Dalla Riapertura dei Teatri al 21 giugno
Di OLGA CHIEFFI
Quanto abbiamo atteso questo giorno, il poter ri-tornare in un teatro, sentire l’odore della sala, il silenzio, l’attesa, l’attacco, la tensione, l’inizio delle spettacolo, poiché l’arte nasce in un corpo da un’idea. Per festeggiare, oggi, questo ritorno alla libertà, segnato dall’apertura dei teatri e celebrare la Festa della Musica, da cui ci dividono sette giorni, abbiamo chiesto a voi lettori di donarci la definizione di questa arte, una riflessione che non ha confini. Attraverso il contributo di tutti, di un’umanità varia, che si è ritrovata a vivere una esperienza comune, durante la quale si è trovata a fare i conti con la musica, quale compagna, fastidio, emozione, rumore, nostalgia, amore, questi confini già sfumati e contaminati, chissà che non possano essere ulteriormente ampliati da un’intuizione, un motto, una parola, delle persone che raccoglieranno l’invito a questo impegnativo cimento. Il contributo richiesto per partecipare a questa grande festa è la personale definizione di musica, magari senza andare a scartabellare tra gli innumerevoli aforismi ad essa dedicata e i brani principe di una playlist, che ha fatto da colonna sonora alla lunga clausura cui siamo stati costretti. Da questo “tempo sospeso” i musicisti ne saranno, certamente, usciti arricchiti, tecnicamente ed emozionalmente, hanno immaginato, suonato, composto, incontrandosi sul web, ma è un assieme ben lontano dal reale, una strada che assolutamente non deve essere pensata quale risolutiva, hanno rotto il silenzio assordante dei primi giorni, dai balconi, sfogo, condivisione, la partecipazione ad una immensa scena, che ha fatto in modo, ad ogni incontro, di restituirci qualcosa di una drammaturgia segreta, nella quale, si sono cominciati ad annodare rapporti empatici, nascite, emozioni, che ha portato tutti, indistintamente, musicisti e gente comune, a giocare un proprio ruolo, anche i contrari, che tra le mura di casa hanno bofonchiato e imprecato, nei confronti dei flash mob. Musica è la pratica dell’impossibile e ricordiamo il binomio Edoardo Sanguineti-John Cage “Il problema – scrive Sanguineti – è quello di riversare sopra il vissuto quotidiano, nell’azione sociale di ognuno, quanto l’arte addita in forma simbolica ma reale, fornendo modelli sperimentabili di nuove relazioni con gli uomini e con le cose. Non sarebbe né importante né appassionante sforzarsi di modificare l’arte, di innovare il linguaggio, se non ci fosse, più che la speranza, la certezza che, modificando l’arte, si modifica la mente, e si può così avviare una vera e progressiva rivoluzione dei comportamenti sociali, onde pervenire a mutare il mondo, a cambiare la vita”. Quindi, se il musicale è il sonoro riconosciuto da una cultura, ma anche di ogni singolo, dunque, soggettivo, le sirene delle ambulanze e il “bordone” continuo dei camion militari che hanno trasportato le bare fuori di Bergamo sono andati a comporre uno struggente Requiem. Un segno inafferrabile, quello del linguaggio musicale, impossibile da definire, dispiegante “storie nascoste”, codificato si sulla carta, come la parola, ma non nel significato. Un segno, non artificialmente costruito, ma creato unicamente da ciò che nell’anima spontaneamente si chiude per annunciare qualcosa che non può essere espressa altrimenti, perché la sua essenza ha, forse, l’invidiabile privilegio di potersi sostenere incredibilmente alla caduta delle premesse e illuminarsi oltre le conclusioni della ragione.