Grand'estate: oratorio a nove voci - Le Cronache
Spettacolo e Cultura

Grand’estate: oratorio a nove voci

Grand’estate: oratorio a nove voci

 

Salerno abbraccia Enzo Moscato che ha chiuso la prima stagione teatrale della sala Pier Paolo Pasolini con questa sua raffinata comedia umana. Sugli scudi la Sciuscetta di Massimo Andrei

 Di OLGA CHIEFFI

Si è chiusa in bellezza, con la pièce “Grand’Estate” di Enzo Moscato, la prima stagione teatrale di Casa del Contemporaneo, ospitata nella sala Pasolini. Dopo il grande successo di “Toledo Suite”, ecco questo secondo spettacolo, un oratorio, in scrittura “sincopata” a nove voci, che traccia il viaggio immaginario di due prostitute Poppina e Sciuscetta, regine di un bordello dei Quartieri Spagnoli nel Ventennio. Il viaggio “fantastorico”, che va dal 1936 al 1960, colloca le sue solide fondamenta sulla Storia dell’Italia del pre e del secondo dopoguerra. Accompagnato da un affiatato gruppo di giovani attori (Giuseppe Affinito, Caterina Di Matteo, Gino Grossi, Francesco, Giancarlo e Giuseppe Moscato), che vanno a comporre un coro evocante quello greco, Enzo Moscato, inizia il suo spettacolo sulle note di “C’è un uomo in mezzo al mare”, datata appunto 1936, dando inizio, nelle vesti di Poppina all’omerico viaggio mediterraneo, in duetto con l’eccellente Massimo Andrei nel ruolo di Sciuscetta, partite dall’accorsato casino Bonacina sulle scale di Vicolo Tiratoio, sopra “a” i Quartieri, alla volta dell’Eritrea. Scrittura classica, unita al gioco della reiterazione, esaltazione del divertissement e della non-significanza, gusto per la citazione teatrale, televisiva e cinematografica, arriva la Carmela di “Questi fantasmi”, la pubblicità di “Bevete più latte”, il Peppino De Filippo di Boccaccio ’70 moralista intransigente in contrasto con l’immagine di Anita Ekberg, l’icona della Dolce vita, gli insuperabili Infortunio e Tortorella, Totò e Anna Magnani, i “due relitti di Cinecittà” persi nell’odissea tragicomica di un Capodanno romano, dell’amarissimo film di Mario Monicelli “Risate di gioia”, Alberto Asor Rosa, che si cela tra le azioni di un fantomatico saccente Asor Viola, e il suo basilare volume “L’alba di un mondo nuovo”, Peppino di Capri e la sua Malatja. Poppina e Sciuscetta partono sulle tracce di Lattarella, puttana per talento naturale e per consapevole scelta, loro testa di ponte in Africa. Le due libere dalle catene e soprattutto da visite, marchette e rotazione delle cosiddette quindicine, dei bordelli napoletani decidono di mettersi in proprio per “lavorare” nei possedimenti coloniali, soddisfacendo truppe italiane e alleate. Ma a Massaua non giungeranno mai. Il piroscafo-carretta Gange viene fermato a Malta, il lazzaretto, modello dei moderni campi-profughi, ospiterà le due protagoniste, in vista della quarantena, tra i sifilitici e aspiranti spie tedesche. La lebbra, epidemia paventata dalle due donne, produce assonanza con “libbro”, e continuando a divertirsi e divertirci sugli accenti, sulla narrazione in metrica, sull’inversione delle vocali toniche, Enzo Moscato magnetizza il pubblico, col suo non semplice esercizio combinatorio del linguaggio, ove si pratica indifferentemente il testo pubblicitario, lo slogan, la filastrocca, la canzone di costume, l’elevato lied, che fino a qualche tempo fa poteva essere considerato spericolato esercizio d’avanguardia, mettendo in luce tutta la musicalità della lingua napoletana. L’odissea finisce col funerale marinaresco di Lattarella, divorata dalla lebbra, o dall’estreo del “libbro” o resa folle dal mercurio, molecola con cui a quei tempi si curava la sifilide, e di tutta quella “nottata” che si appella seconda guerra mondiale. Non resta che il ritorno a casa per le rinate Poppina e Sciuscetta, salvate da un misterioso unguento, “cù na man annanz e nata arret”, per dirla nella nostra tradizione, alle quali con la legge Merlin, non resta che trasformarsi in malconce entraineuses del Club ’78, col compito tassativo di far solo consumare coppe di “champagne” San Marino, con la speranza di un D Day per tutte le puttane eroine, i cui nomi sono recitati come in una litania, che le hanno precedute, da richiedersi al presidente Giorgio Napolitano. Applausi scroscianti del pubblico e tre chiamate al proscenio per tutto il cast capitanato da Teresa Di Monaco nella cabina di pilotaggio, suoni e rumori.