Eboli, camorra in Comune. Indagini nel limbo - Le Cronache
Cronaca

Eboli, camorra in Comune. Indagini nel limbo

Eboli, camorra in Comune. Indagini nel limbo

di Peppe Rinaldi

 

«Gestione della cosa pubblica che predilige gli interessi privati e i favori personali agli interessi pubblici». «Abitudine da parte dei pubblici rappresentanti ad agire nelle pieghe della legge». Ma, soprattutto, «contiguità con ambienti della criminalità organizzata». Era l’1 giugno di due anni fa (2020) quando i carabinieri di Salerno consegnarono al sostituto procuratore titolare dell’indagine l’informativa finale sul cosiddetto “sistema Eboli”, vale a dire di quel pittoresco agglomerato di figure guidato dall’ex sindaco Massimo Cariello, definito dagli investigatori «figura di riferimento apicale del sistema…(colui che) aveva l’ultima parola su ogni cosa» . Con tali premesse, in generale, le procure ordinano il getto della rete oppure, al contrario, archiviano tutto e buonanotte ai suonatori: certo, motivando la scelta, nell’uno e nell’altro caso. A quanto pare, però, i due anni di indagini che hanno preceduto questo rapporto finale dei carabinieri (2018-2020) e il biennio successivo (2020-2022) non sono stati sufficienti per l’ufficio inquirente a definire la questione. Eppure la materia è scottante, come si dice, se si considera che per molto meno la magistratura non ci pensa su due volte – sbagliando o indovinandola, ma questa è un’altra storia – a tirare le somme dinanzi a premesse autoevidenti, come tra poco spiegheremo. C’erano al tempo un procuratore capo e un suo sostituto che se ne occupavano, le cose poi cambiarono negli uffici salernitani e l’ex sindaco finì ammanettato, come sappiamo, ma per altre ragioni, di gran lunga meno “gravi” di quelle indicate nelle circa 500 pagine riepilogative sul preteso marciume a Palazzo di città. Ora è tutto nel limbo in attesa di una ripartenza che non potrà non esserci se ciò che gli investigatori hanno messo nero su bianco sia minimamente fondato. Ma cosa c’è scritto in quelle pagine sul tavolo della procura di Salerno? Dagli atti visionati – al netto dell’ovvia ipotesi che possano essercene anche di ulteriori – fermi a soli due anni fa, emergono circostanze che il linguaggio gregario corrente imporrebbe di definire “inquietanti”: di certo meno dell’aura di interrogativi che circonda l’apparente paralisi degli uffici giudiziari sul tema, ma questo lo si potrà affermare solo a valle.

Saltiamo tutta la parte delle gare e degli appalti quasi sempre pilotati, dei soldi pubblici sparpagliati tra parenti stretti, amici e compagni di merende, saltiamo pure quella strana, gigantesca (per il volume di danaro) proroga di un servizio pubblico fondamentale alla stessa società per diversi anni, saltiamo il meccanismo degli “sponsor” privati il cui ricavato finiva solo in parte nelle casse di associazioni sportive o culturali destinatarie del finanziamento, saltiamo i concorsi truccati e le commissioni esaminatrici pezzotte per favorire questo e quello, saltiamo l’imbarazzante racconto delle determine di pagamento degli uffici comunali in favore di amici/amiche speciali di dirigenti e funzionari, saltiamo la processione di medici, veterinari e professionisti vari per il comando qua, la mobilità là, il posto sotto e quell’altro sopra. Insomma, saltiamo tutta quella parte apparentemente meno grave che ha caratterizzato gli ultimi 6/7 anni di amministrazione pubblica locale e proviamo a riassumere, per quanto possibile, la deriva scivolosa dell’istituzione (e della società nel suo complesso) contaminata da frequentazioni e contatti, diretti ed indiretti, con pezzi della malavita più o meno tradizionale. In primo luogo i carabinieri scrivono al magistrato, che forse non ha avuto il tempo di leggere, che esiste un trait-d’union tra i due mondi incarnato da un imprenditore edile del posto che fino all’avvento di Cariello raggiungeva standard normali nel fatturato salvo poi, d’incanto, vederlo moltiplicato quando inizia l’avventura. Tale imprenditore è considerato molto vicino all’ex sindaco ancora oggi (e a leggere le carte se ne capisce pure la ragione) al punto che in rapporti investigativi di altre fonti giudiziarie si raccontano perfino sue frequenti visite a casa durante la detenzione domiciliare dell’ex primo cittadino a dispetto dei mille divieti di legge. I carabinieri scrivono al magistrato descrivendo questa figura come «molto vicina ad elementi della criminalità organizzata locale». Si raccontano gli incontri di questi con un “boss” e alcuni suoi prestanome, dagli interessi economici diffusi e visibili sul territorio, dei contatti con appartenenti ad un corpo militare e dei lavori edili presso la relativa caserma peraltro sub-affidati a società guidate da altri personaggi considerati contigui ai clan, lavori prontamente liquidati dal Comune dopo affidamenti diretti sotto la soglia di legge. C’è perfino il racconto di una telefonata tra questo imprenditore e l’ex sindaco dove il primo si trovava « a casa del …. (militare, ndr) juventino» a dispetto del tifo del secondo per il Torino, insomma si scherzava un po’ sulle fedi calcistiche. Sorprende, poi, il resoconto della spartizione di danaro contante tra questo imprenditore e un ex assessore che, in un’altra indagine coeva, pure si distinse per esplicite richieste di soldi rivolte a fornitori dell’ente: anche in questo caso paradigmatico il pm era lo stesso di questa maxi inchiesta sospesa nell’aria e non ci furono conseguenze commisurate alla presunta condotta, se non un processo nato già stanco e del quale forse rimarrà poco o nulla.

Sullo snodo di questi rapporti obliqui si inserisce una recente pista investigativa, per fortuna (di tutti) non assorbita da questo maxi filone, che avrebbe al centro la traiettoria di un flusso finanziario proveniente dall’area dell’hinterland napoletano non costiero che ha determinato l’acquisto, tecnicamente regolare, di oltre venti immobili nella città di Eboli in un arco di tempo relativamente breve e che vedrebbe proprio una società di questo imprenditore allo snodo. Si parla di danaro non di origine “mafiosa” in senso stretto ma qualcosa che avrebbe a che fare con i commerci marittimi.

Un’altra figura devastante per la tenuta dell’istituzione sarebbe stata, a detta degli inquirenti, rappresentata da un dirigente comunale pure segnalato più volte o in compagnia o in contatto con pluripregiudicati per gravi reati.

Che dire poi della visita dell’ex sindaco per gli auguri di Natale a casa di un noto boss di camorra dell’area rurale? E di una ex divisa delle forze dell’ordine notoriamente rappresentante pubblico degli interessi di un clan locale? Se gli inquirenti avessero usato per il sistema Eboli la stessa perizia “entomologica” di quando stilano le famose interdittive antimafia, autentiche vie crucis per migliaia di incolpevoli imprenditori, a quest’ora ci sarebbe un problema di spazio per le detenzioni. Finora è andata diversamente e ce ne si rallegra, sinceramente, per molte figure trascinate nella palta. Non si può non sottolineare, infine, un dato che sconcerta per il disorientamento che ne risulterebbe: il prefetto di Salerno in quegli stessi tempi, o giù di lì, si distinse per un suo pensiero al riguardo. Disse: «A Eboli non c’è la camorra».