Di Francesco Aliberti
Una scaletta raffinata e non banale, quella allestita dal Maestro Jacopo Sipari di Pescasseroli, per il Gala Pucciniano, che impreziosirà la Festa della Musica salernitana domani sera. Gli studenti del Conservatorio Musicale “G.Martucci” di Salerno guidato da Fulvio Artiano andranno ad unirsi ai professori in tournée dell’ Orchestra dell’Opera Nazionale d’Albania, del sovrintendente Abigeila Voshtina, per sostenere i solisti Eva Golemi, Alessia Panza, Vincenzo Costanzo e Gezim Myshketa. Un percorso particolare che siamo andati ad analizzare con diversi tagli e angolazioni. La musica di Puccini ha sempre diviso la critica. Posizioni intransigenti come quella di Adorno, che l’ha assimilata all’operetta e alla musica leggera, trovano conferma in Kerman, secondo cui Tosca e Turandot sarebbero “banalità da caffè concerto”. Decisamente più centrato è il taglio ermeneutico di Girardi, orientato a sottolineare l’inquieta esplorazione estetica di un compositore consapevole del cambiamento e alla ricerca di nuove strade. Casini mette in luce l’estraneità di Puccini alla dimensione religiosa (“un agnostico dotato di una notevole dose di superficialità”), mentre Carner, esasperando le osservazioni di don Panichelli sulla fede assopita del Maestro, dichiara che l’ateismo diCavaradossi è “ampiamente condiviso dal compositore”. Un altro fronte della critica, rappresentato da Bianchi, insiste invece sulla credibilità religiosa di Puccini, proponendo una prospettivaermeneutica in cui la fede gioca un ruolo illuminante sulla biografia di un compositore spesso incasellato negli angusti clichés del cacciatore di donne, del gaudente, del bestemmiatore. Non si può negare l’attualità dell’opera pucciniana, che offre spunti interessanti di riflessione a coloro che, oltre la musica, sono in cerca di una prospettiva di senso. In Le Villi l’oscurità si oppone alla chiarezzaluminosa e razionale del giorno, evoca fantasmi e presentimenti. La preghiera prima della partenza di Roberto (Angiol di Dio) non è sufficiente a neutralizzare le seduzioni del mondo che portano al naufragio d’amore. La frenesia vendicatrice delle Villi si palesa nell’intermezzo sinfonico cheprecede il ritorno al villaggio di Roberto. La Tregenda celebra il potere della danza, che Nietzsche eleva a paradigma di un nuovo vivere: non più espressione della trasgressione del corpo, ma chiave d’accesso ai segreti dell’amore e della morte. La notte – espressione di energie profonde, nascoste, femminili, che dischiudono la possibilità dell’amore – è complice del primo incontro tra Mimì eRodolfo: Mimì ‘appare’ a lui come la Musa da sempre cercata. Vien da pensare che Rodolfo si siainnamorato dell’Amore: una gioia che per esser compiuta non può fare a meno del dolore e della morte, perché – come ricorda Giordano Bruno – viviamo “tra forme luminose e vaghe che ancora non son tenebra”. Il thaûma si radica in questo stare in mezzo che non ha altro luogo se nonl’insecuritas di un amore che non può pretendere nulla in cambio. Lo slancio di Des Grieux in Donnanon vidi mai ne rivela la catastrofe emotiva: d’ora in poi ogni sua azione è dettata dalla follia di un amore che è passione travolgente e sussulto dell’anima, fino alla perdita di sé. “Eppure – ricorda Renato Zero – amando ci si può salvare”, e persino Manon, che paga il prezzo del suo attaccamento alle cose del mondo, nel deserto attinge a una forma di riscatto: un amore che non muore. In una vitapiena di violenza la maternità rappresenta il principio di unità a fondamento delle relazioni. Suor Angelica è un inno al valore della maternità: negata dalle contingenze del mondo, ma riscattata da Maria, madre di tutti noi, il cui sguardo trascende ogni limite umano. La teomachia, la lotta con Dio che si combatte nelle trincee della vita ogni giorno, e la teodicea, la questione del male, della sua origine e del suo senso, sono i due grandi temi di Tosca. Gli eventi del mondo e l’uso politico della religione spingono a un agire cattivo: captivus, in quanto prigioniero di una spirale in cui il male genera altro male, e l’unico destino possibile è l’eclissi di Dio, la morte nella disperazione. Il più grande peccato sta nel “dimenticare Iddio”, nell’ergersi al Suo stesso livello, nello “sfidar l’eternità”, come evocano i tratti ‘demoniaci’ di Scarpia e Schicchi. Nel duetto che conclude l’atto I di Madama Butterfly Pinkerton sembra ‘convertito’ alla forza della fragilità, di un “bene piccolino” che dà senso alle cose. In Un bel dì vedremo il ricorso al modo dorico e il salto di sesta maggiore sulla nota acutafinale, a cui la retorica attribuisce un valore affettivo di espansione, evocano la fede, lo slancio dell’anima che trascende le ferite. L’attesa dello sposo non è rassegnazione, ma desiderio dell’incontro, esperienza ‘femminile’ del non-essere-per-sé, sospensione del tempo, speranza che non vede (Rm 8,24): il tempo è il dono dell’Altro che nel farsi presenza – persino nell’infinitanostalgia della mancanza – fa luce sulla nostra identità. Invece, Pinkerton non torna per Cio-cio-san: il principio maschile ri(con)duce tutto alla hybris della Ragione e della Necessità, e i sensi di colpa convincono assai poco. La compassione è scavalcata dall’interesse, eppure dai recessi dell’anima sialzerà un grido: “Butterfly!”. Sintomo della radicale impotenza della volontà di potenza?