di Erika Noschese
Menzogna, ipocrisia, non detto, paura, timore, pregiudizio, offesa. Sensazioni fin troppo comuni nella vita dell’essere umano, che si enfatizzano in modo particolare quando il tema centrale è quello delle dipendenze. Ai classici atteggiamenti che – psicologicamente, sociologicamente e antropologicamente – definiamo “umani”, si aggiunge spesso una forte spinta dettata dalla necessità di trovare un escamotage che consenta a ognuno di noi di sentirci meglio, anche solo per pochi attimi. Questa sensazione ce la dà, banalmente, la bugia o il non detto: la percezione di farla franca, di aver ovviato in modo semplice a un problema in un determinato momento senza ragionare sulle conseguenze di quell’azione specifica, ci rasserena per pochi attimi. Presto o tardi, poi, viene fuori il vero risultato di quel malessere che coviamo dentro come fosse fuoco ardente ricoperto dalla cenere: l’idea di aver nascosto il problema con una soluzione furba, immediata ed efficace, ci lascia illudere per un tempo limitato di avere la possibilità di far finta di niente, di poter andare avanti come se nulla fosse. Il fuoco, invece, resta lì: pronto ad ardere anche più di prima, poiché quella cenere non ha spento. Ha soltanto coperto, ma per noi è difficile capirlo o ammetterlo.
Lo stesso accade quando si pensa di poter risolvere un problema o compensare una mancanza con soluzioni rapide, immediate, momentanee che ci illudono di poter andare avanti senza farci ulteriormente del male: succede con le persone, con le cose, con le dipendenze in generale. Le sostanze psicoattive rientrano in questo abnorme calderone di rifugi, sin dall’età adolescenziale. Motivo per cui esistono sui territori i Servizi per la cura delle dipendenze, i Ser.D., facenti capo alle Asl, che offrono la possibilità di affrontare nel totale anonimato le problematiche più diffuse della dipendenza da sostanze, legali o illegali, come conferma la responsabile del Ser.D. di Salerno, Antonietta Grandinetti.
La percezione generale è che ci sia tanto uso e altrettanto abuso di sostanze, in città e provincia di Salerno.
«Cominciamo col dire che non esiste, come letteratura scientifica, alcuna differenza tra uso e abuso. L’inquadramento del DSM-5 (acronimo di Diagnostic and Statistical Manual of mental disorders, “Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali”, ndr) ci parla di quanto è grave la dipendenza che noi operatori andiamo a valutare. Lo facciamo seguendo i requisiti rispetto a una serie di item, per definire se siano soddisfatti o no. Dovremmo poi fare differenza tra droghe legali e illegali: sicuramente rileviamo un uso crescente, in giovani e giovanissimi, di alcol e sostanze alcoliche. Si tratta di un comportamento-problema che rileviamo in quella che è la zona franca del fine settimana: i giovani, durante il weekend, abusano eccessivamente di alcol e ciò, in qualche maniera, va a modificare i comportamenti abituali che registriamo. Diventa quindi difficile da riconoscere e certificare come patologia, perché i ragazzi registrano un buon funzionamento nel resto della settimana. Questa è la prima criticità».
Quali dati sono a disposizione dei servizi per le dipendenze, per queste valutazioni?
«Sicuramente quelli dei Pronti Soccorso e delle segnalazioni per guida in stato di ebrezza, che arrivano ai servizi per le dipendenze. I minori coinvolti in queste situazioni, per cui arrivano i servizi, sono circa 50 all’anno. Non sono numeri alti, in apparenza, ma è ciò che arriva ai servizi: tutto il sommerso, se non formula richiesta di aiuto, non ci arriverà mai da noi».
Ci sono dati differenti circa l’abuso di sostanze psicoattive, tra città e provincia?
«Nel territorio siamo in linea coi dati nazionali, non abbiamo punte di fenomeni. Per esempio, ricordiamo che la causa di morte per incidente stradale sotto effetto di sostanze psicoattive, fino ai 25 anni di età, è la prima in Italia e in alcune zone d’Europa. Siamo a un livello davvero drammatico: tanto è vero che l’Oms chiede ai servizi per le dipendenze, come il nostro, interventi mirati per la prevenzione e promozione di uno stile di vita sano».
Quali sono le sostanze più frequentemente usate, sull’intera area provinciale?
«Per le sostanze psicoattive, di tipo illegale, ovviamente registriamo i cannabinoidi come sostanza maggiormente usata, se parliamo di giovanissimi tra i 16 e i 22 anni. In alcuni casi, ovviamente, la percentuale si riduce in una fase in cui potremmo trovare al primo posto la cocaina, come da dati nazionali ufficiali dei report dei servizi che arrivano al Ministero della Salute».
Si parla di cannabis e cocaina, ma in giro per la città e la provincia ci sono centinaia di siringhe che urlano “eroina”.
«Nonostante tutto, l’eroina è una sostanza ancora estremamente presente. Ma questo, ripeto, a livello nazionale e non solo a Salerno. Prima, dall’anamnesi psicologica del paziente, registravamo proprio l’eroina come sostanza d’esordio per l’abuso iniziale. Oggi, sempre più spesso, ci troviamo come sostanza iniziale la cocaina e poi un successivo passaggio all’eroina».
Se ne consuma di più in città o in provincia?
«Dai nostri dato non si rileva una grossa differenza tra città e provincia rispetto a consumi e usi, anche rispetto agli esordi: ovviamente, in base al numero di abitanti, i numeri cambiano. Come sostanza d’esordio e come modalità di esecuzione non ci sono grosse differenze. Ma va sempre premesso che il dato ufficiale non prevede il sommerso, che è il nostro vero punto dolente».
I minori non si recano autonomamente ai Ser.D.. Chi li segnala? E come vengono gestiti minori o adulti con dipendenze comprovate, oltre agli Icatt?
«Le segnalazioni arrivano da servizi sociali e tribunale minorile: c’è una collaborazione stretta con il tribunale per i minori trovati in possesso di sostanze o per i genitori di minori per cui deve essere prodotto un accertamento di dipendenza. L’Icatt di Eboli rientra in questo percorso, essendo un istituto a custodia attenuata, per cui per accedere occorre la diagnosi di dipendenza. A Fuorni, invece, c’è un gruppo di lavoro che segue in maniera rigorosa i pazienti che hanno diagnosi di dipendenza al loro ingresso, con la stretta collaborazione dei Ser.D. e della sanità penitenziaria».
Si ha tanta paura di recarsi ai Ser.D.
«In base alla legge 309/90, le persone che arrivano ai nostri servizi su base volontaria hanno diritto all’anonimato. Invitiamo le persone a chiedere aiuto ai servizi specifici, perché ciò non pregiudica la loro partecipazione a concorsi pubblici, non diventa una segnalazione né un marchio. Sono servizi sanitari sotto tutti i punti di vista, per cui l’intervento che viene effettuato è esclusivamente sanitario: non c’è schedatura né segnalazione né ritiro di patente o altro ancora. Anche questa intervista, per cui ringrazio chi ne scrive, è da considerarsi come intervento di promozione della salute, invitando le persone a rivolgersi ai servizi per le dipendenze. Significa prendersi cura di sé e chiedere aiuto agli specialisti, persone competenti».
È difficile ammettere l’esistenza di un problema e puntare alla soluzione, anziché all’escamotage.
«L’Oms definisce la dipendenza una malattia cronica, ad andamento recidivante con fasi alterne di remissione e di recrudescenza. Non è un problema di una città o di un posto specifico: è un discorso generale su patologie complesse che hanno fasi alternate di remissione, appunto, in cui si sta meglio o peggio. Chiaramente, si parlava di esordio prima perché la fascia considerata è giovanile. Ma al di là di comparsa o scomparsa di eroina, sappiamo che è questa la sostanza più usata. La dipendenza tra l’altro è trasversale, quindi non ha un’età preferenziale: è trasversale per livello socio-culturale e per fasce di età. Invitare le persone a rivolgersi ai servizi, senza intenderli come qualcosa che ci possa emarginare, è importante proprio per questo. La promozione della salute porta a ridurre anche comportamenti di questo tipo, perché facciamo spazio all’idea che ci si possa prendere cura di se stessi: la dipendenza si può curare, senza vergogne e senza paure».