Francesco Del Gaudio: una tromba sopra le righe - Le Cronache Attualità
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Francesco Del Gaudio: una tromba sopra le righe

Francesco Del Gaudio: una tromba sopra le righe
Olga Chieffi
 L’Istituto Carlo Pisacane di Sapri, guidato dalla dirigente Franca Principe, ospiterà martedì un seminario dedicato alla musica jazz, promosso dall’indirizzo Liceo Musicale, tenuto da Francesco del Gaudio, trombettista, pianista e compositore, reduce dal successo di Champagne, in cui ha interpretato il giovane Peppino di Capri, una giornata che si concluderà con un concerto alle ore 18, presso il Cineteatro Tempio del Popolo di Policastro Bussentino, con Francesco Del Gaudio in quartetto. Lo abbiamo raggiunto nella sua Portici
Maestro la musica ha scelto lei o lei la musica?
“ Sono figlio del chitarrista Luca Del Gaudio, quindi, sono nato tra le note, un daimon, la musica che mi brucia dentro fin da piccolissimo quando, all’età di tre anni, ho cominciato a prendere lezioni nella scuola di musica della mia città, Portici, e a “giocare” con lo strumentario Orff, proprio con mio padre. Quindi, passai al pianoforte e  successivamente al violino. Dico che mio padre si è appena iscritto, ancora una volta al conservatorio, al corso di direzione d’orchestra, solo per far intendere, in quale serissima considerazione teniamo la musica in casa. Con la tromba, invece, fu amore a prima vista, proprio fisico, al primo contatto con l’ottone lucente. Il nostro fioraio, in occasione della mia prima Comunione, pensò di regalarmi uno strumento musicale e mi mise tra le mani la tromba, che da quel giorno è stato la mia compagna”.
Pianoforte, violino tromba…. Quali i suoi maestri e quali i suoi modelli
“I primi rudimenti della tromba me li ha  dati il Maestro Nicola Di Donna, quindi con Flavio Dapiran, ho iniziato a studiare tromba jazz. Devo dire che ho preso anche qualche lezione da Claudio Gironacci, per quel che riguarda la tecnica classica ma, già da piccolo avevo ben chiaro che desideravo suonare il jazz, poichè avevo, tra l’altro, bisogno di un approccio più creativo e compositivo  rispetto alla musica e il jazz è, praticamente, composizione immediata. Ho aperto il computer qualche tempo fa e ho trovato dei files di quando ero ragazzino e scrivevo la musica a orecchio, senza competenze tecniche.  Certo, il risultato è altamente opinabile, ma l’intenzione c’è sempre stata. In effetti, la mia volontà era di fissare la mia idea nel linguaggio musicale su carta. Dopo di ciò, mi sono iscritto alla facoltà di psicologia proprio per approfondire questo legame stretto tra le emozioni, i suoni e il nostro misterioso cervello. Nel frattempo, però, avevo iniziato con il teatro impegnato, corsi  e stage di alta formazione con Rocca, Cerciello, Maraviglia, Crippa e tanti altri, ho recitato Brecht, “Madre Courage” con Maria Paiato, quindi, Viviani con Nello Mascia e fulminato come San Paolo, mi chiesi cosa avessi voluto fare della mia vita: la risposta fu l’attore e il musicista. Mi iscrissi, così,  in Conservatorio, sotto la guida di Marco Sannini, quindi Matteo Franza, con il quale ho suonato anche in Big band. Ma ciò che mi ha permesso di proseguire con estrema consapevolezza, il percorso jazzistico sono stati gli insegnamenti di Giulio Martino, del quale sono diventato anche amico e con il quale spesso suoniamo insieme”.
Quali i suoi compagni d’avventura in palcoscenico?
“Di solito lavoro in trio, con chitarra e contrabbasso, oppure in quartetto, formazione con cui mi esibirò a Sapri e Policastro. I compagni d’avventura sono Felice Chiaravalle alla chitarra, Alessandro Vai al contrabbasso ed Eugenio Fabiani alla batteria. In Cilento, al di là che siamo adusi preparare la scaletta qualche minuto prima che si accendano i riflettori, presenteremo un programma eterogeneo, che spazierà dal jazz classico a qualche pezzo di Peppino di Capri, poiché il pubblico verrà per ascoltare quelle melodie, che, però, saranno rivisitate in chiave jazz. Suonerò certamente “Nun’ è peccato”, poiché è un pezzo che piace a mio padre e su questa melodia ho conosciuto Peppino quando ero piccolissimo, quasi a rinverdire i fasti del famoso Rangio Fellone, con i ballabili degli anni Cinquanta, che strizzavano l’occhio allo swing, tra tempi di beguine, gocce di bajon, rock, twist e moderati slow, dolci melodie e parole sussurrate nel nostro musicale dialetto, adatte al ballo guancia a guancia, in una notte di luna. Quindi, eseguirò qualche canzone della tradizione canto-autorale argentina, nonché qualche evergreen come On Green Dolphin Street”.
Quanto fuoco e quanto ghiaccio per affrontare un passaggio difficile, un acuto e “suonarlo”?
“E’ la tromba uno strumento particolare che bisogna suonare rispettando la sua ecletticità. Posso dire che,  quando suono in piccola formazione, guardo al jazz relaxin’ di Chet Baker, al suo lirismo, quando, invece, mi siedo al primo o al secondo leggìo di una big band, non posso non pensare agli acuti dei grandissimi, con il fuoco dell’estro e la estrema freddezza della tecnica, che offre la certezza, la sicurezza e arma il coraggio di salire su con estrema facilità. Devo confessare, però, che quando studio la tecnica, ad un certo punto dell’esercizio imbocco vie trasversali, inizio ad improvvisare e vengo ripreso dal Maestro”.
Andrà a Sapri per donare una scintilla ai ragazzi, per il loro futuro, da parte sua che è sotto i riflettori e che dovrà faticare per rimanerci, cosa sente di dir loro?
“Dirò, innanzitutto, che, per quanto bisogna fare della propria passione un lavoro, ad un certo punto bisogna fare anche i conti con se stessi. Avendo cominciato a lavorare in teatro a quindici anni,  ho incontrato persone di ogni età e talune non riuscivano a raggiungere la fine del mese. Bisogna darsi un tempo e capire, ad un certo punto, se il lavoro scelto fa per la persona. Certamente la felicità non ha prezzo, però, magari bisogna pensare che sarà necessario rinunciare a qualcosa se non si ha fortuna, se non avviene il giusto incontro, la persona che ti visiona e ti sceglie. Quindi, non si deve essere frustrati, se il successo tarda a venire, perché non tutto, purtroppo, dipende da noi. L’importante è farsi trovare sempre “pronti” alla domanda. Uno stato, questo, che si raggiunge si studiando, ma soprattutto lavorando, facendo esperienze, la famosa gavetta, sulle tavole del palcoscenico. Il lavoro pagato, infatti, ti pone in modo diverso rispetto alla performance, poiché tu dovrai dar conto della tua professionalità, con tutto il carico di emozioni che ne consegue”.
Nel film Champagne, come si è calato nel personaggio? E’ stato a colloquio,  con Peppino Senior?
“Ho incontrato Peppino di Capri solo due volte, poiché chiaramente, alla sua età non poteva essere presente sempre sul set. Mi sono interfacciato con i figli, ai quali chiedevo di tutto, modi di fare, espressioni, movimenti.  Sono arrivato a calarmi nei panni di Peppino attraverso i figli. Per me che sono napoletano, attore e musicista, è stato veramente la realizzazione di un sogno. Ho preso consapevolezza che ero riuscito a schizzare il personaggio, nel momento in cui Peppino senior  mi ha detto fosse convinto che avessero usato delle sue registrazioni nelle scene cantate.
 Mi sono realmente emozionato nel cantare quei brani e il lavoro è stato di dover comunicarle come le avrebbe espresse Peppino, però ho attinto tanto da me stesso”.
L’improvvisazione è la chiave del jazz e non solo, penso al barocco tra convergenze e divergenze. Sul set ha avuto modo di improvvisare?
“Confesso che su questo set ho veramente capito quanto il jazz sia simile alla recitazione. In musica ci si può ritrovare in orchestra, in sezione, dove le parti sono scritte e non si esula da quelle, ovvero, in ambito jazzistico dove si gioca sull’improvvisazione, si crea. Lo stesso avviene sul set, dipende dal regista: c’è chi ti chiede di attenersi strettamente al copione e chi ti lascia libertà d’azione, partendo da alcune battute e concedendo d’improvvisare. In questo film ho toccato con mano questo “interplay”, che è diventa dialogo famigliare, con Gianluca Di Gennaro, che ha interpretato il batterista storico di Peppino, Bebè, naturalmente, sempre mantenendo i parametri della scena.
Cosa serve per far felice Francesco Del Gaudio, che porta la “gioia” nel cognome, essendo in connessione con gaudium e che a sua volta proviene da getheo (gioire) ma ha anche la stessa radice di giocare, quindi di suonare e recitare, se intendiamo giocare come play?
“E’ semplice farmi contento, farmi stare bene: devo avere intorno persone autentiche, e davanti un bicchiere old fashioned pieno di ghiaccio, con  bitter e vermouth rosso, soda, fettina d’arancia e zest di limone, un Americano”.

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