A vederli sul palco con quell’aria sbarazzina mentre rispondono alle domande del pubblico, si potrebbe pensare di avere dinanzi le persone più tranquille del mondo. Le apparenze però ingannano. Angela Finocchiaro, Maria Amelia Monti e Stefano Annoni sono un vulcano di energia quando si contendono l’attenzione degli spettatori ne “La scena”, lo spettacolo di Cristina Comencini in programma al Massimo cittadino fino a oggi alle 18.30. I tre intervengono a “Giù la maschera”, l’appuntamento promosso dall’Associazione Amici del Tatro Verdi e dal Teatro Pubblico Campano condotto dalla giornalista Francesca Blasi. Amano ceare un clima scherzoso (“È stata una grande emozione lavorare con loro due” dice il protagonista maschile, “Ma è passata subito” lo rintuzza la Finocchiaro; “Le conosco da una vita” “Ehi, non farci passare per tardone!”), ma poi parlano con passione del lavoro che ha strappato più di un applauso a sipario aperto. “Non poteva che intitolarsi “La scena”- precisa la star di “Benvenuti al Sud”- perché qui i ruoli contano più della psicologia, come se Cristina avesse preso la scatola delle bambole e le avesse fatte muovere”. La Monti, che crea una donna del tutto a suo agio nei rapporti fisici ma non in un dialogo che non sia corporeo, sottolinea l’aspetto malinconico di un personaggio deluso a causa della sua ingenuità. “Mi piace in questo testo l’opportunità di unire la comicità ad aspetti profondi. Si crede che la riflessione sia associata solo a momenti pesanti: non è affatto vero. Per la regista il salto di qualità compiuto dalle donne ha reso l’uomo spaesato, debole, privo di un ruolo, ma uomini e donne non possono fare a meno gli uni delle altre e dovrebbero scegliere, per così dire, delle parti in cui non si soffochino a vicenda. In questa commedia degli equivoci si aprono bolle che cambiano le carte in tavola e diventiamo di volta in volta antagoniste o complici”. La preoccupazione costante, come dicono, è quella di non mettere il pilota automatico: non accontentarsi dei risultati raggiunti, cercare l’effetto migliore da esercitare su chi assiste, relazionarsi in modo sempre nuovo col testo. “Credo che per un attore sia davvero poco interessante identificarsi con quel che interpreta-afferma la Finocchiaro-è più stimolante scoprire possibilità misurandosi con qualcosa di diverso da sé per poi trovare aspetti che permettano di rendere credibile il proprio lavoro. Dopotutto siamo come dei falegnami che dovrebbero conoscere il legno per poterlo adattare”. Ma la vera finzione del teatro riesce a riscattare il peso dello psicologismo borghese che imprigiona i tre in una nevrosi dagli effetti deleteri oltre che esilaranti? “La rappresentazione non propone affatto soluzioni, ma invita al dialogo. Quando usciamo insieme alla fine della storia, in un momento in cui si avverte il bisogno di ritrovarsi, si sta forse aprendo una strada che finalmente avvicini ciò che sembrava ostile e lontanissimo”.
Gemma Criscuoli, teatro attori