di Luca Gaeta
Si ritorna martedì sera al Teatro Verdi di Salerno per il primo appuntamento di “Bentornata Prima…vera”, affidato al violoncellista Giovanni Sollima alla testa, in veste di conductor e solista, dell’ Orchestra Giovanile “Luigi Cherubini” per l’esecuzione del celeberrimo Concerto n. 2 per violoncello di Haydn, il suo brano di Fecit Neap 17, dedicato alla città partenopea dove si sono formati i suoi avi musicali e i musicisti della sua famiglia e il Concerto per violoncello di Gaetano Ciandelli, vera e propria scoperta musicale e novità assoluta per il pubblico di contemporaneo. Lo abbiamo raggiunto in un break prima del debutto della sua tourneé a Ravenna. Dopo aver frequentato il Conservatorio Bellini di Palermo, dove si è diplomato in Violoncello e Composizione, ha iniziato una prestigiosa carriera musicale, collaborando con diverse personalità del mondo della musica: Claudio Abbado, Giuseppe Sinopoli, Marta Argerich, Riccardo Muti, Yo-Yo Ma, ma anche Patty Smith, Stefano Bollani, Paolo Fresu. Come ha coniugato i diversi linguaggi musicali? In realtà non ho mai terminato il mio percorso accademico! Scherzi a parte, per quanto possa sembrare ovvia come affermazione, il lavoro di studio è costante, quindi direi che non si smette mai di studiare. Sicuramente cambiano le finalità dello studio, ma resta sempre un fattore imprescindibile. Per quanto riguarda le diverse collaborazioni, quella con Abbado risale a quando avevo 14 anni, con l’Orchestra della Comunità Europea. A Muti invece è legato anche il mio “ritorno” in Italia, invitandomi al Ravenna Festival diversi anni fa. All’epoca vivevo in America, a New York, e su invito proprio del maestro ho sentito l’esigenza di partecipare attivamente alla vita culturale del mio paese. Per quanto riguarda gli altri artisti, in realtà non c’è mai stato qualcosa di “organizzato”, sono collaborazioni nate in modo del tutto spontaneo. A guidarmi è stata sempre la curiosità, di conoscere, studiare e approfondire, generi e stili diversi, dal barocco alla musica rock. Nel ’93 ha composto, assieme ad altri compositori, “Requiem per le vittime della mafia”. Quell’opera fu eseguita nella Cattedrale di Palermo, ad un anno esatto dalla strage di Capaci. Quale fu la genesi di quell’opera e quali le sue sensazioni legate al giorno dell’esecuzione? È un lavoro scritto a sette mani. Oltre a me, Paolo Arcà, Marco Betta, Matteo D’Amico, Lorenzo Ferrero, Carlo Galante e Marco Tutino, che fu anche il promotore dell’iniziativa. All’epoca vivevo a Palermo, ma ero spesso il giro per tournée. Questo anche per fuggire quel clima di disperazione che si viveva pesantemente in città, dove la vita sociale e culturale era pressoché assente. Anche se sono trascorsi diversi anni da quell’evento, direi una vita fa, ho vive nella mente alcune sensazioni legate a quel momento. Soprattutto relative al giorno dell’esecuzione. Ricevemmo in Cattedrale, mentre erano in corso le prove, una “strana visita”, non certo i “brutti ceffi” da film di Scorsese, perché all’epoca la mafia era già quotata in borsa e collusa con la politica, ma delle figure di appartenenza inequivocabile. Vennero a verificare cosa stesse succedendo. Ricordo anche che per il concerto stravolgemmo completamente le sedute. Le autorità, che solitamente siedono in prima fila, si ritrovarono in fonda alla Cattedrale, mentre tutti i familiari delle vittime di mafia seduti a ridosso dell’orchestra, questo fu di una potenza grandiosa per gli esecutori e per il pubblico. I proventi SIAE di questo lavoro vennero devoluti (e lo sono ancora) all’Associazione Peppino Impastato. Quanto è importante l’attenzione di un artista nei confronti dei problemi sociali? Di sicuro non ci serve quest’immagine arcaica, ottocentesca dell’artista dento la boccia di vetro. Personalmente sin da piccolo sono stato abituato a reagire, a guardarmi intorno. Del resto quando scrivo devo sentire il mondo che mi circonda, il presente. Anche la storia ovviamente, ma soprattutto ciò che succede. Per questo la reattività è un fatto importantissimo. Sulla questione attuale, legata alla guerra, sta venendo fuori una pericolosissima forma di razzismo, di discriminazione nei confronti della cultura russa. L’azione di un uomo e dei suoi collaboratori, non deve e non può discreditare e annientare la cultura e la storia di un popolo. Una cosa è certa: la guerra, qualsiasi guerra deve essere condannata e fermata, altra cosa e la cultura e la musica. Il programma che eseguirà con l’Orchestra Cherubini a Salerno il prossimo 15 marzo prevede musiche di Haydn, Ciandelli ed una sua composizione. Ce ne parla? In questi giorni sono proprio in corso le prove per il concerto a Salerno. Prima di addentrarci nel programma, volevo condividere l’entusiasmo di suonare con l’Orchestra Cherubini, fondata dal maestro Riccardi Muti e formata da giovani musicisti provenienti da tutta Italia. Il livello tecnico è notevole ed il suono davvero bello ed avvolgente. Per quanto riguarda il programma del primo di questi due concerti, Salerno e Jesi, ho scelto il Concerto n. 2 per violoncello di Haydn, poi una composizione di un autore napoletano Gaetano Ciandelli, che ho avuto modo di approfondire durante il lockdown, ed una mia composizione ispirata allo stile che accomuna questi due autori.