Giustizia, Gargani ha ragione - Le Cronache
Attualità

Giustizia, Gargani ha ragione

Giustizia, Gargani ha ragione

di Michelangelo Russo

Tutt’altro avrei pensato nella mia vita che dare pubblicamente ragione a una sferzata critica dell’On.le Gargani nei confronti della Magistratura. Lo ha fatto nell’articolo apparso su queste colonne venerdì 20 maggio col titolo “Giustizia, l’importanza dei referendum”. Chiariamo subito: non gli do ragione sui referendum, che personalmente non ritengo significativi (come del resto parecchi colleghi in servizio, visto il flop dello sciopero). C’è invece un’affermazione del politico Gargani, mirabilmente combattivo verso i giudici come nel pieno della sua carriera negli anni ’80, che merita la condivisione di chi scrive, per decenni oggetto, sovente, dei suoi strali. Gargani questa verve critica non l’ha mai ammorbidita. Perfino quando, al congresso nazionale di Magistratura Democratica tenutosi a Palermo ai primi di novembre del 1988, apparve nella fossa dei leoni di una platea di magistrati (molti milanesi) agguerriti come si era alla vigilia di Tangentopoli. Venne a rappresentare il governo: lui era il sottosegretario. Sfilò tra le fila delle poltrone seguito da centinaia di sguardi torvi, nel più gelido dei silenzi. Sul palco, iniziò a parlare della politicizzazione, a suo avviso, dei giudici. Mormorii di indignazione iniziarono a levarsi in crescendo. Con un colpo da maestro di purissima matrice democristiana, Gargani esclamò: “Vi posso anche capire per questa accoglienza. Ma almeno premiatemi per il coraggio di essere venuto a parlare qui in mezzo a voi. Vi prego solo di ascoltarmi per qualche minuto”. Un applauso sincero di premio al coraggio sciolse il gelo della sala. Gargani finì il discorso perfino con un tiepido applauso di cortesia finale. Noi giudici di Magistratura Democratica (ma anche delle altre correnti) avremmo dovuto fare tesoro di quella lezione. Non tutto della politica di diversa ispirazione culturale va respinto a priori. Anzi. E veniamo a quello che ha detto Gargani che mi trova d’accordo. La frase fatidica del suo intervento giornalistico è questa: “La Magistratura è diventata più autonoma a scapito dell’indipendenza. Il magistrato si sente non responsabile, in qualche modo al di sopra e al di fuori di ogni contestazione”.Sta tutto qui. L’irresponsabilità del giudice per i suoi errori. La critica di Gargani è in verità da sempre più insidiosa. Io so dove mira, per così dire, a parare. Alla fine del discorso c’è sempre la malcelata rivendicazione della politica di poter agire concedendo solo il controllo del consenso politico alle sue scelte, non il controllo giuridico penale. Ma il problema dell’irresponsabilità del giudice per colpa grave professionale rimane. E’ chiaro che la colpa non può investire l’attività interpretativa delle prove che fa il giudice nella sua azione. E tantomeno le scelte di inquadramento giuridico delle fattispecie concrete da giudicare in taluna o talaltra delle disposizioni normative da applicare. Sarebbe altrimenti la fine della giurisdizione. Ma c’è un terreno su cui occorrerebbe che l’atteggiamento di difesa ad oltranza dell’azione giudiziaria iniziasse a cambiare. Ci fu un tempo, fino a qualche decennio fa, in cui la magistratura dialogava molto di più al suo interno. E dialogava con le forze sociali in tantissime sedi, in dibattiti anche tumultuosi. Insomma, a accettava il confronto e la contestazione delle sue scelte. Quella apertura era il metodo più adatto di costruzione evolutiva del pensiero del giudice, in linea con la Costituzione. Il terrore della possibile strumentalizzazione persecutoria della colpa professionale ha fatto arroccare i giudici rinunziando ad ogni dibattito e critica pubblica. Una sorta di tregua inconfessata con la politica: la garanzia del corporativismo al riparo dalle responsabilità civili in cambio del voto al silenzio sulle dinamiche sociali. Insomma la rinunzia della magistratura ad essere soggetto interprete, in prima persona, con la sua voce e non solo le sentenze, della dinamica evolutiva della società prevista dalla Costituzione.

E lo sbaglio grave, anzi, gravissimo del giudice? A ben vedere, quello è confinato in una delle ipotesi tipiche dell’illecito disciplinare previste dalla legge del 2006 n° 109, e precisamente all’art. 2 lettera “g”: la grave violazione di legge determinata da ignoranza o negligenza inescusabile.

Sembrerebbe una norma che dovrebbe placare le rivendicazioni di chi è convinto, a torto o a ragione, di essere stato vittima di un devastante errore giudiziario dovuto a giudice totalmente asino. Ma non è così. La casistica della sezione disciplinare del C.S.M ha ridotto l’applicabilità della grave ignoranza della legge ai soli comportamenti del giudice, e non ai singoli provvedimenti adottati. I provvedimenti censurabili per la loro grave ignoranza sarebbero così solo quelli previsti dall’ipotesi della lettera “m”, e cioè quelli adottati nei casi non consentiti dalla legge, per negligenza grave e inescusabile, che abbiano leso diritti personali, o in modo rilevante diritti patrimoniali. E’ tutto un altro discorso, insomma, perché sono rari i casi pratici, e difficili da dimostrare. Il provvedimento, invece, previsto dalla legge, ma fatto con i piedi per grave ignoranza della legge o per negligenza inescusabile, non è punibile disciplinarmente.

Con grave sollievo delle casse statali, perché i danni alle sventurate vittime di magistrati asini come ciuchi non saranno risarciti dall’erario statale; se ci fosse invece una condanna disciplinare per ignoranza, allora sì che lo Stato dovrebbe sicuramente rimborsare. E dovrebbe rivalersi economicamente verso i magistrati ignoranti che hanno causato il danno. Forse così funziona il patto “autonomia in cambio di silenzio”. A presto