Una giornata particolare il 21 giugno, in cui i protagonisti di quest’arte che da sempre sono ospiti di queste colonne, come da tradizione, ci inviano gli auguri per i nostri lettori dai palcoscenici di tutto il mondo.
Di Olga Chieffi
I suoni che ci giungono dal passato contemporaneamente sondano il momento attuale, profilano una congiuntura, mettono in gioco e portano in primo piano il dimenticato nell’accadere del presente, mentre dischiudono una porta sul futuro. Prendere in considerazione sia le memorie riconosciute, sia quelle respinte, vuol dire intuire la natura vitale di quest’arte, il senso inusitato del ritornello. Nel riverbero del suono, la musica riempie gli intermezzi nella memoria, costituendo, così, una “casa”, mai fissa che alluderà sempre a qualcosa che deve ancora compiersi. Oggi festa della Musica europea, solstizio d’estate, i suoni non propongono il passato, ma un evento contemporaneo. Essi rivelano in un istante, le pieghe nella “carne del mondo” (Merleau-Ponty 1964). Gli auguri per questa giornata speciale giungeranno ai nostri lettori dai palcoscenici del mondo, da musicisti, uomini e donne di teatro, di spettacolo, che affettuosamente, consapevolmente e con reciproco rispetto abitano queste pagine, “giocando” con noi, facendo proprio il principio heideggeriano dell’ “ecstatico”, ovvero quell’assunto attraverso cui il nostro essere nel tempo è “gettato” fuori del passato e “proiettato” nel futuro. I suoni accompagnano la nostra vita quotidiana. La ricezione dei suoni allude anche al bisogno di una sensibilità verso un’invenzione infinita. “L’italiano (non parlo del vero popolo, chè quello è ancora santo e non conta nulla) che conta vuol passare dalla fica agli spaghetti e dagli spaghetti al pisciatoio, e si ritiene offeso e ingiuriato da chiunque lo provochi a pensare”. Così scriveva Bruno Barilli, una delle firme più estrose e luminose della critica musicale italiana, nel 1913 ad Ildebrando Pizzetti. Profetico Barilli, se Adorno, oltre quarant’anni dopo questa lettera, è uno dei primi ad additare un fenomeno ch’egli definisce in più modi e che noi potremmo sintetizzare sotto quello di regressione dell’ascolto musicale. Un’esperienza ormai, ventennale di critico musicale e di osservatrice del costume del pubblico, suggerisce che i fatti stanno così. I media non fanno che annunciare, con toni trionfali, una sempre maggiore diffusione della cultura musicale, della vita musicale, dell’esecuzione musicale, in particolare nel nostro paese, d’una sempre maggiore fame di musica che si manifesterebbe a tutti i livelli, in particolare presso i giovani. Ecco l’ovvio corollario di incontrollate e dissennate iniziative, ovunque proliferanti a spendere, per organizzare manifestazioni musicali, il fiume di denaro che istituzioni ed enti, senza alcun controllo (è difficile che si scelga il progetto di qualità, ma si premia l’evento con maggiore partecipazione e “ritorno d’immagine”, anche se mediocre) diffonde su campi attraverso una pletora di maneggioni, prona al potere e attentissima a non rompere qualsivoglia equilibrio, cercando di accontentare tutti. Di tale stato di cose la critica musicale è insieme vittima e complice, connivente per la sua, oramai, inconsistenza e inesistenza, erosa vieppiù da questa situazione, ma tale sin dall’origine. Poco preparata in senso tecnico, povera in cultura generale, a disagio oramai con la penna in mano, spesso persino socialmente impacciata, essa è, peraltro, partigiana, tende a identificarsi, anche solo per ideologia o soggezione generica, con le ragioni di coloro che reggono i teatri, le istituzioni musicali, i grandi eventi, poiché loro portavoce. Incline al panegirico, al superlativo, all’iperbole, infrangendo, oltre che, sovente, grammatica e sintassi, ogni senso della misura, la stampa prezzolata riesce, purtroppo, ad ammaestrare il pubblico che rispetta lo pseudo totem della Cultura, facendogli tributare il preventivo assenso a tutto ciò che gli vien detto incarnare il prodotto buono. Tutto ciò ha portato platee ed uditori ad una regressione, la cui attenzione non va oltre il post poveramente compilato sui vari social, sotto qualche immagine o “storia” o “reel”, i famosi innumerevoli e continui “contenuti” di siti virtuali, portali e profili, che intasano i cellulari e fanno dormire oramai agli organizzatori sonni tranquilli, fin quando non arrivi la sassata. L’augurio personale per questa giornata è di riuscire ad incontrarci e dialogare tra queste colonne “ben temperate”, sulle tracce di George Bernard Shaw e dell’indimenticato Paolo Isotta, cercando di cogliere tutti insieme il bagliore di qualche gemma prodotta da un mondo fatto, oramai, di sponsorizzazioni, pubblicità e promozioni, intento a celebrare le sue fortune, fingendo, come in un ballo in maschera, convenzioni e usi di una società che in tempi, parecchio lontani, aveva avuto una salda e raffinata radice culturale.