Eleonora Riccio racconta il valore della moda "green" - Le Cronache
Attualità

Eleonora Riccio racconta il valore della moda “green”

Eleonora Riccio racconta il valore della moda “green”

di Jacopo Tafuri

Eleonora Riccio è una esperta in colori e tinture naturali, nel suo studio a Roma  realizza abiti “su misura” di Prèt a Porter e Haute Couture mentre, per la vendita di capi, accessori come foulard e sciarpe, organizza dei Pop Up o Temporary shop in determinate location o Hotel di lusso.

E’ in procinto di organizzare dei corsi di tintura naturale ed eco-printing; è disponibile a raccontare il valore della moda “green”, di sostenibilità ed economia circolare, presso le Accademie di  Arte e di Moda, Università, come in effetti ha già fatto in questi anni.

Il 29 gennaio parlerà di sostenibilità presso la Corte di Cassazione di Roma.

Eleonora ci parla un po’ di lei?

Sono una stilista appassionata di botanica, laureata col massimo dei voti presso l’Accademia di Costume e di Moda di Roma, con una tesi dal titolo: “Il colore esperienza di viaggio”. Nella mia tesi ho analizzato la storia dei pigmenti nell’arte e nella moda dai primordi fino ad arrivare ad oggi. Un elemento che mi ha sempre affascinato è il colore, che è stato nei miei lavori e nei miei progetti fonte di studio e ricerca costante. Dopo diverse esperienze di lavoro per importanti brand quali, Gianfranco Ferrè e Salvatore Ferragamo e anche ispirata dal parco delle Kew Gardens a Londra (città in cui ho vissuto), ho deciso di aprire il mio marchio in cui convergono valori come l’etica e l’ecologia, con un’attenzione particolare rivolta alle tinture naturali.

Per la realizzazione dei miei pigmenti mi avvalgo dell’aiuto di aziende agricole, vivaisti e giardinieri.

Il saper coniugare la moda con il territorio, mi ha permesso di sviluppare diverse collaborazioni: in primis con la CIA (Confederazione Italiana Agricoltori) e la loro associazione “Donne in Campo”, che il 24 settembre 2019, ha presentato il progetto “Agritessuti” per cui sono stata testimonial con una sfilata di alta moda realizzata con tinture naturali provenienti da scarti agricoli.

Collaboro inoltre con l’ente PEFC, impegnato a promuovere la crescita sostenibile delle foreste attraverso un sistema di certificazione nazionale tramite cui recupero cortecce e foglie, che divengono colore o decori per i miei abiti.

In ultimo, collaboro con alcune Università (UniCal e UniFi), su progetti etici, tinture naturali e su fibre sperimentali.

Negli anni ho partecipato ad eventi importanti:  Alta Roma, Sustainable Innovation fashion week, Film Festival di Venezia (2021 e 2022) e Film Festival di Roma (2021), realizzando abiti di Haute Couture per entrambi i red carpet.

Inoltre nel 2020 su Tv2000 è andato in onda un docufilm sulla mia vita e sul mio lavoro, dal titolo “Donne che sfidano il mondo”.

Da quest’anno, inoltre, ho assunto l’incarico di Presidente CNA Federmoda di Roma che si occupa di valorizzare le aziende operanti nel settore moda, artigianato e il Made in Italy.

Quando e come nasce l’idea di sperimentare pigmenti vegetali da utilizzare per le sue creazioni?

Una volta rientrata da Londra, ho scritto il business plan del mio progetto, ed ho così cominciato ad individuare quello che poi è divenuto il core business del mio lavoro – le tinture naturali, di cui da sempre sono appassionata.

Volevo creare una moda che avesse il sapore delle atmosfere romantiche Art Nouveau respirate nel Liberty di Londra, famoso Flag Ship Store per le stampe di abbigliamento e arredamento di William Morris e che parlasse del mio amore  per le piante.

Sono così nate collezioni di Prèt a Porter e Haute Couture sperimentando le piante, la frutta, la verdura, realizzate anche con materiale di scarto proveniente da aziende agricole o da potature varie.

La mia domanda alla base del mio lavoro è stata: “Può una fashion victim vestire abiti meravigliosi, Made in Italy, tinti con pigmenti naturali, in modo etico con lo scopo di avvicinare le persone a Madre Natura e alla sua preservazione?”

Direi che quanto ho realizzato e spero di continuare a realizzare nel migliore dei modi, risponda a pieno a questo quesito.

Ha destato interesse ed attenzione di qualche marchio importante della moda italiana o estera?

In questi sei anni di attività non sono stata contattata da marchi importanti della moda italiana o estera, ma non escludo in futuro in possibili collaborazioni.

Essendo una stilista green che ha come punto cardine valori come l’ecologia, potrei realizzare delle sinergie con aziende che rispecchino i miei stessi principi.

I suoi procedimenti possono essere resi fruibili a livello industriale o è più un discorso di nicchia, di produzione limitata?

Per rendere fruibile a livello industriale il mio lavoro servirebbero laboratori organizzati per lo stoccaggio delle materie prime da lavorare fresche o dopo essere state congelate.

Nel caso ad esempio dell’eco-printing è possibile infatti reperire e congelare le foglie durante la stagioni più calde per poi utilizzarle nella stagione invernale, ma è un lavoro lento e certosino, che non può essere sostituito da macchine. Di conseguenza le mie produzioni non possono favorire il mercato di massa, ma un mercato di nicchia che spesso desidera un capo o un accessorio unico e introvabile sul mercato.

Per industrializzare il processo delle tinture naturali, servirebbero enormi vasche, simili a quelle utilizzate nel Medioevo, per poter estrarre il pigmento e tingere metri di tessuto, di filato o di tops, il cosiddetto semilavorato di lana costituito dal nastro pettinato risultante dall’operazione di pettinatura.

In questi ultimi anni è in aumento il numero delle aziende del settore moda, sempre più interessate al mondo delle tinture naturali, appetibili sul mercato in quanto non tossiche per l’uomo e per l’ambiente. Ad ogni modo mi auguro, che il meccanismo di gestione, qualora aprirà i suoi margini ad un sistema industrializzato, rimarrà virtuoso e attento al patrimonio ambientale.

Ho letto che è una esperta di storia del colore, esistono corsi specifici con i quali imparare quanto lei ha applicato o, partendo da procedimenti e conoscenze storiche ed artigianali lei è riuscita a riprodurre e standardizzare questi procedimenti?

Fin da piccola sono sempre stata affascinata dall’arte, dalla pittura e dal colore e credo che il termine più appropriato di quello che vivo ancora oggi sia “sinestesia!”.

La sinestesia è quel fenomeno sensoriale-percettivo in cui determinati stimoli evocano sensazioni di natura diversa da quella abitualmente e normalmente condivisa dal genere umano, per cui è possibile “sentire un colore” e “vedere un suono”.

In qualche modo la mia sensibilità alla luce, mi ha permesso di comprendere già da giovanissima, quello che poi ho trovato scritto nello “Lo Spirituale dell’arte” di Wassily Kandinsky, testo di studio consigliatoci dalla docente di Storia dell’Arte presso l’Accademia di Costume e Moda di Roma.

Wassily Kandinsky nel suo “Lo Spirituale nell’Arte” analizza il valore simbolico, psicologico e spirituale del colore, associandolo al suono e alla musica. Lui stesso dirà:

“Il colore è un mezzo per esercitare sull’anima un’influenza diretta.
Il colore è la tastiera, gli occhi sono il martelletto, l’anima è un pianoforte con molte corde. L’artista è la mano che suona, toccando un tasto o l’altro, per provocare vibrazioni nell’anima”
.

Approdata in Accademia, sperimentando il disegno, la pittura e le varie tecniche artistiche mi sono appassionata via, via, ai diversi testi sullo studio dei colori (Lo Spirituale nell’Arte di W. Kandinsky (come già accennato), “La teoria dei colori” di Johann Wolfgang Goethe, “L’Arte del colore” di Johannes Itten, “Il piccolo libro dei colori” di Michel Pastoureau e Dominique Simonnet, insieme ai testi “Rosso” “Blu” “Verde” “Giallo” “Bianco” “Nero” ecc di Michel Pastoureau.

Estremamente affascinante è stata poi la scoperta, durante lo studio del costume storico, attraverso le lezioni con il grande costumista Maurizio Monteverde e del costumista e scenografo Mario Carlini, dei pigmenti naturali estratti nell’antichità da minerali, insetti, terre, piante, bacche radici e fiori. Molteplici sono stati i workshop durante il percorso di studi acquisendo le prime nozioni su come sperimentare ad esempio la tunica di una cipolla o la buccia di un avocado per ottenere fantastiche tonalità.

Da quel momento l’acquisto di testi sul colore e la partecipazione a seminari e a vari corsi anche in sull’argomento non si è mai arrestato. Rientrata da Londra ad esempio mi sono messa a cercare come poter apprendere la tecnica dell’eco-printing, ho trovato alcune insegnanti che impartivano lezioni, fino a quando sono diventata un vero alchimista.

L’ecoprinting è una particolare tecnica di tintura naturale che risale ad una tradizione Lettone, e permette alla clorofilla di rimanere stabile sul tessuto. Si posizionano alcune foglie o fiori, su un telo di fibre naturali (lino, cotone, canapa, lana, seta), precedentemente trattato con dei mordenti e l’effetto finale dà modo alle foglie di rimanere impresse in modo permanente. Tra le maestre più brave al mondo possiamo citare ad esempio Irit Dulman, che impartisce corsi per l’apprendimento di questa particolare tecnica tintoria.

Ad ogni modo sono tante le italiane che reduci dalle lezioni anche con questa maestra, sono divenute sapienti artigiane del colore ed io stessa vi sono entrata in contatto. Basta aprire internet e digitare corsi di ecoprinting per poter scegliere quello che fa al proprio caso.

Si parte sempre da alcune conoscenze di base sui mordenti, tintura con foglie di eucalipto, fino a passare a dei procedimenti più complessi e arditi. Gli effetti sono infiniti e sorprendenti.

Ci si chiede se si può standardizzare quindi questo lavoro:  quando si preparano bagni di colore (Rubia Tinctorum da cui si estrae un rosa salmone, Reseda luteola da cui si estrae il giallo, Isatis Tinctoria da cui si estrae un azzurro carta da zucchero, Indigofera tinctoria da cui si estrae l’azzurro e il blu, Haematoxylum Campechianum da cui si estrae il grigio fino ad arrivare al viola, Junglas Regia da cui si estrae il beige fino al marrone, ecc), si possono tingere diversi metri di tessuto in uno stesso tino, si possono quindi ottenere dei processi quasi standardizzati. Oltre alle piante tintorie (che ho citato), possono essere utilizzate  verdure o frutta, di cui parla ad esempio la meravigliosa Sasha Duerr nei suoi libri.

Per quanto riguarda invece la tecnica dell’ecoprinting, non credo potrà mai favorire il lavoro delle grandi industrie ed essere standardizzato. In questo caso si tratta di un lavoro molto particolare, ogni foglia o fiore che si utilizza per la stampa, deve essere raccolto per lo più fresco, non si può, ne si deve spogliare una pianta o albero eccessivamente del suo fogliame e  credo che sia bene mantenere il fascino di un mestiere che sa di antico, che nulla a che vedere con il fast fashion, ne vuole depauperare il bello e le piante che la natura ci mette a disposizione.

Direi quindi che in un futuro prossimo, il mio intento sarà quello di aumentare le produzioni, crescere e sviluppare business sistematizzando e velocizzando certi processi, ma senza snaturare il mio lavoro che evoca in qualche modo il fascino degli antichi maestri tintori della storia.

Essendo lei attenta alla sostenibilità ambientale mi viene da chiederle: i tessuti ed i colori che utilizza hanno particolari certificazioni?

Le mie collezioni sono realizzate con tessuti certificati GOTS (Global Organic Textile Standard  – certificazione del tessile biologico),  questo significa che la filiera di produzione è stata sana, senza sfruttamento della manodopera e uso di pesticidi o diserbanti per la produzione e crescita delle materie prime.

Per quanto riguarda i colori, quelli che realizzo sono vegetali. Ad oggi, non esistono certificazioni che avvalorino e attestino l’uso dei pigmenti naturali. Questi pigmenti nella moda hanno comunque, la valenza di non essere tossici a differenza di quelli sintetici e artificiali utilizzati dalle industrie, molto spesso causa di allergie e malattie della pelle e avvelenamento delle acque.

Sono interessata ad una moda responsabile, in quanto il fashion system è il secondo settore dopo quello del petrolio più inquinante al mondo. Di conseguenza, è necessario conoscere, informarsi e  sviluppare processi di lavorazione meno impattanti e più etici per un futuro migliore.