Giacomo Mele: L’avvocato camerata che amava la poesia - Le Cronache Attualità
Attualità Salerno

Giacomo Mele: L’avvocato camerata che amava la poesia

Giacomo Mele: L’avvocato camerata che amava la poesia

Nel 2008 la collega Vera Arabino realizzò per Cronache una bella rubrica per ricordare i salernitani che hanno dato lustro alla nostra città. Ne riproponiamo gli scritti iniziando da Giacomo mele, storico missino salernitano

di Vera Arabino

Quando era in attesa di suo figlio Innocenzo, che ora ha dieci anni, Anna Mele scoprì per caso una poesia che suo padre Giacomo, scomparso quasi dieci anni prima, le aveva dedicato quand’era nata. «Ignoravo la sua esistenza e la circostanza in cui l’ho ritrovata, nella mole infinita delle sue carte – spiega – che custodisco gelosamente, così come la sua libreria e l’imponente scrivania che ora sono nel mio studio a Pontecagnano, mi è parsa un segno, quasi un messaggio che papà ha voluto farmi arrivare». Un messaggio d’amore e di vicinanza, che non sempre sono stati possibili per via dell’impegno professionale e soprattutto della dedizione totalizzante alla politica e al partito missino di cui Giacomo Mele è stato segretario provinciale ed animatore instancabile, sempre leale a Pino Rauti di cui era quasi l’alter ego. «La politica è stata peggio di un’amante per papà, anche se non posso dire che non sia stato partecipe della vita di noi figli. Ad esempio ricordo quando da piccoli ci mettevamo tutti nel lettone e ci leggeva la Divina Commedia e le opere classiche che adorava – sorride Anna, che ha seguito le sue orme come avvocato, ma nel ramo amministrativo – Però allo stesso tempo non dimentico che alla festa per i miei diciotto anni non c’era, perchè era impegnato in un comizio con Giorgio Almirante. Diciamo che le ragioni delle sue assenze noi figli le abbiamo comprese meglio crescendo, quando abbiamo interiorizzato i suoi ideali, i suoi insegnamenti, il suo grande esempio di onestà morale, intellettuale e materiale». Qualità che gli sono sempre state riconosciute, in tribunale dove i colleghi lo chiamavano affettuosamente “Giacomino”, e soprattutto nell’agone politico dove – com’ebbe modo di dire l’allora presidente del consiglio regionale, Aniello De Chiara, durante la commemorazione ufficiale e la consegna della medaglia alla memoria il 21 novembre del 1989 – Giacomo Mele riuscì a “far cadere il muro” tra partiti ed ideologie contrapposte. Un’impresa non da poco, in anni di fortissima contrapposizione e, ancor prima, funestati dall’escalation di violenza di matrice terroristica. Un periodo di cui Anna Mele ha un ricordo vago, per ragioni anagrafiche, e pur tuttavia molto doloroso: «Non è esagerato dire che la nostra famiglia ha sofferto per via della politica – spiega – Durante i famigerati anni di piombo mia madre Maria viveva nel terrore, perchè arrivavano spesso a casa telefonate minatorie e minacce d’ogni genere. Personalmente ricordo un’estate che fummo costretti a scappare da Buccino, dov’eravamo in vacanza, perchè comparvero sui muri scritte inquietanti all’indirizzo di papà. Venimmo successivamente a sapere che il suo nome era inserito nell’elenco dei bersagli delle Brigate Rosse, dopo il magistrato Nicola Giacumbi (che fu assassinato il 16 marzo del 1980 ndr.)». Ma non era tipo da lasciarsi intimidire Giacomo Mele, avendo dalla sua una profonda fiducia nelle istituzioni ed un incrollabile attaccamento ai valori ed ai principi in cui credeva e che difendeva a spada tratta: «Diciamo che negli anni più duri papà, che era sempre in prima linea, ebbe anche fama di picchiatore. E ne andava fiero, ma d’altro canto la situazione e lo spirito del tempo erano ben diversi da oggi – commenta la figlia, che è vicina naturalmente ad Alleanza Nazionale, anche se preferisce seguire il partito nelle “retrovie” – Così come va detto che, mentre oggi molti fanno politica per averne un vantaggio personale, all’epoca erano i politici a sostenere anche finanziariamente i partiti. Mio padre ha dato tutto per il suo partito ma non ha mai voluto che, ad esempio, noi figli potessimo in qualche modo avvantaggiarci della sua posizione e del ruolo che rivestiva». Dovevano farcela tutti con le proprie forze – come infatti è stato – facendo leva sull’impegno e sullo studio: «Lo studio per lui era essenziale, infatti aveva una cultura straordinaria ed era uno spirito profondamente umanista. Custodiamo ancora migliaia di libri. Il suo preferito era “La storia di Roma” e mi ha fatto appassionare a Tolkien quand’ero una bambina. – racconta ancora Anna – Oltre alla lettura e alla scrittura, le sue passioni erano la caccia e la pesca, a cui poteva dedicarsi di tanto in tanto con l’autista ed amico Salvatore Pesce e poi le barche a vela. Ne stava costruendo una con le sue mani, ma purtroppo non ha fatto in tempo a finirla». Sono molte le cose a cui teneva che la morte prematura non gli ha concesso: «Era molto all’antica ed attaccato alle sane tradizioni, tant’è che avrebbe voluto vedere i suoi figli accasati. Non ha potuto però, sarà una coincidenza, abbiamo tutti conosciuto i rispettivi partner nel 1989, subito dopo la sua morte – spiega – E poi, se fosse vissuto qualche anno in più, credo che avrebbe realizzato il sogno di diventare senatore con il primo governo Berlusconi, anche se di sicuro un berlusconiano non sarebbe mai stato e, a dirla tutta, all’epoca non apprezzava molto neanche Gianfranco Fini. E’ noto che la corrente per così dire filodemocratica di Giorgio Almirante non lo convinceva, anche se per l’uomo aveva massima e ricambiata stima. Papà era un rautiano di ferro, chissà se poi l’avrebbe seguito successivamente» Di sicuro gli uomini che hanno militato con Giacomo Mele non hanno dilapidato il suo lascito ideale e morale: «Lui ci ha sempre insegnato ad avere gratitudine, anche se a dire la verità, dopo la sua morte, non sempre l’ho riscontrata – conclude Anna – Fortunatamente in molti ci hanno dimostrato di avere davvero riconoscenza e stima e di onorare quello che papà è stato ed ha fatto per il partito. In tal senso la mia personale gratitudine va a Teodoro Tascone, che ci è stato molto vicino dopo la sua scomparsa ed ancora a Domenico Di Giorgio, primo cittadino di Montecorvino Pugliano e ad Alfonso Della Corte, che da sindaco di Montecorvino Rovella ha voluto intitolare una piazza alla memoria di mio padre».

1 Commento

    Grazie, Tommaso, perché da Roma dove vivo ho potuto leggere questo ricordo struggente di un Uomo che per me era amico, sia pure tanto più grande di età, così come lo era stato di mio zio, suo coetaneo morto però precocemente alle soglie della laurea in giurisprudenza. Riposino in pace entrambi
    Pietro Romano

Comments are closed.