di Olga Chieffi
Ritorna domenica 19 dicembre, Giuseppe Gibboni al Quirinale, stavolta per impreziosire l’abituale concerto di Natale offerto dal Presidente Mattarella, alle massime autorità dello Stato e a tutti gli italiani, con la diretta Rai alle ore 12. Un matinée che saluterà il LVI Premio Paganini, esibirsi in duo ritrovandosi tra le note con la sua compagna d’arte e di vita, la chitarrista Carlotta Dalia. Chissà che l’8 novembre il Presidente non avesse strappato la promessa a Giuseppe di tornare per lasciargli un dono musicale dal vivo, dopo aver applaudito il concerto del genio genovese e lo speciale Concerto per violino in Re Maggiore Op.35 di Pëtr Il’ič Čajkovskij, monumentale, appassionato e virtuosistico, diretto da Lorenzo Viotti, alla testa dell’orchestra dell’Accademia di Santa Cecilia. Il rècital verrà inaugurato dalla Sonata n.1 in La minore dal “Centone di Sonate” M. S. 112, di Niccolò Paganini in cui il solismo cede il passo a toni più intimi, nel duo con la chitarra. La voce del violino è ancora largamente solistica, ma il lavoro di limatura sulla commistione dei timbri dei due strumenti è notevole. In un’abbinata di certo non comune, Paganini ritrova un piacevole dialogo, dove l’eccentrico decade in favore della cantabilità. Giuseppe Gibboni eseguirà, poi, tre capricci, il I, il V e il XIV. Un vortice, un moto irrefrenabile di ampi arpeggi con l’archetto a rimbalzo e sequenze ben sgranate di note doppie. Così, con scatto felino e nemmeno due minuti di virtuosismo musicalissimo, il Capriccio n. 1 entra nel mezzo del discorso e traduce la febbre del discorso compositivo. Il Capriccio n. 5, invece, apre con una funambolica cadenza: impressionanti scalate in arpeggi sino a non potere salire oltre con la mano sinistra, ripide discese su scale, uno svolazzo cromatico in su e in giù. Il tutto dimostra la formidabile se non patologica flessibilità dell’iperabile mano di Paganini. Per chiudere il suo primo intervento con il XIV che è improprio chiamare “La marcia” e suonare con spirito marziale, solo perché utilizza i bicordi ad imitazione delle fanfare. Spazio alla chitarra di Carlotta Dalia che riscalderà le dita con il gran Solo op. 14 di Fernando Sor. La musica per chitarra del compositore spagnolo è ricca di polifonia e cantabilità, e spazia dalle sonate ai temi con variazioni, ai pezzi brevi. Sor fu grandissimo negli studi dove seppe consegnare alla chitarra un monumentale lavoro che muovendo dall’intento didattico arrivò a sviluppare forme musicali complete, eleganti e rifinite in ogni dettaglio. Il Gran Solo op. 14 che ascolteremo è la prima delle sue sonate: l’Allegro, ritmico, spigliato ma anche cantabile e di spiccato carattere italiano, è preceduto da un Largo introduttivo ricco di pathos. Carlotta proseguirà, quindi, con il XVIII dei 24 Capricci di Goya op. 195 di Castelnuovo Tedesco. Una raccolta questa, che assume un posto di rilievo per la forza espressiva e visionaria con cui l’autore riesce a tradurre in musica le graffianti incisioni di Francisco Goya, ove il linguaggio di Castelnuovo-Tedesco, stimolato dall’intensa partecipazione ai soggetti dell’incisore, possiede un’inconsueta forza di carattere. Anche la ricerca armonica risulta piuttosto densa e complessa, un fattore che arricchisce notevolmente il pregio delle linee melodiche, punto sempre saliente nell’inventiva del compositore italiano. Il XVIII capriccio è ispirato dall’opera “El sueno de la razòn produce monstruos” . La musica assume, qui, la forma di una breve Ciaccona con cinque intense e significative variazioni. Finale dedicato ad Astor Piazzolla e al Tango Nuevo. Lo scrittore Ernesto Sabato sosteneva che “il tango di Piazzolla ha gli occhi, il naso e la bocca di suo nonno il tango; il resto è di Piazzolla”, e Astor, che affermava di far musica sopra una base di tango, non disprezzava affatto il passato, conservando una sottile relazione con la tradizione, che ne costituì l’humus rigenerativo. Piazzolla descrive le varie tappe dell’evoluzione di questa danza nell’ “Histoire du tango”, opera formata da quattro brani. Carlotta e Giuseppe hanno scelto “Cafè 1930”, simbolo un’epoca del tango che lascia spazio all’intenzione espressiva tanto da trasformarlo in brano d’ascolto, ed Extasis, originale per bandoneon e quintetto, specchio di un’umanità fervida e dolente, triste e allegra, che nelle sale dei caffè e nei prostiboli, luoghi di un eterogeneo meticciato culturale, stava creando una nuova danza dal nome ammaliante, ricca di vibranti emozioni, il tango. La sera successiva, il 20 incontreremo Giuseppe Gibboni a Salerno, città che ha salutato la sua prima formazione e anche quella di tutta la sua famiglia, per una empatica reunion musicale, sull’onda sonora del suo Paganini.