I Salernitani hanno ritrovato l’antica tradizione dopo la Missa in Coena Domini, la visita agli altari della reposizione, i Sepolcri, tra Sacro e Profano. Stasera la via Crucis e l’adorazione della Croce
di Olga Chieffi
La visita ai cosiddetti Sepolcri del Giovedì Santo è una tradizione cara ai Salernitani. Sull’imbrunire, le famiglie unite ieri sono uscite di casa per questa lunga passeggiata nel nostro centro storico, una riconciliazione, con i tempi, i luoghi, i profumi di una città fatta a misura d’uomo. Il covid in questi due anni ha allontanato la gente da questo ufficio. Ieri, invece, la tradizione sia essa sacra che profana il cosiddetto struscio, ispirato al cambiamento è ritornata forte, dominante, serenamente partecipata Altissimo è il significato cristiano di questo giorno. Tre, cinque, sette, i numeri dei sepolcri da omaggiare, sempre in numero dispari. Ma basterebbe ricordare che, come raccontato nella Bibbia, Dio impiegò sette giorni per realizzare la Sua Creazione e che sette sono i giorni della settimana che lo ricordano all’Uomo, che sette sono le note musicali che producono l’Armonia, una parola di sette lettere, per intuire il carattere esoterico di questo numero, sette le strisce che vanno posizionate sulla pastiera, sette le spade che trafiggono il cuore della Madonna. Difficile, oramai, in centro raggiungere il numero delle sette chiese, sul percorso delle sette edicole sacre che punteggiano il nostro sempre ammaliante centro storico. Siamo riusciti ad omaggiare le tre parrocchie a noi vicine, San Domenico, il Duomo e Sant’Agostino. I fedeli raccolti nella parrocchia di San Domenico hanno sostato in un silenzio vivo, forse alla ricerca di una voce, certamente quella di Don Franco Fedullo, la cui scomparsa solo fisica è ancora ferita urente nell’animo del suo popolo. L’altare addobbato con un panneggio rosso P il simbolo del colore più importante nella Bibbia :il rosso è il colore del sangue, il rosso rappresenta l’umanità e simboleggia davvero l’amore di Dio rappresenta attraverso il sacrificio di suo figlio, Gesù Cristo e rappresenta la Chiesa stessa. Esposti ai piedi dell’altare i germogli di grano cresciuti nell’oscurità. I germogli di grano sono un dono pagano, simbolo del concetto fecondità-vita-desiderio del luogo felice, che risiede nel giardino. I piccoli vasi divengono, così simbolo di kepos o paradeisos di inesplorate delizie: una visione – che ritroviamo nel Cantico dei Cantici IV 13 – dove si passa dall’ombra, a un’oasi di verde e di luce, che si adorna dei fiori più belli e si insapora dei frutti più dolci, per andare oltre questo, oggi infinito Venerdì Santo, con le sue tristi ombre, il perpetuo crepuscolo di questo momento. In Duomo l’altare è stato addobbato coi simboli della pace e della luce emanata dal tabernacolo ove si conserva la pisside con le ostie. Ai suoi piedi nel profumo stordente dei fiori, Don Michele Pecoraro, esprimeva le sue riflessioni sull’ ultima cena per spiegare il mistero pasquale, l’istituzione dell’Eucaristia, che passa per il tradimento, per l’estremo sacrifizio, per la Morte, per giungere alla Ri-nascita. La chiesa di Sant’Agostino ha donato una riflessione alta. Don Felice Moliterno che accoglieva i fedeli sul sacrato della sua parrocchia, capace di un dialogo che va oltre l’intenso momento di veglia, ha lasciato interpretare le meditazioni dalla voce calda, avvolgente, maggiormente convincente di Annarita Vitolo, che ha sposato l’arte del teatro. Il grano, la macina, la farina, che diventa pane. E’ un passaggio questo che conosce bene chi costruisce il presepe e ne segue il simbolismo: Il pane nelle sacre scritture è il simbolo di Cristo, definito il pane della vita. Nella tradizione popolare il pane rappresenta la «pazienza» di cui devono armarsi gli uomini ogni giorno, nelle difficoltà. Il Mulino collocato nei pressi del Castello di Erode, assume un significato duplice più profondo: è sia un riferimento al tempo che scorre (tenendo presente il segno delle ruote) che in relazione alla morte, connesso alla macinazione del grano che diventa farina, polvere, il colore bianco è il pallore dei defunti, la pietra è quella del sepolcro, che si muoverà, ma è anche il candore della Vergine. La cena dei salernitani di ieri prevedeva la zuppa di cozze e polpi, poiché oggi Venerdì Santo non si esce per mare, una lunga vigilia, a perpetuo ricordo di un Gesù Pescatore di anime, la grande speranza della Chiesa, specialmente in questi tempi di apostasie e di amarissime prove: si è troppo confidato negli uomini, si è troppo sperato nella loro lealtà, e si sono gettate le reti nella notte, senza Gesù, nella speranza di un successo più umano che soprannaturale, nella fiducia di accrescere col prestigio umano le proprie possibilità ed il proprio ascendente. Tutto questo non ha fatto pescare le anime e la notte è passata agitata dai flutti, con nessun frutto di conquista. Bisognerà gettare le reti in pieno mare, quando meno si ha fiducia di raccogliere, con grande abbandono in Gesù, ed allora la rete si colmerà e la Chiesa sarà nel suo vero trionfo, che è amore.