflettiamo in uno specchio senza filtri che restituisce la parte della società che spesso non viene mostrata ma che racchiude dei veri e propri tesori. Sono uno, forse il migliore degli strumenti dalla parte degli storici per capire chi siamo e come siamo arrivati ad oggi. Uno strumento democratico, cocciutamente cartaceo e libero, senza mediazioni o regole di sorta che riesce ad appassionare chiunque vi si avvicini. E le fanzine dell’archivio di libri d’artista Ibridifogli di Antonio Baglivo, saranno protagoniste insieme a numerosi altri pezzi della mostra Hibrid&Zine, che vivrà il suo vernissage questa mattina presso l’archivio di Stato di Salerno, e sarà fruibile negli orari d’ufficio sino al 30 maggio. “Il termine inglese fanzine nasce dalla contrazione delle parole fan (da fanatic, appassionato) e magazine (rivista), e può essere tradotto in italiano come rivista amatoriale. Si tratta delle riviste stampate in tirature limitate, generalmente distribuite direttamente o su abbonamento, realizzate da appassionati. Diffuse nel mondo del fumetto, della musica e della letteratura, le fanzine sono nate negli anni venti e trenta negli Stati Uniti come una delle prima espressioni del mondo degli appassionati della fantascienza, il cosiddetto fandom […]. Anche in Italia le prime fanzine nascono dal mondo della fantascienza, negli anni Sessanta. La più antica che si ricordi è “Futuria Fantasia”, fondata dal futuro regista Luigi Cozzi. Sulle fanzine esordiscono e si fanno le ossa molti dei critici e degli scrittori italiani di fantascienza. Ogni tipo di realtà, che non trova spazio, vuoi per reali limiti artistici degli autori, vuoi per cieca ottusità degli editori, nella cosiddetta editoria mainstream, si realizza imboccando la strada dell’autoproduzione. Casa Baglivo è un delizioso museo, il cui percorso espositivo propone un itinerario diversificato e complesso, anche dal punto di vista cronologico, incentrato sulla sua svariata attività e ben ne evidenzia la poliedrica produzione, ponendo in relazione alcuni dei suoi più tipici momenti creativi. Indagando sul valore degli oggetti e sulle loro potenzialità, sul potere del segno, che supera lo stesso significato, Baglivo ha cercato progressivamente di superare il limite delle cose, dei progetti stessi, divenendo, in questo modo, assertore della superabilità dei confini, se affrontati con occhi sempre diversi. Così, nelle teche della sua casa-archivio, possiamo vedere libri-oggetto e libri d’artista, che oggi sono esposti, grazie a questa mostra cui ha collaborato anche Vito Pinto, all’archivio di Stato. I libri scultura, come Teca Mundi, oggetti d’arte che del libro mantengono l’aspetto tradizionale, ma non la struttura e la funzione, ci mostrano diverse realtà e due differenti dimensioni: non più solo pagine stampate, ma al loro posto materie, forme, colori, immagini, segni, libri non necessariamente realizzati su supporto cartaceo, ma nati dall’utilizzo altri materiali: metallo, legno, terracotta, con pagine rilegate, dipinte, libri liberi di raccontare una storia, narrazioni che si sedimentano poco a poco, come i gusci delle conchiglie di cui è un riconosciuto collezionista, dal passato ad oggi, oppure che esplodono nell’attimo stesso in cui l’artista crea. I libri d’artista, invece, che vanno oltre il concetto comune di libro, rendendo osmotici al loro interno i vari linguaggi delle arti, dalla poesia, alla fotografia, nascono dall’incontro di Baglivo con i rappresentanti delle varie muse e sono interamente realizzati in proprio dall’autore, in ogni fase della lavorazione, utilizzando carte povere, ordinarie o riciclate, e carte cotone per le calcografie, in tiratura limitatissima, o addirittura pezzi unici e, quindi, opere d’arte non ripetibili, che rappresentano il senso del lavoro dell’artista intorno al libro, come medium estetico, inserito all’interno del suo articolato e complesso percorso. Una cellula creativa particolarmente attiva e propositiva che nella persona dell’artista Antonio Baglivo, ha tracciato nel tempo un percorso di esperienze e di progetti che hanno promosso collaborazioni e scambi con centri culturali e singoli artisti in tutta Europa e non solo. Tra i diversi pezzi in esposizione, la presenza del numero zero della rivista in scatola, tutta salernitana, “Civico 23”, promossa e coordinata dagli artisti che fanno capo al No Profit Art Space “Civico 23” e che vede la partecipazione di ventitrè tra i più interessanti e impegnati artisti italiani contemporanei orbitanti nell’area della mail art e della poesia sperimentale. All’archivio di Stato vedremo esposte opere di Antonio Baglivo, Vittore Baroni, Carla Bertola, Sergio Borrini,Alan Bowman, Cosimo Budetta, Mirta Caccaro, Alfonso Caccavale, Rolland Caignard, Francesco Calia, Lamberto Caravita, Armando Cerzosimo, Piermario Ciani, Tiziana Colusso, Carmela Corsitto, Maria Credidio, Eleonora Cumer, Angelo D’Amato, Teo De Palma, Anna Di Fusco, Marcello Diotallevi, Cinzia Farina, Fernanda Fedi, Bartolomè Ferrando, Luc Fierens, Bill Gaglione, Ombretta Gazzola, Loredana Gigliotti, Gino Gini, Salvatore Giunta, Antonio Izzo, Domenico Latronico, Pino Latronico, Alfonso Lentini, Silvana Leonardi, Osvaldo Liguori, Carmine Lubrano, Serse Luigetti, Ruggero Maggi, Ida Mainenti, Rosario Mazzeo, Mauro Molinari, Nadia Nava, Gerardo Nigro, Jurgen O.Olbrich, Gaetano Paraggio, Giancarlo Pavanello, Salvatore Pepe, Giordano Perelli, Pio Peruzzini, Eliana Petrizzi, Antonio Picardi, Hugo Pontes, Gianni Rodari, Gian Paolo Roffi, Giovanna Russoniello, Antonio Sassu, Maria Teresa Schiavino, Sinclair Scripa, Cristina Tafuri, Ilaria Tufano e Alberto Vitacchio.