Gli Auguri in musica dei Filarmonici salernitani - Le Cronache Spettacolo e Cultura

di Olga Chieffi

Saranno stanchi, ma felici, gli strumentisti dell’Orchestra Filarmonica “Giuseppe Verdi” di Salerno, i quali da anni, oramai si prestano a prove ed esecuzione di ben tre concerti di Capodanno. Due i direttori, due i programmi, a Ravello con Leonardo Sini, a Salerno, il premio ad Alfonso Todisco, che da qualche anno organizza a Pompei, il concerto di The Day-After, quest’anno anche a Cava de’Tirreni e nella logica corrente è abilitato a calcare il podio del nostro massimo. Due i concerti a Salerno, il primo alle 18,30, il secondo alle 21, 30, con un’orchestra che spazierà da Strauss a Brahms, da Verdi a Rossini, fino a Giménez. La musica di Strauss, che riveste in modo aderente ogni verso del libretto, ogni situazione del dramma, sfavilla in superficie a ritrarre l’Austria felix, la Belle – epoque, ovvero l’immagine che la società vuole lasciare di sé, ma screzia di amaro e di nostalgico ogni azione, facendo riaffiorare dei personaggi il lato segreto, zittito, tradito. Proprio in questo connubio si attua la classicità dell’ouverture del Die Fledermaus, con cui inizierà il Capodanno salernitano, il quale diverte ancora perché resta attuale, entra nell’ascoltatore per scuotergli nel profondo le due metà che compongono l’uomo, ragione e sentimento, regole e trasgressioni, anche col suo celebre valzer Du und Du. Quindi ci si sposterà in Spagna con l’Intermedio della zarzuela “La Boda de Luis Alonso” di Gerònimo Gimenèz, che vedrà protagonista nella coinvolgente pagina, che schizza un quadretto pittoresco del mondo iberico, il percussionista alle castanuelas sulla danza dei violini. Omaggio alla musica di Nino Rota. L’amico magico, nel corso della sua lunga carriera, collaborò con numerosi registi di fama internazionale come Luchino Visconti, e il suo Il Gattopardo, meraviglia cinematografica da ogni punto di vista, Il regista per questa pellicola chiese una sinfonia originale che contenesse i temi principali del film. Alla fine, scelta cadde su vecchie composizioni del musicista, che raccontando diversi momenti della storia ne rimarcavano l’atmosfera e lo spessore delle immagini. Ma chi può dimenticare la scena del valzer, un ritrovamento, firmato Giuseppe Verdi. Si passa alla Vienna degli Strauss con Frühlingsstimmen, op. 410 di Johann Strauss, un idillio schizzato da una danza di forte spessore con il contrasto aereo di flauti, clarinetti e violini. Quindi, una Polka veloce, stavolta del talentuoso Eduard Strauss Bahn frei! op. 45, per svegliare al nuovo tempo che da qualche ora è iniziato, prima di dar nuovamente spazio ai cantanti. A seguire la Tritsch-Tratsch-Polka di Johann Strauss, con la sua freschezza, divertente e piccante strumentazione. Prima di tornare in Italia con l’Ouverture de’ La Gazza Ladra di Gioachino Rossini, che si apre in modo inusitato: tre rulli di tamburo portano ad un “Maestoso marziale” di dubbia serietà. Che cosa ha voluto esprimere Rossini con questa introduzione che ha un sapore grottesco con quei ritmi “nobili” giocati fra trillo e trillo? Forse un ironico accenno all’atmosfera militaresca che pesa nella vicenda della “Pie voleuse” (il dramma di Théodore Badouin d’Aubigny e Louis-Charles Caigniez, dal quale fu ricavato il soggetto dell’opera), per poi tirar fuori due temi tutt’altro che estrosi, nei quali l’impulso ritmico sembra caricarsi di nuove connotazioni espressive che rivelano un nascente dinamismo drammatico. il brioso “Orphée aux enfers” di Jacques Offenbach, si ritorna al valzer, con lo Schiaccianoci di Pëtr Il’ič Čajkovskij e il famoso Valzer dei fiori, con la sua introduzione, che con volteggi aerei interrompe la citazione del tema principale sin dalla prima battuta. Ed eccola la Polka Schnell Unter Donner und Blitz elogio delle percussioni, all’inizio un forte rullo di timpani si presenta ogni quattro misure, mentre ogni battito della melodia discendente della seconda metà è sottolineato dallo scontro dei piatti. Il tamburo risponde in sintonia con la melodia dei legni che dà inizio alla seconda, spostando l’accento sulla seconda nota della battuta, fino alla chiassosa coda conclusiva. Finale viennese con la virtuosistica Pizzicato Polka, una scintillante vetrina per gli archi datata 1867, e naturalmente non ci si potrà esimere dalla Radetzky March, scritta in onore del Feldmaresciallo Johann Wentzel conte di Radetzky di Radez, repressore implacabile dei moti rivoluzionari del ’48 e vincitore di Custoza, salutata dal tripudio sin dalla sua apparizione perfino delle folle italiane al passaggio della tournée di Johann II a pochi anni dalla terza guerra d’Indipendenza. Sigillo con lo Johannes Brahms delle danze ungheresi. In un’epoca nella quale l’idea di musica nazionale si era da poco concretizzata, e in cui le indagini etnomusicologiche erano ancora in uno stato embrionale, Brahms scrisse “all’Ungherese” senza avere pretese filologiche o documentarie. La Danza Ungherese n.1, che ascolteremo per prima, si ispira, così, alla Isteni Czárdás o “Czárdás sacra” dell’ungherese Sárközy; lo stile è quello appassionato e trascinante delle melodie zigane, caratterizzato da una netta contrapposizione tra episodi ritmicamente impetuosi e malinconicamente lenti. Si passerà, quindi alla Danza ungherese n°5 in Sol minore di Johannes Brahms, una delle pagine più note del genio tedesco ispirato al brano Bartflai Emlék di Keler Bela. Le due particolarità più evidenti sono l’alternanza di due temi di carattere opposto, di cui il primo ripetuto alla fine (schema ABA), ed una struttura ritmica molto marcata, come solitamente accade per tutti i brani di origine popolare.

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