Domenica scorsa don Maurizio Patriciello celebrava la messa delle ore 10.00, quella notoriamente con ampia partecipazione di bambini, nella Chiesa di cui è parroco intitolata a San Paolo Apostolo, in Caivano, quartiere detto Parco Verde. Al momento della Comunione gli si avvicina un uomo che gli porge un involto contenente un proiettile di pistola calibro 9×21. Immediatamente arrestato dai Carabinieri di scorta, si rivela essere tale V. D. L., settantacinquenne che molte fonti indicano come suocero di un locale boss di camorra. Un messaggio intimidatorio tipico della criminalità organizzata dell’area napoletana. Il latore scelto per l’età che dovrebbe preservarlo da una lunga carcerazione e per il noto legame di cosca, che non lascia dubbi sul mittente. Elemento questo essenziale per l’efficacia intimidatoria. Il giorno prima, in tardo pomeriggio gruppi di ragazzi su motociclette corrono per Caivano sparando all’impazzata in aria ma anche contro alcuni palazzi. Terrorizzano la popolazione. E’ la tecnica della “stesa” per riaffermare il proprio potere su un’area, contro pretese d’altri gruppi delinquenziali o in risposta a decimazioni giudiziarie di membri e capi d’una cosca. L’intimidazione a don Maurizio si connette e completa la stesa: attacco alla autorità morale della comunità che da sempre si oppone al potere criminale e lo danneggia seriamente. Tre giorni dopo don Maurizio è ad Eboli. A sera tiene una lunga conversazione con un folto pubblico intervenuto nella Basilica della Badia di San Pietro alli Marmi avente a tema la sua missione pastorale. Conversazione, non saprei come altro definirla, per la familiarità che instaura con gli intervenuti, per la chiarezza della narrazione e per la passione soffusa ma rigorosamente controllata che sa trasmettere. Tuttavia di eccezionale forza di pensiero e di spiritualità, come si cercherà di dire. Per darne subito idea, in merito all’episodio predetto afferma: <<A me dispiace per quel poveretto che mi ha consegnato il proiettile, mi dispiace che debba adesso stare in carcere. Io non posso avere altra relazione con chiunque se non di amore e di fratellanza>>. Si comprende meglio la portata di questa affermazione a rapportandola alla domanda che gli era stata posta – l’incontro molto opportunamente è stato organizzato cadenzando l’esposizione in risposte a domande – del seguente tenore: <<Quale il fine della sua opera pastorale in quel quartiere? Lei sa bene che la potenza della camorra viene principalmente dallo spaccio di stupefacenti, oppioidi, cocaina, anfetaminici e presto arriverà il terribile fentanyl. Non crede che il proibizionismo rivolto allo spaccio finora messo in campo abbia mostrato la sua insufficienza? Chiarito che non sono un fautore della liberalizzazione degli stupefacenti, non pensa che occorrerebbe rivolgere maggiore attenzione in senso repressivo ai consumatori?>> Declina la domanda, affermando che solo il dr. Gratteri potrebbe dare una risposta. Lui, non potendo avere altra interazione con gli altri che non sia amore e fratellanza, non può pensare in nessun modo a metodi repressivi e sanzionatori. Certo, continua, i sentimenti nel vedere come ha funzionato quella che è stata la più grande piazza europea di spaccio, erano netti: compassione per gli operai che avevano lavorato otto e più ore per cinquanta Euro che andavano a consegnarli ad uno spacciatore, ma anche sdegno alla vista <<di macchinoni con fior di professionisti che venivano a servirsi>>. Eppure non riconosce come proprio compito di sacerdote pastore di un gregge di pensare a sanzioni e repressione. Non che questo significhi negare d’avere un filo conduttore, una strategia nell’operare a Caivano da guida spirituale. Che emerge dal complesso della sua esposizione con chiarezza, a patto di ricomporla. Caivano: ricorda che dopo il terremoto del 1980 e il fiume di denaro per la ricostruzione, la camorra napoletana fino ad allora violenta e feroce ma di corto raggio affaristico, si intromette nel gioco degli appalti e così si procura i capitali per il grande balzo verso il commercio mondiale degli stupefacenti. A ciò si aggiunge la scelta dissennata dello Stato – dice testualmente <<occorrerebbe sanzionare gli architetti che la hanno pensata e progettata>> – di concentrare in un solo quartiere, il Parco verde, tutta la povera gente della Sanità e dei Quartieri Spagnoli che il terremoto aveva ulteriormente immiserito. E di costruirlo in quel modo! Il <<Caivano storico non si riconosceva più, ne fu rapidamente distrutto>>. A fronte dell’emarginazione sociale totale così dissennatamente provocata <<lo Stato si ritirava, scompariva dall’orizzonte sociale; e quando lo Stato scompare accade come ai terreni che gli agricoltori abbandonano, lasciano senza cure: si genera un caotico affastellarsi di erbacce e piante venefiche. Quindi arriva l’antistato che impone la sua forza militare, le sue regole e la sua organizzazione economica>>. Preso il controllo del territorio, la camorra creava la famigerata Terra dei Fuochi. Un breve struggente racconto per rappresentarne la terribile realtà: <<era una notte di giugno (non specifica l’anno) ed io non riuscivo ad addormentarmi per la puzza, di bruciato come sempre ma anche di un qualche orrore chimico. Allora mi metto al computer e comincio a scrivere a tutti i miei contatti: “siete svegli anche voi per questa puzza? Parlatemi” In poche ore mi giungono migliaia di messaggi. “sì Padre, ci aiuti!”. Così arrivammo alla manifestazione di cinquantamila persone, che replicammo a Napoli pochi mesi dopo>>. Da qui comincia ad incrinarsi l’omertà. Un parroco conosce la realtà della sua terra <<ed io sentivo dieci anni diagnosi di tumore, venti anni morto di tumore>>. I medici tacevano. Uno gli consegnò un referto in cui si riferiva dell’incremento abnorme di patologie oncologiche nell’area <<senza intestazione e senza firma>>. Alle sue rimostranze, il dottore opponeva la sua necessità di non comparire per aver salva la vita. Ma subito dopo le manifestazioni arrivano le indagini epidemiologiche e la verità viene fuori. Non molto dopo, nel 2021 arriva finalmente la legge, che Camera e Senato avevano palleggiato per un ventennio, che istituisce il reato di sversamento di rifiuti tossici. <<Confindustria non la voleva. Prima di questa legge i Carabinieri che prendevano uno sversatore potevano solo applicare una multa irrisoria rispetto ai profitti che il crimine produceva>>. Un ultimo tassello per ricostruire il pensiero che guida questa straordinaria missione pastorale. Richiesto di narrare come abbia maturato il suo approdo al Cattolicesimo proveniente da una Comunità Evangelica di cui era persino divenuto dirigente, narra che <<qualcosa non mi tornava. Fratelli meravigliosi e pieni di amore i Protestanti, mi hanno messo in mano la Bibbia, i Cattolici non hanno molta dimestichezza con la Bibbia>>. (A sentir questo, non posso trattenere un sussulto). Questo motivo di inquietudine era <<la mancanza di una autorità che sappia dire alla fine, dopo ogni dibattito, cosa si debba fare. Questo crea la polverizzazione della missione.>> Ecco, il male è lo Stato che si ritira di fronte alla emarginazione sociale assoluta che per sua insipienza ha prodotto. Il male è la mancanza di una autorità. Una guida, che coltivi la società come un terreno fertile, conferisca ordine ed armonia e consenta di raccogliere i frutti del lavoro. Quale dunque la strategia di un sacerdote che non può che provare amore per i fratelli? Qualunque sia la loro colpa è comunque colpa di fratelli. Educare le coscienze, risvegliare il bisogno della amorevole armonia sociale che è il solo ambiente in cui possa fiorire la felicità individuale. Il Cristianesimo è felicità, guai a scordarlo. Quindi pretendere che lo Stato svolga impeccabilmente i suoi compiti ovunque e verso tutti. Le rimostranze più severe di don Maurizio sono state quelle rivolte allo Stato che si “ritira”. E dare voce organizzata alle coscienze, che nessuno possa più ignorare i doveri di uno Stato e nessuno possa mai più abbandonare un popolo. Ed è compito della Chiesa: <<io non ho paura di morire>> perché la mia morte non fermerebbe la Chiesa, altri pastori continuerebbero la mia opera. La verità, quando la si comprenda, non ha confini: chiunque, che senta d’appartenere alla Chiesa o meno, non può che abbracciare questo compito, questo metodo, questo amore.
Vito Merola






