Clemente Ultimo
Nell’ultimo decennio una vera e propria mannaia si è abbattuta sul sistema sanitario italiano: tra il 2010 ed il 2020 sono stati chiusi 111 ospedali e 113 pronto soccorso, con un taglio complessivo di ben 37mila posti letto (dati Sole 24 Ore del settembre 2022, nda). È senza dubbio questo l’effetto più evidente del taglio della spesa pubblica nel settore, anche se un impatto forse maggiore sulla vita quotidiana dei cittadini è dato dalla progressiva obsolescenza – in qualche caso ai limiti della paralisi – della rete dell’assistenza territoriale.
Problema particolarmente avvertito in Campania, ben prima dell’emergenza Covid: a testimoniare dei problemi della rete territoriale sono sufficienti i dati abnormi degli accessi al pronto soccorso, troppo spesso unica soluzione accessibile. Le risorse rese disponibili grazie al Pnrr, tuttavia, offrono la possibilità di intervenire su questo strategico settore. Alle criticità attuali ed alle possibilità offerte dal riordino dell’assistenza territoriale è dedicato il convegno in calendario il prossimo 16 febbraio – dalle ore 9 presso il Salone Bottiglieri di Palazzo Sant’Agostino – organizzato dal Sumai Assoprof, sigla che riunisce i medici ambulatoriali.
«Per la prima volta i protagonisti di questo convegno saranno gli specialisti ambulatoriali under 45 – sottolinea il dottor Fernando Ferrara, presidente del comitato regionale di specialistica ambulatoriale -. Abbiamo difronte una sfida impegnativa, grazie al Pnrr saranno realizzate le “case di comunità”, strutture che modificheranno profondamente la rete territoriale di assistenza sanitaria, ci è sembrato utile dare spazio e voce a quei professionisti che saranno chiamati ad essere i protagonisti di questo cambiamento».
La rete territoriale in Campania è forse uno degli elementi del sistema sanitario che soffre maggiormente.
«Purtroppo si tratta di un vecchio problema, basti pensare che oggi circa l’80% degli accessi al pronto soccorso è costituito da codici bianchi, ovvero da casi che non dovrebbero essere trattati in ospedale. Si tratta di accessi incongrui che vanno ad intasare e bloccare i pronto soccorso, tuttavia solo una nuova articolazione della rete territoriale può risolvere questo problema. È la prospettiva verso cui ci stiamo muovendo grazie alla riforma innescata dal Pnrr, ma non va sottovalutata la necessità di formare i giovani specialisti, professionisti che già oggi lavorano in questo settore».
Qual è lo stato di salute dell’assistenza territoriale?
«In questi anni di risorse scarse le strutture ospedaliere hanno avuto la priorità, questo ha fatto sì che gli ambulatori fossero costretti a fare i conti con l’obsolescenza delle apparecchiature e con strutture non sempre adeguate alle necessità. Negli ultimi anni, però, qualcosa ha iniziato a muoversi: oggi, ad esempio, tutti gli ambulatori sono attrezzati per realizzare ed accedere al fascicolo sanitario elettronico, il documento digitale che contiene l’intera storia clinica del paziente. Si sta lavorando per garantire a tutte le strutture una dotazione minima di 1° livello tramite l’acquisto di nuove attrezzature. Insomma, c’è molto da fare, ma la direzione è quella giusta anche grazie alle nuove risorse disponibili. Certo va rilevato che nei tredici distretti in cui è articolata l’azienda sanitaria salernitana non si procede sempre alla stessa velocità, non c’è omogeneità d’azione».
La provincia di Salerno è caratterizzata da realtà territoriali molto diverse tra loro, particolarmente difficile è la situazione delle aree interne. Come dovrebbe cambiare la situazione con il riordino della rete territoriale?
«In uno scenario caratterizzato dal taglio dei fondi per la sanità si è cercato di salvaguardare gli ospedali e, inevitabilmente, ne ha risentito la rete territoriale. Nella nostra provincia, penso in particolare alla parte a sud del capoluogo, ci sono aree lontane dagli ospedali, con collegamenti difficili, ecco che con le “case di comunità” sarà possibile dare una risposta più efficiente: all’interno di queste strutture, operative dodici ore al giorno, ci saranno accanto al medico generalista gli specialisti, gli infermieri, laboratori di analisi e radiologici, quanto occorre per gestire le esigenze ordinarie. Andiamo verso il superamento di un modello “ospedale-centrico”, il paziente dovrà farvi ricorso solo per l’emergenza, il malato cronico dovrà essere gestito dal medico del territorio».
Quanto tempo occorrerà per veder realizzata questa riforma?
«Nel giro di un paio di anni si potrebbe andare a regime. A patto di affrontare e risolvere il problema degli specialisti. Troppe branche sono poco coperte, mancano urologi, ortopedici, cardiologi. Un problema ancora più avvertito proprio nelle aree interne. Scontiamo un vecchio ritardo, frutto dello scarso numero di borse per specialisti rese disponibili su base annua; finalmente questa tendenza è stata invertita, ma perché si possano avere specialisti in numero sufficiente occorrerà ancora qualche anno. Solo così sarà possibile coprire i vuoti di cui soffre la rete territoriale».