Vincenzo Scannapieco, Michele Barbarulo, Pasquale Occhinegro, Simone Mingo, in viaggio in mondi diversi con gli insegnamenti del loro maestro
Di Olga Chieffi
“Il vero maestro non è quello che insegna un cammino ideale, ma colui che mostra all’allievo le innumerevoli vie che lo porteranno alla strada attraverso la quale incontrerà il proprio destino”. E’ un aforisma di Paulo Coelho che ci lascia intravvedere il Domenico Giordano maestro di vita nei confronti di questo quattro valenti uomini, che sono stati accolti da ragazzini dal docente e portano i suoi insegnamenti in tutti i campi in cui stanno agendo. “Il M° Domenico Giordano è il mio secondo padre – esordisce Vincenzo Scannapieco, impareggiabile ottavino e secondo flauto dell’Orchestra Filarmonica Verdi – Maestro di musica, maestro di vita, sempre critico, severo, affettuoso. Ci ha abituato al dialogo, al confronto con i metodi di altri docenti. Fu lui che caricò me e Michele Barbarulo su di un treno presentandoci a Carlo Enrico Macalli, primo flauto dell’Opera di Roma per l’ammissione ai suoi corsi di alto perfezionamento. Il maestro Macalli non intendeva ammetterci alle sue lezioni poiché non eravamo ancora diplomati, ma il Maestro Giordano intimò “Ascoltali e poi giudicherai”. Ci ammise entrambi. Mi esortò a specializzarmi nell’ottavino, strumento non semplice per intonazione, sempre scoperto in orchestra, un po’ messo da parte in conservatorio, di cui si dava prova, nell’ordinamento tradizionale al compimento inferiore. Vide in me l’ottavinista e mi affidò a Davide Ferrario presso l’Accademia di Santa Cecilia. La banda era un’altra sua fissa, che ci ha inculcato. Quando fondò la Banda “Città di Salerno” non c’era posto tra i flauti e mi chiese di imparare a suonare il tamburo, la cassa, le percussioni, con l’aiuto di un suo collega, per farmi fare esperienza in formazione. Oggi leggo le partiture in modo diverso, non guardando solo ai flauti che l’inaugurano, ma scorrendo fin sotto, dove le percussioni penetrano l’armonica. Mi impose di frequentare il biennio di didattica a muso duro. Volevo andare fuori a studiare, a perfezionarmi. “Per ora ti fermi due anni e fai il corso per abilitarti all’insegnamento, poi fai ciò che credi”. Terminata l’abilitazione intendevo trasferirmi a Bruxelles, ma giunse subito la chiamata della scuola e ora sono qui e col senno di poi, ringrazierò per sempre il Maestro Giordano per non avermi fatto partire”. “Le parole sono talvolta così inadeguate, non stanno dietro ai ricordi e alle emozioni – ci scrive Michele Barbarulo – Il maestro ha impresso una direzione decisiva alla mia vita interiore. Ha confortato e liberato la mia personalità. Custodisco gelosamente ogni ricordo. Proprio sotto la volta di questo momenti oscuro, la parola ha bisogno di scoprire l’indicibile, cui l’uomo sempre aspira, non si lascia dire nel dire umano, ma in esso si mostra, di un mostrarsi che spegne la voce e lascia un’ombra nel linguaggio stesso, ombra che abbaglia. Al Maestro dedichiamo qualche verso del II canto dell’Inferno dantesco, dove Virgilio dissolve i dubbi di Dante a intraprendere il percorso, poiché è volere d’entrambi compiere il viaggio: “Tu m’ hai con disiderio il cor disposto/sì al venir con le parole tue,/ch’i’ son tornato nel primo proposto. /Or va, ch’un sol volere è d’ambedue:/tu duca, tu segnore e tu maestro”./Così li dissi; e poi che mosso fue, /intrai per lo cammino alto e silvestro. Potrei ricordare il Maestro Giordano – afferma Pasquale Occhinegro – per il lustro che ha dato al Conservatorio cittadino durante la sua lunga carriera da insegnante; potrei ricordare il flautista Domenico Giordano per i suoi indiscussi meriti artistici; potrei ricordare l’uomo la cui onestà, sincerità e bontà erano note a chiunque lo abbia frequentato per più di un attimo (perché, a dirla tutta, nel primo attimo dava un po’ l’impressione di essere ispido). Tuttavia, vorrei ricordare il mio Maestro come quello che durante le sue lezioni riusciva con le battute a seppellire i problemi con una risata e a voltare pagina una volta per tutte. Da bambino, mi colpiva sempre con i suoi aneddoti che a me sembravano fantastici e che, forse, ormai ho romanzato: ricordo persone calate dalla finestra annodando le lenzuola, bandisti che facevano spuntini di mezzanotte con la riserva dei migliori vini di un albergo, treni quasi fermati con il freno di emergenza minacciando lo scandalo internazionale… Anche adesso, pensandoci, mi scappa un sorriso. Oggi, dopo tanti anni, quando da allievo sono diventato insegnante, vedo con più nitidezza quello che inconsapevolmente vedevo anche prima: che il Maestro Giordano aveva una volontà incrollabile e riusciva ad avere sempre una presa magnetica con i ragazzi. Ecco, il mio Maestro vorrei ricordarlo così: auguro a me stesso di essere con i miei studenti almeno un po’ di quello che lui è stato con i suoi allievi. “Oggi è venuta a mancare una delle figure che ha segnato e formato la mia vita – continua Simone Mingo – non solo da musicista, ma da uomo. Il M° Giordano era questo: il pilastro che ha guidato le nostre adolescenze, un Maestro esemplare da cui trarre mille insegnamenti, ma soprattutto un amico se non un padre per noi tutti. Voglio ricordarlo negli anni più felici del conservatorio passati a fare tanta musica, a divertirci, ad ascoltare e riascoltare i suoi aneddoti, le sue storie, i suoi viaggi, i suoi concerti. Voglio rivolgere un forte abbraccio alla famiglia, che possano trovare forza in questo momento tremendamente triste”.