Giudice sotto accusa al Csm, avvocato assolto - Le Cronache Ultimora

di Peppe Rinaldi

 

“Ma cosa è successo dopo il secondo incontro tra il magistrato e l’avvocato? Cose turche, come si dice…”. La storia del giudice «ciclostilatore» raccontata l’altro giorno si concludeva con questo interrogativo. E «cose turche», appunto, pare siano accadute tra il gip e l’avvocato nell’ambito di uno scontro nato cinque anni fa, il cui esito temporaneo sul tavolo di Csm, Guardasigilli e altri organi superiori, nonché della procura di Napoli, è condensato in un esposto/denuncia per falso e calunnia a carico del magistrato. Il quale però….

 

 

Inizia il corpo a corpo

 

…Il quale, però, aveva fatto la prima mossa denunciando C.V. all’Ordine degli avvocati per le relative, eventuali, sanzioni disciplinari, e alla locale procura della repubblica affinché provvedesse a metterlo sotto indagine per oltraggio. Ma a chi? Al giudice, naturalmente.

Intanto: perché si dice «locale procura» visto che quando ci sono di mezzo magistrati dello stesso distretto è d’obbligo rivolgersi a quello competente, in questo caso a Napoli? Anche ciò risulterà essere un dettaglio succulento di una faccenda che merita gli onori della cronaca quando questa ha lo scopo di informare la cosiddetta generalità dei consociati (i cittadini, insomma) su ciò che a volte accade tra le pareti giudiziarie. Ma facciamo un passo indietro.

Il giudice M.S. e l’avvocato C.V. si erano lasciati in malo modo, dopo che il legale era apparso nell’ ufficio del gip per manifestargli il proprio, comprensibile, disappunto per aver non solo atteso sette mesi il deposito di un’archiviazione, quanto perché quell’atto si rivelò essere fatale copia di un documento di uno studio legale del Nord Italia scaricato dalla rete. Tra i due «a schifìo finì» come dicono in Sicilia, con parole scolpite nell’aere dall’allora gip secondo cui a lui della denuncia al Csm non gli «pass’ manc’ pa cap’» (testuale). Certo, nei momenti di rabbia chiunque può dire o fare cose fuori controllo, ciò va sempre considerato. Il che non significa che la boutade non abbia un suo un suo peso specifico. Tant’è che, quando di lì a poco i due si ritroveranno faccia a faccia, le cose precipiteranno.

Infatti, arriva il giorno dell’udienza e quando la seduta si apre, l’avvocato solleva subito l’incompatibilità del giudice avendo depositato in precedenza una specifica istanza con cui si indicavano i motivi per i quali il magistrato doveva passare la palla: in primis, l’inclinazione al “copia-incolla” e, soprattutto, il plagio, non tecnico-giuridico bensì lessicale, di un documento altrui trasferito pari pari in quello del magistrato. Messe così, appaiono evidenti le ragioni di un’astensione, peraltro è la legge che lo imporrebbe. Ma le leggi, si sa, si interpretano e camminano sulle gambe degli uomini. Ma sempre contro un muro, prima o poi, si sbatte.

 

La tarantella del verbale

 

Non trascriveremo, per ovvie ragioni di spazio e di comprensibilità di linguaggio, il testo del faccia a faccia in aula tra M.S. e C.V. ma possiamo riassumere lo sketch con una normale riduzione giornalistica, «salvo errori e/o omissioni».

Allora, l’avvocato esordisce: Signor giudice, prima di iniziare la invito a leggere l’atto da me depositato col quale spiego i motivi per cui lei oggi non può stare qui. Il giudice replica, risentito, sostenendo che l’avvocato sta partendo col piede sbagliato nel dire che non sa leggere: «E’ come se dicessi che lei non sa scrivere» (testuale). L’avvocato, comprensibilmente basito, risponde di averlo solo invitato a leggere l’atto depositato che, con ogni evidenza, il magistrato non ha letto visto che quella mattina non avrebbe dovuto/potuto essere in quel posto. Ma il giudice rilancia chiedendo al cancelliere presente (che, a sua volta, pare non desse molti segni di verticalità caratteriale, almeno non quel giorno, nonostante i cancellieri servano proprio a rafforzare le garanzie di un regolare svolgimento delle procedure pubbliche) di mettere a verbale che, con le sue insistenze, l’avvocato stava oltraggiando la corte. La tensione cresce, la temperatura sale: da un lato l’avvocato che continua a dire al magistrato di non aver letto l’atto col quale chiedeva l’astensione, dall’altro il giudice a impuntarsi su questo stravagante oltraggio che gli sarebbe stato fatto.

Sarà C.V., il legale, a questo punto a lamentare l’impossibilità di andare avanti, sentendosi «intimidito» (testuale) dalla condotta del giudice che, a quanto sembra, era piuttosto ostinato. Chiede, dunque, che vengano messe a verbale le proprie doglianze richiamando l’opposizione all’archiviazione redatta e depositata dall’avvocato per conto del suo assistito (stiamo parlando di un fattaccio occorso durante le indagini per l’omicidio di Angelo Vassallo relativo all’installazione abusiva di una cimice nell’auto di un soggetto). Il battibecco continua, l’uno a dire una cosa, l’altro a dirne una. Senonché il giudice, dopo aver intimato al cancelliere di mettere a verbale cose e dichiarazioni che – a dire dell’avvocato – erano diverse da quanto avvenuto realmente in aula, si ritira in camera di consiglio per valutare l’istanza presentata al presidente f.f. del tribunale. Dalla quale camera uscirà dopo circa tre ore ordinando che il verbale sia trasmesso alla procura e all’Ordine degli avvocati. Morale: l’avvocato si trova indagato su due fronti per aver esortato alla lettura dell’atto col quale si chiedeva, tra l’altro, che il giudice si astenesse, circostanza interpretata creativamente dal giudice come un attacco alla sua persona: volendo, una sorta di prova a contrario della fondatezza – almeno, sin qui, apparente – delle ragioni dell’avvocato perché quanto detto in aula era stato messo nero su bianco in un atto ufficiale, non c’era da oltraggiare alcunché e alcunchì. Invece no, l’avvocato finisce alla sbarra dinanzi al suo Ordine – sulla cui impavidità ci sarebbe da ragionare – e sotto indagine della procura di Salerno cui era stato notificato il verbale pur sapendo che sarebbe poi andato, giocoforza, a Napoli. Probabilmente rendere pubblica nel proprio foro l’indagine a carico di un avvocato sarebbe stato un surplus di risultato, comprensibile peraltro all’interno di uno scontro acceso e senza sconti tra due parti ferocemente contrapposte. Di mezzo, però, c’è la giustizia, che non può né deve fermarsi.

 

Il quadro si capovolge

 

Com’è andata a finire? Per ora, è finita che l’avvocato è stato assolto in entrambe le procedure, penale e ordinistica, mentre il giudice finirà di nuovo dinanzi al Csm, che lo ha già liberato, seppur in segreto, da precedenti accuse, ma ora per ipotesi di falso e calunnia. Due reati non di poco conto e che si reggono uno con l’altro: falso perché il verbale sarebbe stato fatto confezionare scrivendo/omettendo sostanza e parole dell’udienza; calunnia perché il giudice avrebbe consapevolmente accusato l’avvocato conscio della sua innocenza, sia dinanzi all’Ordine e sia dinanzi al pm. L’opposizione all’archiviazione al centro dello scontro sarà invece accolta da un altro magistrato, ma prima che tutto ciò si verificasse, il giudice ha chiesto di essere trasferito in altra sede giudiziaria, pur nell’ambito dello stesso distretto: in concomitanza, non si sa quanto correlata, al cambio del presidente del tribunale cilentano.

Morale della favola: a volte capita che un magistrato dia la sensazione di essere come il cavaliere nero della mitica barzelletta raccontata dal compianto Gigi Proietti, secondo cui al cavaliere nero «nùn glié devi c…à ‘er c…o». Non sempre va bene. Vedremo. (2_fine. La I puntata è stata pubblicata mercoledì 24 luglio)

 

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