di Michelangelo Russo
Il Governo ha fatto come i piccoli Comuni quando pubblicano un concorso ai primi di agosto, con scadenza delle domande a Ferragosto. Molti, complici gli ombrelloni, non lo vengono a sapere. E così i partecipanti sono pochi, e c’è spazio per possibili manovre per i raccomandati. Questa legge sull’abuso esce a metà luglio, però, perché ad agosto è arduo acchiappare i deputati sulla spiaggia. Ma è comunque già aria di vacanza, e la catena delle reazioni avrà rallentamenti. Tutto studiato, mentre l’Italia sta per essere emarginata dal Governo Europeo nuovo. Ma veniamo allo spot principale: l’abuso d’ufficio è stato abrogato, per regalare ai Sindaci sonni tranquilli e non i dubbi angosciosi prima di firmare. E’ una bontade che fa sorridere: i sonni dei Sindaci e dei Governatori non sono mai stati turbati dall’incubo di un avviso di garanzia per Abuso di Ufficio. Sono tutti così sgamati da sapere bene che, da solo, il reato di abuso di ufficio è uno spaventapasseri nel grano di giugno. Condanne per il solo reato di cui all’art. 341 codice penale sono pochissime. Perché è un reato che normalmente, per la sua atipicità di condotta, ha il più delle volte bisogno di un reato concorrente nell’imputazione, affinché si regga nel dibattimento penale. Toti sarebbe uscito da un pezzo se gli addebiti a suo carico fossero consistiti soltanto in una serie di abusi d’ufficio, e basta. Forse, quindi, per il mantenimento in vita dell’art. 341 c.p. (l’abuso) non conveniva nemmeno farne una battaglia di principio. Ma perché il Governo grida alla sua gloria per questa abrogazione? Perché serve ad un applauso diffuso tra le schiere di amministratori e dipendenti pubblici timorosi. E quindi la manovra abrogativa è solo una battaglia di immagine, momentanea. Dove la nuova legge pone insidie di funzionalità della Giustizia sta invece in altri aspetti. Per prima, il divieto di pubblicazione di intercettazioni quando esse riguardino persone estranee al processo. Di principio, è un argomento anche condivisibile. Ma nella pratica, è difficilissimo decidere quando le conversazioni sfiorano argomenti connessi al processo in corso e sono comunque contenute in atti processuali come, ad esempio, le ordinanze di custodia cautelare degli indagati. C’è in più da dire che già da tempo vige nelle Procure un rigorosissimo controllo sui colloqui intercettati, a garanzia dei terzi estranei al processo. Non si capisce lo scalpitio governativo se non come effetto immagine, al solito. La nuova norma, però, contiene in nuce nuovi disastri per l’efficienza della giustizia, spacciata come movente per la velocizzazione della riforma. Si introduce l’interrogatorio preventivo dell’indagato prima che lo si possa arrestare. Bravi!! Così quello capisce dal primo avviso che sta per finire ai ferri, e, o se ne scappa e poi vienimi a prendere, oppure, peggio, capisce dalle domande istruttorie che gli fanno quali aspetti probatori ha l’inchiesta a suo carico. Così ha tutto il tempo, prima di essere arrestato, per correre ad inquinare e ad occultare le prove a suo carico. Poi c’è l’arresto, che deve essere deciso non dal singolo GIP (come avviene ora) ma da una terna di giudici. E qui c’è un’altra sorpresa che il frettoloso Governo meloni non aveva calcolato. Per effetto dell’incompatibilità tra Giudici che arrestano e Giudici che giudicano, stante il ristretto numero dei magistrati, sarà un problema insormontabile trovare i Giudici totalmente terzi all’arresto che poi dovranno decidere la sentenza finale. Un pasticcio totale che furbamente la nuova legge ha spostato, per l’entrata in vigore, ai prossimi due anni, quando, a parere di Nordio, ci saranno mille magistrati in più nell’organico. Tempistica impossibile, per la durata inevitabile dei concorsi, a meno che si vogliano e gli sia dia vanto, di far sparire le correnti. Di fronte ai suoi progetti, l’intero corpo giudiziario si è ribellato. Tutti gli sono contro. Non era mai accaduto. E questo perché, con la circolare sulle Procure, i giudici di carriera (e non i transeunti membri laici) hanno messo le basi della resistenza al mefitico piano delle Carriere Separate. Mefitico perché l’ideatore di questa distruzione dell’indipendenza del Pubblico Ministero fu sempre lui, Licio Gelli, la tragica figura al centro dei misteri della Notte della Repubblica. Ecco perché i veri Giudici, quelli togati, si stanno muovendo per tempo nel tentativo di evitare futuri Procuratori Capo, a carriera separata, strumento di controllo politico dei sostituti attraverso il loro potere di arbitri, privi di regole, per condizionare e scegliere i sostituti più graditi e malleabili.