Franco Turcati: il fotografo totale - Le Cronache
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Franco Turcati: il fotografo totale

Franco Turcati: il fotografo totale

Il professionista torinese è stato ospite dei “Dialoghi sulla fotografia” promossi da Armando Cerzosimo, unitamente a  Massimo Bignardi. Proiettate le sue immagini dal set di The Italian Job e dei protagonisti della scena musicale degli anni ’60 e ’70, in dialogo con un matrimonio a Parigi e un esercizio sul ritratto ambientato firmati, invece, dal fotografo montecorvinese

 Di Olga Chieffi

La ripresa dei “Dialoghi sulla fotografia”, negli spazi della galleria salernitana di Armando Cerzosimo, Camera Chiara, inaugurati quasi un decennio fa da Enzo Sellerio, ha ospitato il fotografo Franco Turcati, torinese, in dialogo, il critico d’arte Massimo Bignardi, e l’ospite, naturalmente, Armando Cerzosimo. Franco Turcati si è raccontato affabilmente e le scintille donate, ad un pubblico attento ed eterogeneo, davvero infinite. Su tutte due, ovvero che è aperta l’era del fotografo totale, meglio del “Fotografo”: attraverso le sue fotogiornalismo, teatro, pubblicità, moda, fotografia sociale, traversate da due categorie, la riflessione su tempo e totalità, ove il termine tempo vuole indicare l’attualità di quella presa di distanza dalla concezione particolare di quest’arte e la totalità sta per rifiuto di considerare la fotografia un qualcosa di chiuso e circondato da paratie che limitano un campo dall’altro, per rivendicare invece un’idea unitaria del fotografare, dell’immagine e della sua interpretazione, ponendo a confronto stili e linguaggi diversi, capaci di produrre emozioni e sensi, inauditi per l’uditorio; seconda illuminazione, l’era della mediocrazia che stiamo vivendo, così perfettamente schizzata dal filosofo canadese Alain Denault, in assenza di maestri e della trasformazione di un mezzo, la macchina fotografica, divenuto “apparentemente” semplice: essere mediocri, spiega Deneault, non vuol dire essere incompetenti, anzi, è vero il contrario, il  sistema incoraggia l’ascesa di individui  appena competenti a discapito dei supercompetenti e degli incompetenti, questi ultimi per ovvi motivi (inefficienti), i primi perché rischiano di mettere in discussione il sistema e le sue convenzioni, lo spirito critico deve essere limitato e ristretto all’interno di specifici confini perché, se così non fosse potrebbe rappresentare un pericolo, il mediocre, insomma, deve “giocare il gioco”, a discapito dell’arte in sé. Animato e denso il dialogo tra Franco Turcati, Massimo Bignardi e Armando Cerzosimo: dalla committenza che fa la differenza tra l’artista e il professionista alla difesa della bellezza della fotografia in sé, poiché è importante non cosa pensiamo delle fotografie, ma come pensiamo ad esse e non tanto le intenzioni dei fotografi, quanto cosa ci capita quando guardiamo un’immagine, sino alle macchine e alle ottiche usate da Franco e Armando per la produzione dei loro lavori. L’immagine deve comunicare di per sé e Franco Turcati lo ha espresso più volte. La fotografia è il linguaggio più comunicativo e immediato, non ha bisogno di testi e spiegazioni, anzi senza informazioni su autore e intenti il fruitore sarà più libero di guardare da solo, ponendo così noi tutti sulle tracce di John Cage, che parlava di “response-ability”. Quindi, le proiezioni firmate dai due fotografi, Franco Turcati in qualità di fotografo di scena del set di “ Italian Job” “Italian Job”  datato 1968, in occasione delle riprese del trailer e della proiezione stampa, con gli attori Michael Caine, Tony Beckley, Benny Hill, Fred Emney, Michael Standing e il regista Peter Collinson, e dei protagonisti della scena musicale degli anni ’60 e ’70, dai Dik Dik a Lucio Battisti, da Lionel Hampton e Louis Armstrong a Sanremo, sino a Dalla e Mina, in dialogo con un matrimonio a Parigi di circa un ventennio fa e un esercizio sul ritratto ambientato realizzato da Armando Cerzosimo, nei “luoghi” di Benedetta Palmieri, Ruggero Cappuccio e Ugo Nespolo. I due fotografi hanno prodotto progetti e una foto riuscita è solo un primo passo per l’uso intelligente della fotografia, il significato è creato, poi, tanto nella relazione tra le immagini che al loro interno. C’è sempre un’altra fotografia in attesa, subito oltre la nostra soglia d’attenzione, sulla pagina successiva, più giù sullo schermo, sulla parete della galleria o per la strada. Guardare le fotografie è molto spesso una questione di spostamento, da un’immagine alla successiva. Eppure, niente di tutto ciò sminuisce l’unità discreta di ogni singola immagine fotografica, anche quando, messe insieme, non sono esattamente come anelli di una catena, parole di una frase o inquadrature di un film. Ognuna possiede ed esige almeno un certo grado di unicità. Guardare a quell’unicità ha i suoi vantaggi: può dirci cose preziose sul flusso da cui proviene e a cui, inevitabilmente, tornerà. Franco Turcati e Armando Cerzosimo ci hanno consegnato l’invito, attraverso le loro immagini a ritornare ad un mondo fatto a misura d’uomo, che oggi guardiamo con occhi velati di nostalgia, emozione, ovvero il movere del termine, che è certamente l’unica risposta al nichilismo in cui stiamo sempre più avviluppandoci. Ma le riflessioni più sapide non possono non avvenire in un ambiente conviviale, scevro da ogni formalismo, quale è lo spazio di Emilio Il Duca: in un excursus dal ’65 ad oggi, tra aneddoti e sorrisi, qualche lampo granata (Toro), siam giunti a concordare, che la fotografia è approdata, oggi ad una dimensione originale e autonoma nel caotico universo delle immagini globalizzate ed è, forse, l’unica candidata a proporre una vera etica del contemporaneo.

Nell’immagine: Andrea Volpe, Armando Cerzosimo e Franco Turcati.

Photocourtesy Studio Cerzosimo