Gaetano Sessa, leader del partito dei sindaci - Le Cronache Ultimora

Antonio Manzo

La politica tornerà a respirare con le parole del sindaco che non c’è più. Fisciano ricorda Gaetano Sessa per ben cinque volta sindaco “storico” della città dell’Irno con un ricco libro di Tommaso Amabile. Un tema inattuale per l’attualità di oggi che consegna l’elenco di primi cittadini che a partire dal 1980 del secolo scorso, al di là di significative eccezioni, nel Nuovo Millennio fanno di tutto per apparire civici ad ogni costo e conservano in tasca, per nasconderle, le tessere dei partiti che non esistono più perché fanno politica ma fregiandosi con gli strumenti dell’antipolitica. Fisciano non è luogo casuale solo per il ricordo di Gaetano Sessa. E’ solo uno dei comuni salernitani che fra gli anni Settanta e anni Novanta furono amministrati da sindaci con la tessera della Democrazia Cristiana ed votati dai loro popoli. Tutt’alrto che anonimi sindaci civici che operavano cole le politiche dei loro territori con lo spirito politico che arrivava dalla formazione di classi dirigenti venute fuori dallo spirito costruttivo indicato dalla ricostruzione post bellica prim’ancora che dalla tessera del partito. Ecco, vale la pena ricordarli nel giorno in cui i politici celebrano il ricordo di Gaetano Sessa, uomo con la tessera politica che governava il suo popolo: Enrico Giovine (Battipaglia) Giovanni Alfano (Angri) Eugenio Abbro (Cava de Tirreni) Pasquale Botti (Sessa Cilento) Mario Del Mese (Pontecagnano) Alfonso Menna (Salerno) Vincenzo Lardo e Gennaro Forlenza (Contursi Terme) Isaia Bonavoglia e Carlo Mazzella (Eboli) Enzo Erra (Mercato San Severino) Salvatore Gargiulo (Nocera Inferiore) e su tutti l’eroe del consenso popolare ucciso dalla camorra Marcello Torre. Erano tutti democristiani. Lo rivendicavano non solo perché l’allora partitocrazia intruppava anche le istituzioni ma perché consapevoli del destino delle terre che aspiravano a governare. L’elenco è l’attualità del ricordo ed è diametralmente opposto all’inattualità dei tempi. Vi sarà pur tempo di arricchire la storia della Dc salernitana di Vittorio Salemme con un capitolo a quel che fu il partito dei sindaci dell’epoca, senza alcun cedimento agiografico in una storia nazionale disattenta sulla Dc (encomiabile il lavoro degli storici Guido Formigoni, Paolo Pombeni e Giorgio Vecchio) che sottraggono la storiografia ancora ubicata tra la demonizzazione e il rimpianto, senza assestarsi in una equilibrata storicizzazione: dalle origini alla parabola finale. La diffusa rappresentanza politica della Dc salernitana dovette subire negli anni anche letture storico politiche radicate in analisi partitocratiche (a partire dalla relazione Franco Fichera allora segretario provinciale del Pci salernitano) affinate poi in indagini scientifiche serie sul voto democristiano e la mediazione delle campagne di Mauro Calise e sulla antropologia del potere democristiano nel Mezzogiorno di Gabriella Gribaudi. Silenziose e produttive interpretazioni alle quali non sono state mai contrapposte tesi scientifiche di altro taglio e altra scuola, causa anche il frastagliato impianto correntizio sul quale cresceva la Democrazia Cristiana e che “distrasse” dal racconto di un’azione politica che sarebbe diventata storia. Ma l’azione politica dei sindaci democristiani salernitani fu anche presa di mira da una politica di sinistra che spesso passava dall’azione dei ciclostili dell’epoca all’inoltro di denunce alle Procure che inseguivano gli amministratori dell’epoca, soprattutto i dc, con inchieste negli enti che amministravano non sempre con accuse che poi risultavano infondate se non costruite da Pm affini alla battaglia politica. E quando verso la fine della Dc fu proclamata la stagione provinciale dell’alternativa di sinistra furono mascherate anche operazioni di trasformismo in danno proprio della Dc. I Comuni restano oggi l’unico baluardo possibile della democrazia dove i sindaci dopo essere stati eletti si considerano gli unici attori capace di esprimere una «alternativa di governo», espressione un tempo partitocratica ma oggi diventata un mantra del civismo di maniera che spesso cela un imperante trasformismo dopo reclutamenti casuali di classi dirigenti che determinano, per esempio, inevitabili rovesciamenti improvvisi di maggioranza, anche a discapito di sindaci capaci, e favoriscono l’abbassamento drammatico della partecipazione elettorale ai ballottaggi. Senza il consolidamento di un qualche nesso tra l’azione dei partiti nel territorio e la formazione di un ceto politico locale minimamente stabile, c’è da scommettere che tale ricchezza si trasformerà presto in una nuova ondata di incertezza. Ma questo è un tema che sta appena nascendo.