Due i vini a marchio Azienda Agricola San Salvatore 1988 premiati al Salone dei Vini Guida Bio: IGP Paestum Aglianico “Omaggio a Gillo Dorfles” 2017 e IGP Paestum Fiano “Pian di Stio” vinificato in biologico. Abbiamo incontrato il patron Giuseppe Pagano alla vigilia della consegna dell’ambito premio
Di Alfonso Mauro
“Ho visto un bufalo tra le vigne e lui ha visto me” — il Cilento del mito (ri)fondativo contemporaneo, Cadmo come Giuseppe Pagano, in un identitario ritorno alle terre dell’azienda dall’anima etica nel cuore pestàno. Fondamentale l’orgoglio del lavoro ma anche la narrazione, il rebranding della bellezza del Cilento nel mondo, magari in collaborazione con il celeberrimo Dorfles, asceso veramente al mito. Due i vini a marchio Azienda Agricola San Salvatore 1988 premiati al Salone dei Vini Guida Bio: IGP Paestum Aglianico “Omaggio a Gillo Dorfles” 2017 (appunto), e IGP Paestum Fiano “Pian di Stio” vinificato in biologico. 75 ettari di cui 15 vitati sono in area del Parco Nazionale del Cilento; espansi altri 25, di cui 15 vitati. Un’area ricompresa tra i comuni di Stio, Paestum e Giungano. Oltre 15 etichette, olio d’oliva, pasta liquori confetture, il design e il segno, la sostenibilità quale vocazione per una delle zone con più prospettive di crescita nel centro-sud, cui dare l’esempio di chi ama e resta — e magari convince chi è andato a tornare. Abbiamo raggiunto il patron Giuseppe Pagano, nella sua Paestum, alla vigilia della consegna delle ambite foglie sabato mattina a Palazzo Sant’Agostino.
Quale fondazione, e quali i punti di forza che hanno enormemente lanciato la vostra realtà, massima negli ultimi anni?
“Una nuova visione di Cilento attraverso la conduzione con integrità di una grande azienda agricola. L’idea nel 2003, il progetto ha mosso i passi nell’ottobre 2004. Le bonifiche e il tempo necessario per un’opera di qualità. Impianto nel 2007 e imbottigliamento nel 2011. Due punti di forza: aver scelto senza mezzi termini il biologico, il rispetto dell’ambiente e dell’uomo; e l’ecosostenibilità, con l’impianto a biogas da reflui dell’azienda biotecnica e sfalci di potatura, e tre impianti fotovoltaici: produzione d’energia verde fino al doppio di quella consumata”.
Tra le parole-chiave della vostra comunicazione: futuro. Dove andare?
“Non dobbiamo andare nel consumo, nel sopr-uso; questo il senso dell’altra parola-chiave “rallentare”. Non si può più pensare di fare qualcosa oggi senza che questa sia ideata per durare almeno vent’anni. Magari i mezzi del fare mutano, ma la strada non deve avere una fine e un fine se non nei giovani e nella sostenibilità. E ciò non solo per il comparto vitivinicolo ma come forma mentis vera e propria”.
Il branding è cifra caratterizzante della vostra azione; quale rapporto tra prodotto e sua rappresentazione?
“Il rapporto, il fulcro è nella terra che produce bellezza e bontà, e a questo livello il buono e il bello non possono essere due cose distinte. Ciò che si fa non può prescindere dal dove e come si fa, dall’intelligenza che deve coniugarsi col bene: da qui scaturisce occupazione e turismo, la crescita corale. Un prodotto deve sia avere sia dire ciò”.
Una interessante kalokagathìa… Qualche dichiarazione, infine, circa il premio conseguito dai vini?
“Intanto la gioia per il vino-omaggio al grande maestro e amico Gillo Dorfles, cui molto dobbiamo per l’incontro tra vino e arte… Ma entrambi sono vini di punta; ed è importante conseguano premi affinché il grande pubblico li conosca meglio nella loro narrazione del sapere distribuito, peculiarità organolettiche e produttive, nei loro territori dove il tempo rallenta e la vita ha un sapore diverso — ma al contempo luoghi dove ritornare grazie a un concerto di nuove energie, un nuovo tipo di modernità”.