E’ stato l’inventore del ‘preambolo’, una di quelle formule che popolavano la politica della Prima Repubblica – insieme alle convergenze parallele, per citarne un’altra, fortunatissima, attribuita invece a Aldo Moro – e poi divento’ il ‘Coniglio mannaro’, quando ogni leader politico aveva il suo soprannome di riferimento. Era stato un calciatore, da giovane, e poi fu molto altro. Presidente della Dc, piu’ volte parlamentare e ministro, vicepresidente e presidente del Consiglio. E due volte segretario della Dc. La seconda, sul finire di quella fatidica Prima Repubblica, fu uno dei tre leader a dare l’iniziale al Caf. Arnaldo Forlani, con Bettino Craxi e Giulio Andreotti, ha percorso la politica attraverso le fasi distinte per comodita’ di cronaca tra Prima e Seconda Repubblica. L’ultimo ad accomiatarsi, a 97 anni, anche se da lungo tempo aveva lasciato la politica attiva.Nato a Pesaro, l’8 dicembre 1925, orgoglioso dei suoi trascorsi giovanili come mezzala nella Vis Pesaro, e rimasto sempre appassionato di calcio, Forlani e’ stato un protagonista dell’ultima fase del pentapartito, culminata con il patto di ferro dell’allora segretario Dc con Craxi, consacrato da quella sigla, Caf, gioia dei titolisti, siglato in un altrettanto iconico appuntamento, direttamente da lui con il leader socialista: correva il maggio dell’89 e gli uffici di Bettino Craxi nell’area ex Ansaldo dove si teneva il 45esimo congresso Psi erano ospitati appunto da un camper. Fu li’ che si tenne un colloquio riservato, nel senso che non aveva altri testimoni ma era sotto l’occhio di una foresta di macchine fotografiche e telecamere, che segno’, almeno per comodita’ cronistica, la fine del governo De Mita e il ritorno a Palazzo Chigi di Giulio Andreotti. Craxi, Andreotti, Forlani: Caf. E si’ che Forlani con De Mita aveva formato la coppia dei ‘gemelli di San Ginesio’, inteso come luogo in cui venne siglato un altro patto, quello che ciclicamente si ripropone tra ‘quarantenni’ che si propongono di farsi largo tra i leader piu’ stagionati dei rispettivi partiti. La Dc, in questo caso. E infatti eccoli, il 9 novembre 1969, l’uno, Forlani, segretario e l’altro, De Mita, vicesegretario. Andiamo avanti veloce. Ministro delle Partecipazioni Statali dal dicembre 1968 all’agosto 1969, della Difesa dal novembre 1974 al luglio 1976, degli Esteri dal luglio 1976 all’agosto 1979, deputato dalla III all’XI legislatura (vale a dire dal ’58 al ’92), europarlamentare tra l’89 e il ’94, presidente del Consiglio tra il 1980 e il 1981, vicepresidente tra il 1983 e il 1987.Pagine di cronaca politica che partono in bianco e nero e via via acquistano i colori, proprio come le tv nelle case degli italiani. Ma che si colorano anche di sangue. Quando e’ il suo turno alla guida del governo, il terrorismo colpisce, ma c’e’ anche l’attentato a Papa Giovanni Paolo II, la Dc conosce la sconfitta nel referendum sull’aborto, e scoppia lo scandalo P2, che porta alle sue dimissioni. Vengono infatti scoperte le liste di Gelli, rese note dopo due mesi, ritardo che finisce per costringerlo alle dimissioni. Arriviamo a tempi piu’ vicini a noi. Dopo l’89, dopo il crollo del Muro, tutto cambia. Dentro e intorno alla Dc. fino a quando arrivano il 1992 e le inchieste della Procura di Milano. Mani Pulite, Tangentopoli, le manette, gli avvisi di garanzia. Finisce il Caf, la corsa al Quirinale vede Andreotti contro Forlani, anche se non se ne fara’ nulla per nessuno dei due, ma per un motivo terribile. La strage di Capaci resetta le geometrie del Palazzo e lo scatto d’orgoglio porta al Colle Scalfaro. Poi ci sono istantanee entrate nella cronaca contemporanea, quelle del processo Enimont, il serrato interrogatorio di Di Pietro, la flemma abituale del leader dc che a tratti vacilla. Si ritira dalla politica attiva, la segue a lungo, ma da lontano, da osservatore, senza piu’ cercare riflettori, incarichi, ruoli dietro le quinte. Sempre distaccato, mai rancoroso, mai uno scatto d’ira, un’uscita a voce alta. Molte battute, a modo suo, all’inglese, con quell’accento marchigiano accennato ma inconfondibile. Sempre pronto a concedersi comunque a generazioni di cronisti, certi di tornare sempre con una battuta ‘da titolo’ sul taccuino. E di sentirsi rivolgere l’immancabile “attenti alle mani”, cortese quanto inderogabile avviso che lo sportello della macchina blindata stava per chiudersi, e con esso la conversazione.
LE REAZIONI
ROTONDI
“Addio ad Arnaldo Forlani, il più onesto dei leader democristiani, che ha pagato per tutti: spero che gli rendano omaggio in morte i tanti che lo hanno dimenticato in vita”. Così Gianfranco Rotondi, presidente della fondazione Democrazia Cristiana.
CASINI
“Sono profondamente commosso per la scomparsa di Arnaldo Forlani, il Segretario della Dc di cui mi onoro di essere stato collaboratore. Ha servito la politica e non se ne è mai servito. Ha avuto grandi soddisfazioni nella sua vita pubblica e altrettante amarezze. Ha affrontato il tutto con una profonda fede cristiana e con una grande umanità”. Così Pier Ferdinando Casini ha commentato la morte di Arnaldo Forlani in un comunicato diffuso oggi. “Nei prossimi giorni ci sarà tempo per riflettere sul suo lavoro politico: europeista, atlantista ha sempre difeso con forza la collaborazione tra Dc e socialisti. È forse l’ultimo dei grandi protagonisti della Democrazia Cristiana della Prima Repubblica, a cui dobbiamo dire grazie e addio”.
MASTELLA
“La morte di Arnaldo Forlani mi riporta ai tempi e alla grande storia della Democrazia Cristiana. Il suo stile disincantato lo portava a guardare le cose con distacco. Mi nomino’ direttore della Discussione, settimanale ideologico della Dc, fondato da Alcide De Gasperi. La mia vicinanza alla famiglia. Con affetto”. Lo scrive su Fb il sindaco di Benevento Clemente Mastella.