di Peppe Rinaldi
La telenovela dell’ex cooperativa Ises sembra essere giunta alla puntata finale. Lo si era detto sin dall’inizio che non poteva che finir male, lo si è scritto fino alla nausea per almeno otto anni su queste e su altre colonne: una truffa consistente era in essere, si è consumata, i danni sulla collettività sono stati già scaricati e altri lo saranno, i responsabili sono in parte a piede libero e in parte ancora impegnati nel settore a mungere latte dalla vacca pubblica per chissà quanto tempo. La truffa è stata compiuta nei confronti del Ssn, dell’Inps (che oggi pare continui a pagare indennità di disoccupazione agli ex lavoratori della coop basate su presupposti opachi), della Regione Campania, delle casse comunali e via via individuando le realtà istituzionali connesse. In buona sostanza, dopo anni di incasso indebito di circa 4 milioni di euro in favore dell’ex coop per disabili, e dopo altri quattro/cinque di peripezie politico-affaristiche che hanno lasciato sul campo ulteriori macerie, l’unica notizia buona è che i disabili sequestrati per anni e senza tutela legale vera, sono stati sistemati in altre strutture specializzate e potranno quindi godere (si spera) di un trattamento terapeutico in un contesto di legalità. Chiusa anche la struttura di via Ceffato, nel palazzo F&M, dopo il definitivo diniego di ogni residuale, immaginifica ragione da parte della giustizia amministrativa e della Regione. Ora a piangere sono rimasti soltanto i proprietari dell’immobile, sordi a mille avvisaglie, i quali vantano un credito per fitti non pagati da parte della “Nuova Ises” per oltre mezzo milione di euro, soldi che ovviamente non recupereranno mai: potranno però rifarsi se il palazzo F&M conserverà la destinazione urbanistica ottenuta grazie alla protervia truffaldina dell’ex amministrazione guidata da Massimo Cariello, che, come si ricorderà, la cambiò da civile in sanitaria in un drammatico, ancorché esilarante, consiglio comunale di anni fa. La conservazione di tale destinazione urbanistica, in fondo, potrebbe essere il reale vantaggio ottenuto nel caos generale di tutta questa intricata vicenda, segno di un “piano” ben congegnato da chi aveva un quadro generale della situazione. Il punto è che il Comune, oggi, dovrebbe revocare con un nuovo atto deliberativo quella destinazione, al netto della disciplina di legge, laddove intenda dare un segnale di rottura rispetto alla note gestioni passate. Se l’ente non lo farà, così come pare non abbia compiuto un altro passo significativo non costituendosi parte civile nel processo, collegato alla vicenda Ises, per la nota questione della Casa del Pellegrino, legittimerà ogni possibile illazione. Su questi due aspetti ci sarà, dunque, da vigilare attentamente: una truffa, come tutte le cose, ha un inizio e una fine e se questa fine dipende anche da un atto pubblico e istituzionale, sarà lecito pretenderlo da parte di osservatori ed attori della vita politica e civile locale. Vedremo. Se la telenovela, come si diceva, è finita, significa che siamo ai titoli di coda. E questi titoli, con sottofondo da requiem mozartiano, indicano il punto dove era annidato il cancro di tutta questa vicenda: negli uffici giudiziari salernitani, purtroppo, che per circa otto anni hanno guardato scorrere questo gigantesco fiume di corruzione sui binari dell’Asl, del Comune di Eboli, di alcuni uffici regionali, degli istituti di controllo, delle forze dell’ordine locali, dei sindacati, delle associazioni di categoria, dei partiti politici, dei media e via elencando. I vari responsabili avvicendatisi nel tempo erano informati di tutto, sapevano tutto, leggevano, come fanno ogni mattina, con meticolosità ogni pubblicazione più o meno giornalistica, ne venivano notiziati informalmente e meno informalmente. Non hanno mosso un dito (e anche su questo ci sarebbe da dilungarsi, si sappia solo che c’entrano le ambizioni politiche di qualcuno, malattia che sembra non aver contagiato l’attuale vertice della procura, questo va detto), consentendo che: a) un buco da 12 milioni e passa di euro nelle casse dell’erario derivante dalla vecchia gestione Ises fosse ancora oggi senza un colpevole; b) una dozzina di disgraziati disabili fossero trattenuti illegalmente, cioè senza la coperture necessaria della legge, per anni; c) gli uffici del distretto sanitario locale e dell’Asl continuassero a far girare carte e documenti truccati; d) un pezzo della dirigenza Ises si delocalizzasse fuori dal perimetro urbano ripetendo più o meno il vecchio canovaccio degli iter autorizzativi opportunamente modellati; e) un’amministrazione operasse con schizofrenia e bulimia politico-finanziaria prima l’occupazione della Casa del Pellegrino e poi, con altrettanta disinvoltura, il cambio di destinazione di una palazzina civile per vivificare una baracca che proprio non poteva reggersi in piedi; f) che si facessero addirittura selezioni e assunzioni col trucco, concordate con l’allora parte politica al potere e oggi ricadenti sul groppone della collettività per le indennità e le Naspi indebitamente incassate. Potremmo continuare oltre la lettera Z, ma non occorre, non più. La procura di Salerno, purtroppo, fino a poco tempo fa ha incarnato il vulnus di tutta questa storia, va detto, non bisogna nascondersi dietro a un dito pur nella consapevolezza di esporsi a un rischio: certo, un “processino” per abuso d’ufficio sulla Casa del Pellegrino, nato da una indagine un po’ svogliata, è in itinere, la Corte dei Conti, dal canto suo, pure rilancia con l’impugnazione di una sentenza di I grado di non colpevolezza in tema di danno erariale a carico della passata maggioranza (sentenza, peraltro, apparsa povera di ragioni e di profondità di analisi), ma è niente rispetto a quanto avvenuto nel corso degli ultimi anni, per giunta anticipato e raccontato, salvo errori ed omissioni, per filo e per segno proprio su questo giornale. Manca tutto il resto, mancano i dirigenti Asl che hanno continuato a autorizzare l’impossibile, gli ispettori del lavoro, quelli Inail, i Vigili del Fuoco che attestavano l’inesistente, le unità di controllo che non controllavano e, forse, qualche vecchio pubblico ministero che indagava alla carlona e chiudeva ripetutamente indagini che portavano altrove. Insomma, un quadretto tipicamente italiano, vieppiù meridionale, che oggi merita di continuare a essere raccontato. Molto dipenderà, come dicevamo, da come ora si muoverà il Comune rispetto a questo dato: non ci sono “posti di lavoro da salvare” (com’era la canzoncina cantata fino a poco tempo fa), non ci sono disabili da tutelare, non ci sono elezioni alle porte, non ci sono indotti da preservare. C’è solo da tenere la schiena dritta.