Questa sera alle ore 20, il violinista sarà solista e direttore dell’Orchestra Filarmonica Campana inaugurando tra gli sfarzi barocchi della Chiesa di San Giorgio la XV stagione concertistica della formazione di Giulio Marazia
Di Olga Chieffi
“Una “piccola scampanata” segnò, il 28 luglio 1741, la sepoltura di Antonio Vivaldi in un cimitero viennese riservato ai poveri” – scriveva Vittorio Ambrosio nelle note al programma di sala del Concerto de’ “I Virtuosi di Roma” ospiti del Salerno Festival del 1987 – Una morte simbolica con la quale effettuò la consegna delle chiavi dai veneziani all’Europa, chiudendo – e aprendo – due periodi meravigliosi della storia della musica. Al di là della questione concernente il cammino di ricostruzione musicologica della musica vivaldiana e bachiana, è ovvio che, Bach abbia potuto felicemente e genialmente attingere dalla scuola italiana del tempo, a cominciare dalle composizioni del Prete Rosso, per ciò che riguarda l’ambito del genere concertistico, basti ascoltare i tempi lenti dei concerti in questione, concepiti come vere e proprie “arie” in modo da esaltare al massimo la cantabilità della linea melodica. Questa sera il concerto inaugurale della XV Stagione Concertistica dell’Orchestra Filarmonica Campana, che avrà quale perfetta cornice gli stucchi dorati del gioiello barocco della Chiesa di San Giorgio, sarà interamente dedicato al confronto tra questi due giganti su cui si è basata tutta la musica successiva. Riflettori accesi dalle ore 20, sul violino internazionale di Ettore Pellegrino il quale, come da tradizione, sarà solista e direttore, coadiuvato dal Konzertmeister dell’OFC Fabrizio Giordano e dal maestro al cembalo Francesco Aliberti, per l’esecuzione del Concerto in La minore op.3 n.8 RV522 di Vivaldi, e dei concerti BWV1041, in Mi Maggiore BWV 1042 in Re minore BWV 1043, di Johann Sebastian Bach, in cui la tessitura, l’ordito, l’eloquio impeccabili da parte del violinista svizzero, ma abruzzese d’adozione, la cui direzione permetterà di uniformare ottimamente il timbro e la densità sonora della formazione e dei violini solisti, riuscirà a rendere einfachciò che, invece, semplice non è. Il concerto di Vivaldi in la minore op. III n. 8 è uno delle gemme della più amata raccolta vivaldiana, l’Estro armonico, risalente al 1712, articolato nella classica forma tripartita: allegro-adagio-allegro. La sua struttura stilistica racchiude il concerto solistico e il concerto da camera, in quanto lo strumento principale viene rinforzato da un secondo violino, con funzione non soltanto complementare. Fantasia imprevedibile, invenzione frizzante, la varietà impressionante degli affetti e delle atmosfere, sintetizzabile con quella varietas, riconducibile anche all’espressione ésprit de finesse, per dirla con Pascal, tradotta con una scrittura melodica, ritmica, armonica e timbrica sempre cangiante, grazie ad un sapiente dosaggio dei momenti più incisivi e brillanti con quelli più lirici e meditativi, della più diffusa luminosità con le ombre più inquietanti, il tutto sulla base di una precisa drammaturgia, sono le caratteristiche di questa pagina vivaldiana. Nel primo e nell’ultimo movimento la parte dei due violini solisti è inserita nel Tutti che imprime il ritmo vivace ad un discorso musicale incalzante e travolgente. Il secondo tempo si apre in modo sostenuto e solenne e viene sorretto da un disegno in ottave dell’intero complesso strumentale; si avverte in questo movimento un chiaro riferimento al gusto teatrale, per la dolce espressività della linea melodica, a mo’ di duetto lirico. Nel movimento finale il secondo violino imprime un particolare rilievo sonoro ad un determinato episodio melodico, accompagnato dal primo violino su un accordo di semicrome. L’aneddotica nel caso di Johann Sebastian Bach è povera, riflesso di una vita esteriormente priva di grandi avvenimenti, dedita alla famiglia, al lavoro e all’incessante ricerca di un miglior impiego. Eppure, anche la vita del sommo musicista riporta un infortunio, per il quale non conosciamo purtroppo la reazione del diretto interessato. «Il 6 novembre, Bach, fino ad allora maestro di concerto e organista a corte, è stato, a causa della sua testardaggine e del congedo che sollecita con ostinazione, arrestato nella sala di giustizia; il 2 dicembre, il suo congedo gli è stato infine concesso ed è stato liberato dagli arresti». È il 1717 e l’arresto ordinato dal Duca di Weimar per impedire al suo musicista di lasciare la corte e trasferirsi a Köthen, è cronologicamente prossimo alla composizione dei Concerti per violino e orchestra, composti attorno al 1717-23, dunque subito dopo l’umiliante detenzione a Weimar. Bach scrisse circa una decina di concerti per violino, grazie probabilmente al fatto che alla corte del principe Leopold vi era un valente violinista al quale affidare le sue opere, Joseph Spiess, konzertmeister dell’orchestra di corte. Di questa silloge di opere due solo sono sopravvissute, il BWV 1041 in la minore e BWV 1042 in mi maggiore a cui si aggiunge un’altra opera, per due violini solisti, il BWV1043. Si tratta due capolavori assoluti, realizzati nel perfetto equilibrio tra brio tutto italiano e elaborazione armonica tedesco: Bach assimila la lezione dell’Estro Armonico di Vivaldi, ma la inserisce in un percorso tematico più complesso, in cui il violino solista conduce il gioco melodico più come strumento concertante e dialogante con l’orchestra che come virtuoso assoluto, nell’alternanza tra solo e tutti e con dinamiche a terrazza nel primo movimento di entrambi i concerti. La felicità melodica di Bach non è da meno di quella di Vivaldi, in particolare nell’Andante del Concerto in La minore, dove un semplice, misterioso suggerimento ritmico dei bassi dell’orchestra dà l’avvio al canto sublime del violino. L’Adagio del Concerto in Mi maggiore, in tonalità minore si basa invece sul dialogo tra archi e solista. In entrambi i concerti il terzo movimento è in stile di danza con ritmi molto marcati dove il violino fa libero sfoggio di soluzioni virtuosistiche. Finale con il concerto per due violini di Bach in re minore BWV 1043. Scrittura imitativa per eccellenza – il canone – e integrazione dei solisti nell’orchestra sono le caratteristiche distintive di questa pagina, con la sua celebre “Siciliana” centrale, movimento di danza che per Bach assume valenze spirituali: sul tappeto del continuo orchestrale, i due violini espongono ed esplorano in modo assolutamente paritetico un motivo ampio e cantabile, di magnifico impatto espressivo. In tutti e tre i movimenti i due violini concertanti, così li chiama Bach, si muovono su un piano di parità, scambiandosi trame melodiche e contrappuntistiche con assoluta regolarità e precisione di scansione ritmica.