I due Vlad uniti e a confronto nel mondo della musica, della composizione e della direzione artistica di eventi internazionali come il Ravello Festival, tra ricerca, libertà e tanta curiosità.
Di Olga Chieffi & Alessio Vlad
Compositore prolifico e versatile, pianista e musicologo, uomo di profonda e vasta cultura, Roman Vlad, generoso sapiente e ironico intrattenitore. Il nostro personale ricordo è legato ad una serata di un’edizione del Ravello Festival d’inizio secondo millennio. Pubblico delle grandi occasioni per un Tristan und Isolde in forma semiscenica. La pioggia ospite inattesa e indesiderata scrosciò potente prima dell’esecuzione. Il maestro Roman non si perse d’animo: sedendo al pianoforte e intrattenendo il pubblico, offrì una preziosa lezione-concerto nel piccolo auditorio della villa, interpretando splendidamente le trascrizioni lisztiane delle opere di Wagner. Quindi, la luna illuminò i giardini e si dette inizio all’ opera, ma, forse, lo spettacolo era già andato in scena. Oggi nel giorno del 140° anniversario dell’ascesa a Ravello di Richard Wagner, un giorno particolare per quanti hanno vissuto e continuano a mantenere alta la tradizione artistica e culturale della costiera, passiamo il testimone al figlio d’arte di Roman Vlad, Alessio, unito al padre dal miracolo della musica e alla sottomissione assoluta, unicamente ad essa.
Una figura eclettica quella di Roman Vlad, i cui insegnamenti e il bagaglio di affetti donatoLe l’accompagnerà per sempre: quali i suoi pregi, quali i suoi difetti
“Non sono certo la persona più indicata per dare una risposta, ma una cosa mi sento di dire: mio padre è sempre stato un uomo profondamente curioso. Essere curiosi significa essere aperti verso gli altri e non avere preconcetti. Il che non significa non avere convinzioni proprie ma “sentire” l’esigenza di confrontarsi, d’altra parte, la prima qualità di chi fa musica è quella di sapere ascoltare. Non bisogna dimenticare che mio padre veniva da una regione, la cosiddetta Mitteleuropa, che stava al confine tra l’impero Austroungarico e quello Ottomano; caratteristica di ambedue gli imperi, da sempre, era la tolleranza e la libertà di culto, con queste garanzie sono riusciti per secoli a mantenere imperi che comprendevano popoli profondamente diversi e potenzialmente in contrasto tra loro”.
Immagini belle con Papà e lezioni facili e lezioni difficili della vita e di Roman Vlad in veste di padre e di maestro. L’ iniziazione al mondo della Musica. Con a fianco la mamma Licia archeologa, immagino tanti incontri, tanti aneddoti.
“Mio padre, appena ho deciso di dedicarmi alla musica, mi ha affidato a dei maestri eccellenti, Guido Turchi per la composizione, Franco Ferrara e Sergiu Celibidache per la direzione d’orchestra. Poi da lui ho appreso indirettamente: seguendolo interessatissimo nei teatri che dirigeva e frequentando le persone con cui insieme a mia madre aveva una consuetudine. Mi ricordo perfettamente i Maggi tematici, quello sull’Espressionismo, Il Naso di Shostakovitch con la regia di Eduardo de Filippo, la scoperta del talento strepitoso del giovanissimo Riccardo Muti, le battaglie per il libero pensiero fuori da ideologie imposte, e poi Cesare Brandi, Igor Stravinsky, Rene Clair i Nijinsky, Massimo Mila, i grandi direttori Giulini, Abbado, Pretre, Maazel, Schippers, Gavazzeni, un mondo….
Confronto-scontro con Roman Vlad su qualche autore, partitura, scelta interpretativa?
“Rispetto alle necessità legate alla messinscena di un’opera ci siamo trovati spesso su posizioni diverse. Io da subito mi sono posto il problema di come mantenere attuale l’opera convinto della necessità di mantenerla viva attraverso un rapporto con la contemporaneità. Mio padre è sempre stato convinto che la fedeltà ad un testo dovesse passare in ogni caso dall’osservare una serie di convenzioni. E’ un discorso tutt’ora aperto e su cui , pur andando avanti in un percorso per quanto mi riguarda definito, non mi sento certo di ostentare certezze”.
Ha pesato nella sua carriera portare questo cognome? Ingombro, responsabilità, qualche porta chiusa?
“Non è certo facile. Ci sarebbe molto da dire sui rapporti padri/figli che condividono la stessa professione e lo stesso mondo. Bisogna riuscire ad essere indipendenti assorbendo tutto il possibile e a sfruttare quello che obiettivamente è un vantaggio enorme. Se si riescono a superare tutte quelle insidie legate anche a quella che si potrebbe configurare come una sotterranea competizione si esce molto rafforzati e soprattutto pronti ad affrontare un mondo che certo non ti è favorevole”.
Lei nasce due anni dopo la prima edizione del Ravello Festival, ricorda la sua prima volta nella città della Musica da ragazzo con papà?
“Da sempre ho vissuto in costiera e, quindi, frequento Ravello sin da ragazzino. La costiera per me ha rappresentato una iniziazione al mondo del lavoro. Qui ho conosciuto, anche grazie a mio padre, due persone che hanno avuto un ruolo importantissimo nella mia vita lavorativa: Franco Zeffirelli, con cui ho collaborato per tutto l’ultimo periodo della sua attività, scrivendo la musica per tutti i suoi lavori di cinema e teatro dagli anni ’90 in poi, e Leonard Bernstein. Ambedue hanno creduto in me in quanto tale e non in quanto figlio, proiettandomi nel mondo. A Ravello ho frequentato Gore Vidal, che non amava né Bernstein né tantomeno Zeffirelli, e tutto quel mondo cosmopolita che per buona parte dell’anno animava quello che è ancora uno dei luoghi più belli del mondo”.
Già per diversi anni direttore artistico del Festival, ha preparato questo ritorno alla vera libertà, che è quella delle arti, oggi per celebrare i 140 anni della visita di Richard Wagner a Ravello, quale il programma e le ragioni estetiche di questo evento?
“Mi è stato chiesto di ricordare i centoquaranta anni della visita di Wagner a Ravello. Non devo certo dirle la difficoltà del momento, ma ho pensato all’opportunità di dimostrare che ricordare il passato, che in questi luoghi rappresenta moltissimo, può essere l’occasione di dimostrare che ci siamo e che questi luoghi, dove il nord ha incontrato il sud, sono e saranno sempre i più belli del mondo. Vede, Wagner a Ravello trovò quell’abbandono per dare forma a quel contrasto tra purezza e sensualità di cui aveva bisogno per dare forma al secondo atto del Parsifal. L’evento vuole cercare di dare forma a questo sentimento, che solo i colori e i profumi di questo luogo possono generare. Saranno coinvolti, in una Villa Rufolo deserta, tre artisti: un attore, Alessandro Preziosi, che racconterà la visita di Wagner, una cantante Carmen Giannattasio, che in una ideale unione tra il mondo musicale tedesco e quello italiano canterà un’aria di Wagner e una di Bellini, e una ballerina, Eleonora Abbagnato, che danzerà, con una coreografia creata appositamente, sulla musica del Preludio del Parsifal, proprio a voler rappresentare quell’abbandono estetico di cui parlavo prima”.
In questo “tempo sospeso” ha dovuto rinviare o abbandonare qualche progetto che stava realizzando? La sua vena compositiva è stata particolarmente toccata dall’aver vissuto questa tragedia?
“Ho dovuto abbandonare la vita del Teatro ed una serie di progetti su cui avevamo messo molte energie ed aspettative. La nostra è un’attività dal vivo che presuppone il contatto umano. Spero i lavoratori dello spettacolo, insieme a tutti gli altri, possano riprendere al più presto la loro attività”.
Un suo sogno nel cassetto
“Vorrei lasciare un segno in quello che faccio”.