Gargani: il giustizialismo resiste anche nel Pd - Le Cronache
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Gargani: il giustizialismo resiste anche nel Pd

Gargani: il giustizialismo resiste anche nel Pd

di Giuseppe Gargani

Dopo l’approvazione da parte del Consiglio dei Ministri del disegno di legge sull’ordinamento giudiziario e sulle modifiche del CSM, Draghi ha rimesso al Parlamento un ulteriore approfondimento su una materia delicata che riguarda la funzione della magistratura nell’attuale contesto democratico.È stata una decisione molto opportuna ma il Parlamento sta dimostrando di non essere in grado di accogliere proposte che hanno un minimo di strategia giudiziaria per risollevare la magistratura dal pantano in cui si trova.In verità le proposte del governo sono timide, ma rispondono a tutti gli interrogativi in discontinuità rispetto all’attuale situazione e dovrebbero trovare approfondimenti nel Parlamento non critiche negative.Il Consiglio Superiore ha approvato un parere negativo e i gruppi parlamentari hanno proposto circa 250 emendamenti che non vanno nella direzione di curare i mali di un corpo giudiziario che in qualche modo, e da tempo è fuori dalle regole della Costituzione.Il corporativismo ha superato il livello di guardia e la chiusura in se stessa della magistratura viene incentivata da un Parlamento nel quale purtroppo prevale l’anima giustizialista e populista dalla quale non si libera neppure il PD che ritiene di essere un partito strutturato e quindi disponibile ad acquisire una cultura garantista.Come mai il Parlamento, gli stessi magistrati, i giudici, i componenti del CSM non si rendono conto che la magistratura non è in armonia con i tempi ed è totalmente inadeguata ai compiti diversi a cui è chiamata; e come mai la magistratura non si pone il problema che il problema l’indipendenza nel contesto attuale non può non essere collegata alla responsabilità istituzionale.Questi interrogativi non sono nuovi: alcuni, pochi in verità, se li sono posti in anni passati e il mio ricordo ritorna sempre ad un prezioso libretto di Marcello Capurso del 1979 che sin da allora si interrogava “sul comportamento che la magistratura stava imprimendo al sistema politico generale in conseguenza del suo ruolo che andava assumendo nel sistema”.Questo problema culturale e istituzionale è stato recepito da alcuni studiosi e da pochissimi magistrati illuminati, e rifiutato come offensivo o (con una frase ricorrente) come “attentato all’autonomia e, all’indipendenza della magistratura”.

La sovraesposizione e il ruolo di supplenza sempre denunziati non hanno mai determinato una riflessione culturale da parte della Associazione dei Magistrati che dovrebbe avere questo compito e non quello di ratificare la lottizzazione fatta dalla “correnti” interne.

Si dovrebbe quindi approfondire e individuare il nuovo ruolo della magistratura.

Negli anni 50-60, nel periodo immediato dopo la Costituzione del 48, si diceva che il giudice era “la bocca della legge” e non poteva esercitare un’attività interpretativa e tantomeno creativa della legge perché “nell’applicare la legge, non può attribuire altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole e dalla intenzione del legislatore“.

Sono espressione anacronistiche, certamente dal 1956 e cioè della costituzione della Corte Costituzionale a cui il giudice si può rivolgere per impugnare una norma giuridica.

Lo stesso Mastursi, con una frase che ho ripetuto mille volte, ha scritto che il giudice non è più sottoposto alla legge ma è “di fronte alla legge“.

Questo porta a dire che la funzione che il costituente ha attribuito al giudice (in verità senza un approfondimento adeguato), non è più attuale per l’evoluzione che la funzione giurisdizionale ha avuto in questi lunghi anni. La magistratura non è più un “ordine autonomo“ ma un potere tout court che va disciplinato come tutti i poteri.

Ecco il punto vero che il legislatore dovrebbe porsi come problema fondamentale per un nuovo equilibrio dei poteri.

Il compito è difficile ma la chiusura corporativa e l’inadeguatezza del legislatore rendono impossibile qualunque soluzione.

Il discorso è di sistema e di rilevanza costituzionale e non è legato alla contrapposizione tra politici e magistrati, quasi sempre di basso livello, ma alla consapevolezza che la magistratura spesso è costretta ad esercitare il ruolo di supplenza sia per la delega che il legislatore le attribuisce sia per carenze legislative e per la crisi della norma che rende incerto il diritto.

Il legislatore dunque non si avvede della supremazia del potere giudiziario per cui la giurisprudenza surclassa la legge, e il magistrato non si avvede che un “potere“ surrettizio trasparente ha determinato una vischiosità interna che pone una questione di ordine morale prima ancora che istituzionale.

Le proposte del ministro Cartabia si pongono in qualche modo questi complessi problemi come propedeutici a riforme più compiute e sono state ben commentate nei giorni scorsi su questo giornale, per cui è opportuno fare solo ulteriori rilievi per mettere in luce le responsabilità dei parlamentari che dovrebbero essere preoccupati di rappresentare il comune sentimento dei cittadini di scarsa fiducia nella magistratura che il referendum del 12 giugno nelle materie della giustizia metterà in evidenza perché il giustizialismo è alle corde! Il paese avverte che sono necessarie riforme strutturali della magistratura e quelle in discussione al Parlamento sono importanti ma sono contestate.

Per iniziativa di un deputato molto combattivo Enrico Costa è stato codificato il principio della presunzione di innocenza prevista della Costituzione considerata dai magistrati molto discutibile perché impedisce di fare dichiarazioni scandalistiche anticipando processi mediatici.

Si discute della riforma del sistema elettorale del CSM e molti gruppi parlamentari vorrebbero che le candidature si determinassero per sorteggiato, proposta davvero incomprensibile fatta anche da persone acculturate, perché ricorre ad un sistema che io definisco vigliacco prima che incostituzionale in materia così delicata.

D’altra parte la fiducia rispetto alla Costituzione e ad un ministro che l’ha rappresentata per il passato egregiamente, dovrebbe far premio su una proposta stravagante.

La Camera ha discusso anche su un emendamento che mirava ad abrogare la norma che equiparava reati contro la pubblica amministrazione ai reati di criminalità organizzata e l’emendamento è stato bocciato dal PD, da Forza Italia e dalla Lega. Questa norma maldestra e punitiva era stata approvata dal governo Conte: una disarmonia grave nell’ordinamento la equiparazione di fattispecie completamente diverse che dimostra una subordinazione populista e giustizialista del PD a cinque stelle, oggi ancora più incomprensibile per la mancanza di consistenza di quel movimento.

A queste scelte errate del Parlamento si aggiunge l’incertezza sulle modifiche dell’ergastolo ostativo, così come prescritto dalla Corte Costituzionale, perché è stato approvato un testo considerato addirittura peggiorativo di quello vigente.

Che dire? Sì assiste ad un appiattimento su posizioni vendicative punitive che non tengono conto del significato che la Costituzione dà alla pena come espiazione e recupero sociale.

Il mancato rispetto nei confronti della Corte Costituzionale, anche da parte di magistrati o ex magistrati che hanno svolto funzioni giurisdizionali è grave ed incomprensibile.

L’augurio è che il Ministro della giustizia difenda strenuamente i suoi principi per ottenere una discontinuità che anche se non riconosciuta fa bene alla giustizia.

Giuseppe Gargani